Decima puntata 11/07/2004

Dopo la pausa prosaica, virtuosi esempi di unità in seno alla squadra

 

Due mesi di silenzio son trascorsi,

però l’Empolitour di voglia piena

pur sempre pedalò senza rimorsi.

È che coi soliti ciclisti in scena

e con gli usati e insipidi percorsi

alla fine seccata s’è la vena:

si smussano con l’uso anche le cime

e dalle fonti più non sgorgan rime.

 

Eppur ci mettono parecchio impegno

a scalar Serra e Casore del Monte

fino a lasciarci un indelebil segno.

Solo per il sudor sulla lor fronte

si meritan un impeto d’orgoglio

che insemini l’inaridita fonte.

L’ultimo sforzo fai sopita Musa

prima che la stagione sia conclusa.

 

“Io se tu vuoi, la lirica t’ispiro”

disse così la Musa silenziosa

“per dar unguento alla sterile biro.

Ma poi tu la materia più preziosa,

quella che s’agita fra Tour e Giro,

la plasmi sempre in diligente prosa

e a me che son preposta ad ispirarti

mi lasci da plasmare sol gli scarti.”

 

Disse così ma m’ispirava intanto,

mentre di vari e vecchi personaggi

s’andava empiendo il nascituro canto.

Sfioriva la frescura ai primi raggi

e svaporava della notte il pianto

lasciando d’aria tersa pochi assaggi.

Per Caparrin comincia l’avventura

dell’alta stazza sua contro l’arsura.

 

Il presidente rende gli altri edotti

che andranno a rincarar le loro gesta

in uno dei percorsi suoi precotti.

“Orsù miei prodi,” disse “lancia in resta!

Prima che l’aere mattutino scotti

dell’Acquerin vedremo la foresta,

dove nel fresco eterno si pedala

e pur salendo mai sudore cala.

 

Dieci vi vedo baldi e volitivi.

Siamo di nuovo squadra tutta intera

anche nel clima dei lassismi estivi.

Insieme andrem nella foresta nera

e non saranno lusinghevol bivi

a disgregar questa compatta schiera.

Unanimi saran le nostre ruote

lassù fin alla fabbrica di trote.”

 

Troteificio il Caparrini chiama

un serbatoio dove l’acqua è meno

delle trote che vivon squama a squama.

Lì vigon soste-Pagni senza freno

e l’ode del panino si declama

al sol montano per mezz’ora almeno.

Fatti due conti questo giro ha il prezzo

di tornare roventi al tocco e mezzo.

 

Con l’unità nel cuore, come acconto

alla salita senza tempo tinta,

l’Empolitour valicò San Baronto

che pure da Bagnoli Andrea fu vinta.

“Amici,” disse ansando “non m’adonto

se qui dichiaro questa gita estinta.”

E prese il fratellin per un orecchio

scendendo insieme a lui da Lamporecchio.

 

Ma pure con i due Bagnol espunti

Caparrin non emise pianti e gridi

perché ben otto ancor erano assunti.

Sennonché quando giunse a Casalguidi

s’accorse che mancavan Borchi e Giunti

fuggiti anch’esso verso liti infidi.

“Vabbé” sospirò “siam comunque in sette

con le più forti e ricche biciclette”

 

Chiarugi per amor di vie diverse

si mise a comandar l’ignaro gruppo

e in un toboga incognito lo immerse,

così nei rami di quell’inviluppo

la poca stima dei compagni perse

che d’improperi lo fecero zuppo.

Ed elli a lor: “Sarà un’allungatoia,

ma ci sottrae dal centro di Pistoia.”

 

Questo pur tuttavia non lo sottrasse

dall’esagitazion della Bertelli

che strepitava come due grancasse,

e il pio Chiarugi, inane senza appelli,

affinché dalla furia si salvasse,

a sorpresa virò per altri ostelli,

svicolando com’uno che delinque

con Boldrini, lasciando gli altri in cinque.

 

E Caparrin: “Però ci si consola

con una bella ascesa all’Acquerino

laddove la natura mai s’assola.”

E Nucci: “I lampacioni nel panino,

con l’unto che coi mosri sprizza e cola,

già m’eccitan superbo languorino.”

E Pagni per non esser sorpassato

disse: “Rilancerò con il gelato.”

 

Per arrivare nella selva oscura

c’è da scalar statale trafficata

a cui però nessuno pose cura

tanto il disio di trota salmonata

distraeva le menti dalla dura

e molto condivisa arrampicata.

Ma quando il bivio del disio pervenne

trovarono un omin fra due transenne

 

che sbarrava la strada con gran piglio

per un ridicolo radun di moto

e non veniva a patto né a consiglio.

Diceva a Nucci: “Voi saliste a vuoto.

Qui non si passa, non cercate appiglio.

Per l’Acquerin mangiate il fior di loto.”

Così l’Empolitour se n’andò via

per una buia e mesta galleria.

 

Orbata ormai di trote e lampacioni,

la truppa tornò indietro triste e vana,

ma non finiron qui le divisioni

grazie al trenino della Porrettana:

Bertelli e Nucci prima dei vagoni,

Zio, Pagni e Caparrini in lunga attesa.

Questo di tanta unione oggi rimane:

rincasar tardi senza trote e pane.