Quindicesima puntata 03/10/2004

Ricorre il tema della botta. E finalmente qualcuno lo svolge a pieni voti.

 

Un’altra tappa freme nell’inchiostro,

la carne dei ciclisti al fuoco è molta

e critico sarà il compito nostro.

Aleggia un bel quesito in chi ci ascolta

e soffia in mezzo al gruppo come l’ostro:

chi sarà a far la botta questa volta?

Finora fu soddisfazione magra

perché nessun da tempo più deflagra,

 

oggi però son tanti i pretendenti

all’ambizioso titolo d’esploso

e qualchedun conviene che ci tenti.

Il percorso valente e collinoso

facilita questi nobili intenti

di chi vuol esser nella crisi estroso.

Tutti aspettiam che il sacro San Vivaldo

sia per alcuni fello e maramaldo.

 

Son Elle ed A Bagnol proprio a fagiolo

in questa occupazione, per la quale

han l’esperienza e il fisico del ruolo;

e poi Boretti più di loro vale

nell’arte della botta, e non è solo,

perché in tal arte c’è chi fu regale:

ritorna l’ormai tonico Mirmina

che interpretò una crisi sopraffina;

 

e perché non svanisca quel ricordo

indossa di quel dì stesso giubbotto

adatto a pedalar di fiordo in fiordo.

Ma poi da Caparrin prende rimbrotto

e dopo un molto vantaggioso accordo

cambia il vestito per non esser cotto:

indossa maglia estiva taglia terza

che come morsa il suo torace sferza.

 

Poi d’un prodigio ognun fu testimonio

quand’apparve una candida maglietta,

uno dei bei lenzuol di primo conio.

Giraldi la portava, e nemmen stretta,

il sindaco del social patrimonio

che pria nessun mai vide in bicicletta.

“Se non fa lui la botta a questo giro”

pensava Caparrini “mi ritiro!”

 

Mossi così da tal speranza viva,

mai scritta prima d’ora negli annali,

d’una speciale botta collettiva,

comincian a ruotar tutti i pedali

quando in ritardo la Bertelli arriva

e qualcuno le lancia triti strali:

“Possa tu far la botta in questa tappa

così ti spingo per la soda chiappa.”

 

Acciò che per errore non vi paia

che la botta sia onor sol dei batraci,

dirò della salita di Palaia,

ove Chiarugi, Zio e Boldrin fugaci

si menarono colpi di mannaia

mentre nel gruppo spente eran le braci,

e come tutte le più belle cose,

Boldrini sul finir del colle esplose.

 

Per carità, fu piccolo rumore,

ma bello fu vederlo goffo in panne

quando pareva un rullo compressore.

Nemmen chi fuma l'oppio oppur le canne

può passar ratto senza alcun sentore

dal furor cieco al mondo delle nanne.

Zio saggio come spiegazion propose

ch’avesse d’alchimia sbagliato dose.

 

Ma adesso andiamo lesti a Villamagna,

dove nel regno dei silenti strappi

vedremo per davvero chi si lagna.

“Stai fermo lì, Boldrini, dove scappi?”

Gridava Tempestin per la campagna

con Nucci e con Chiarugi a far da tappi.

Cercavan di tappare quel distacco

ma il transgenico non pareva stracco.

 

Boldrini ha chiorba tosta come un’erma.

Sol Tempestin lo bracca di gran lena.

Ecco la botta! Tempestin si ferma.

No. C’è un banale salto di catena

che fa di Tempestin la bici inferma,

mentre Boldrin ringrazia e si dimena

per superar di Iano dura rampa

e questa volta dalla botta scampa.

 

Purtroppo come lui così fan tutti,

e nessuno dei favoriti scoppia:

nemmeno quei come Boretti brutti

o dei Bagnol la sorprendente coppia,

nemmen Giraldi al ballo dei debutti

che bruciar si doveva come stoppia,

invece al Conte Zio timor incute

pur con la maglia ch’è un paracadute.

 

Tenta l’artista Giunti che va forte

di cuocersi con maglia d’alta lana,

ma suda e sbuffa senza trista sorte.

Ormai, mi sa, la botta è cosa vana

e una ciclistica teatrale morte

è rimandata d’una settimana.

Ma che succede! Ferma, guarda, aspetta!

C’è la Bertelli immota in bicicletta.

 

Qual piuma al vento anche la botta varia

e cieca oggi è toccata addirittura

alla prestante e bella passionaria.

No. Poi si scopre ch’è una foratura,

e sventolando la camera d’aria,

la fata cerca pompa in fornitura.

E proprio sotto la più dura china

si ferma Caparrini con Mirmina.

 

Pompe n’ha due il trinacrio previdente

e con arte le rianima il fascione

senza fatica a lei né al presidente.

Così la dama di passato agone:

“Mirmina, ti sarò riconoscente.”

A lui che sorrideva col fiatone

e quando risalì sulle sue ruote

s’accorse che le gambe aveva vuote.

 

Più che la rampa allor poté il gonfiaggio.

Però Mirmina non provò rimorso

per quel galante ed ansimato omaggio.

Pensava basculando l’anca e il dorso:

“Quest’è la botta, ma non mi scoraggio

ché loro due verranno in mio soccorso.”

La Bertelli difatti piglia e scatta,

e Caparrin lo guarda mentre schiatta.

 

Solo e meditabondo su quell’erta,

nel suo bagaglio tecnico or indaga

per rendere l’ascesa men sofferta.

Poi trova soluzione che l’appaga:

“La corda in arco convien che converta.

Procederò com’uno che zigzaga!”

Mirmina, dopo mesi d’astinenza,

tornò a rifar la botta, ma con scienza.