Dodicesima puntata 12/09/2004

Clamoroso all’Etna! La metamorfosi del trinacrio giovine virgulto

 

Pareva un usitato dì di festa

con Caparrin e i suoi fedeli fanti

Boretti, Borchi, Giunti, Zio, Tempesta,

Chiarugi e poi Boldrin, belli ruspanti,

con nude chiorbe o con i caschi in testa,

per espugnar il Secci a Strada in Chianti.

Ma mentre il sol dormiva sotto larve

qualcosa di più giallo tosto apparve.

 

Era un ciclista nelle menti impresso

con un’immagine di maggior taglia.

“Non può esser,” dicevan “non è desso!

Era assai più carnoso. No, si sbaglia.”

Guatavano ed a lor veniva appresso

un noto redivivo con la maglia

gialla e attillata che appartenne all’Once,

e stupefece tutti come un ponce.

 

“Non mi riconoscete?” Disse gaio,

“sono Mirmina,” a quei basiti visi

“Carmel, l’eroe del quindici febbraio.

Perché sul mio sembiante siete fisi?

Di maniche son ora un altro paio

dal dì di quel battesimo con crisi,

quando partii con l’anima convinta

e terminai l’impresa a suon di spinta.”

 

Tutti pensarono dietro ai cappelli

Mirmina è impazzito oppure ha bevuto,

ma Caparrini li ammonì: “Fratelli,

costui che rimembrate più paffuto

scalò, sostiene, vari Mongibelli

mentre voi poltrivate al sole muto,

e temo che, privato di zavorra,

qualcun di voi convien che lo rincorra.”

 

Come se avesse da produrre prova

di sua nuova struttura più virile,

Mirmina s’involò sul Chiesanuova,

e tutti dietro in affannose file

pensaron che, se doping non ci cova,

avrebbe scaricato lì le pile,

e come quei che troppo presto trotta

s’aspettavan da lui sonora botta.

 

Boretti protestò: “Giammai si dica

che qualcuno mi batta nella gara

a chi scoppia per primo di fatica.

La crisi d’esplosion che mi fu cara

voglio che ancor senz’argini s’addica

a tanta inseparabile mia tara.”

Così colui vissuto nel panciolle

il percorso integral sorbirsi volle.

 

Il Caparrin la decisione loda

e immagina una sfida per la meta

emozionante soprattutto in coda.

Mirmina sul crinal dell’Impruneta

alla sua ruota morbida s’annoda

e merita il viatico d’atleta.

Però così Boretti l’onor piglia

che arriva dietro a lui d’almen due miglia.

 

L’azteco è vincitore ma non scoppia,

e gli altri a malignare che sua dote

non è normale, è quella d’un che s’oppia.

In Messico giammai sfiorò le ruote,

 e se tuttor la crisi non raddoppia

vuol dir che fece scorta di peyote.

Ma se c’è una giustizia, il messicano

avrà da far la botta sul Luiano.

 

Dopo una scarna sosta senza Secci,

l’ardente sfida per la maglia nera

ricominciò con passionali intrecci.

Mirmina nel silenzio si trincera,

mentre Boretti fra gli ombrosi lecci

in qualche spinta ancora non dispera.

I due si scrutan come Biaggi e Rossi

dentro un ploton di pigri eterodossi

 

Mirmina con cipiglio allunga i passi,

mentre Boretti scopre addirittura

d’esser capace ancora di sorpassi,

e quelli che subiscon tal ventura

non son nemmen più vecchi né più grassi:

come cambian le leggi di natura!

Boretti, destinato ad immolarsi,

ciclisti smaschera di lui più scarsi.

 

Mirmina invece è già di un’altra razza:

sta con Chiarugi e Zio ligi ai disarmi

e Caparrin che strepita e starnazza.

Altro che botta! Par che si risparmi.

Ormai Mirmina senza la corazza

è un ciclista che merita altri carmi.

Se ancor pedalerà per acri ed acri

diventerà l’onore dei trinacri.

 

Però così che cosa resta all’opra

se s’estinguon tutti i ciclisti cotti

e nessun alla crisi più s’adopra?

Se tutti ad allenarsi son corrotti

e chi sta sotto vuol salire sopra,

non resta che sperare in Pelagotti:

ciclista tornerà d’antico corso

dopo il letargo d’un quintale d’orso.