Ventiduesima puntata 13/02/2005

L’inizio della saga delle salite caparriniane, l’astuzia di Chiarugi e l’evoluzione di Giraldi

 

Febbraio, andiamo. È tempo d’esser pronti.

Ora in terra di Vinci i miei ciclisti

lascian le piagge e vanno verso i monti:

scalano come timidi turisti

un altro dei mai troppi San Baronti

col cielo che potrebbe render tristi

mentre loro pedalan gai e forti

nella nebbia che annega i campi e gli orti.

 

Caparrini spietato non transige:

“A Febbraio s’inizian le salite.

È l’implacabil regola che vige:

quando l’inverno tende a farsi mite

e di salita nostra gamba indige,

il Casore si scala senza lite,

salita che vi spaccio come lunga

perché le membra fiacche non vi punga.

 

E non scordate che tra poco, a Maggio,

ci aspetta un memorabil Giro alpestre

di cui l’odierno non è manco assaggio.

Avete letto il Col delle Finestre?

Se sì, pregate e fatevi coraggio,

perché le vostre gambe assai maldestre

se non si alleneran com’io comando

vi condurranno ad un destin nefando.”

 

Ci son al Giro già ventun adesi,

ma a guardar oggi poca gente freme

di sorbirsi salite per tre mesi,

o forse il col sterrato non si teme,

o forse sono schivi gli empolesi

quando il ciel sulle strade un poco geme.

Fatto sta che alla prima delle prove

si schieran all’appello solo in nove:

 

Caparrin immortal che detta legge,

Chiarugi il solo alle otto e mezzo in punto

che sembra assiduo solo per chi legge,

Giraldi al titol d’evoluto giunto,

Nucci costante in sella finché regge,

Bagnolin che da quasi un anno è assunto

ma nonostante tutte queste feste

non ha imparato come ci si veste;

 

pur asocial è Borchi in armatura

nera, però intonata col telaio,

mentre Tempesta con divisa pura

cavalca il vecchio suo ronzin d’acciaio,

e infin, tardiva e splendida creatura,

c’è la Bertel su zoppicante baio.

Aspettate, ché ho scritto negli appunti

che al bivio Streda pur s’è aggiunto Giunti.

 

Or siam tutti e le cose ci fier conte

quando raggiungerem Pieve di Celle

al bivio su per Casore del Monte.

Or se ne vedono davvero belle

anche senza Boldrin e lo Zio Conte

che in gener ci fan spremer le budelle.

Or con astuzia romperà gli indugi

(con rima originale) il pio Chiarugi.

 

Passando da una stretta feritoia

egli, con scatto e piglio della volpe,

guadagna i metri d’una scorciatoia

senza impegnare le temprate polpe.

In fuga è già al serraglio di Pistoia

e gli altri pagan d’omission le colpe:

è inammissibil che nessun lo insegua,

mentre lui nella selva si dilegua.

 

La selva a dire il vero è molto spoglia

perché squadre di truci boscaioli

di lavorare mostran tanta voglia.

Quassù d’estate i più cocenti soli

non passavano mai tra foglia e foglia.

Ora Chiarugi è giusto che s’involi

nel cimitero dei recisi tronchi

mentre Nucci lo insegue a pieni bronchi.

 

Dietro Giraldi con vigore sbuffa.

Era un ciclista adatto per le mense

ed or forte coi forti fa baruffa.

Poi ci regala anche emozion intense

quando in discesa, in senso ver, si tuffa

con degne evoluzioni da circense,

e battezza così il suo primo colle

atterrando col viso sulle zolle.

 

In lieto fine il tuffo si risolve

ed è destin che mai tocca agli scarsi

quel d’assaggiar la dolorosa polve

ma senza mora e infermità rialzarsi.

Così un ciclista valoroso evolve.

Così sul terreo volto son apparsi

i segni d’espertissimo corsiere

prima ancor di Finestre e di Sestriere.

 

Poi venne un mai così comun lavacro

nel bar dove vendevan pur le scarpe.

Di Pagni ormai rimane un simulacro:

le soste non son più con foto ed arpe,

però il caffè rovente è sempre sacro,

per il qual s’entra molli come carpe

nella risaia, e poi giù si declina

in modo che il sudor diventi brina.

 

Sostiene Caparrin che queste more

allenan molto più di tanti moti.

“Pensate” dice “a Maggio per quant’ore

ci sarà da aspettar Baricci e Goti.

Sulle Finestre allor vostro sudore

farà crescer gramigne e meliloti.

Ed a Chiarugi, cui sudar non garba,

crescerà d’un centimetro la barba.”

 

Comunque vada, Caparrin incassa

oggi un successo senza precedenti.

Dopo la sosta il gruppo si sconquassa

di solito, senza contar gli assenti

che scorcian o via vanno a testa bassa.

Oggi son nove ancor come i partenti.

Andiamo, orsù, ciascun la bici inforchi

prima che ci ripensi e fugga il Borchi.