Ventinovesima puntata 04/09/2005

Oi Nostoi un anno dopo. L’insolito ritorno di Pelagotti vivacizza i soliti ritorni settembrini.

 

Non pensate che siano riciclati

in altri sport o siano bolsi e obesi,

o che li abbiam da rime abbandonati.

Stavano fra color che son sospesi,

pedalando per mari, monti e prati,

e i dodici lettori in questi mesi

a ripiegar son stati allor costretti

su Camilleri, Brown, Vespa o Faletti.

 

Ma riponete il Codice Da Vinci,

ché dopo mesi ormai che sembran giorni

è tempo che la saga ricominci.

Settembre, andiamo, è tempo di ritorni,

non perdiam altro tempo in quindi o quinci,

s’alzin gli araldi e suonino i flicorni

perché ciascun da lidi inopportuni

nella sede sociale si raduni.

 

Là trovan Caparrini che li aspetta.

Il presidente è stato veritiero

e al posto del sudore in bicicletta,

duplice bombolone giornaliero

ha preferito, e il modo ancor lo alletta,

e di sua fiacca va palese e fiero.

Ma la scienza s’interroga su come

possa non crescer d’adiposo addome.

 

Quelle lonze marittime e veraci

che, per esempio, Tempestin ostenta,

o le guance paffute a tirabaci

o il culo che tant’adipe alimenta:

pochi di tante doti son capaci.

Ritornano con stazza macilenta

Giunti, Chiarugi, Zio, Nucci e Bertelli

che in apparenza sembrano fuscelli;

 

lo sembrano in confronto a Caparrini

che pure senza pancia, lonze o gozzo

li sovrasta, e sovrasta pur Boldrini

che non è grasso ma ben sodo e tozzo.

Non si ripeta a cosa sono affini

le cosce o il cranio con cui da di cozzo:

egli è la fiera dalla coda aguzza

e l’unte cosce con cui il mondo appuzza.

 

Con quest’aroma che Boldrin infonde

si muove il gruppo dalle bianche schiene

come in azzurro mar spume dell’onde.

“Uno ancor manca,” Caparrin sostiene

“ma quando d’Elsa varcherem le sponde

lo stupor trattenere vi conviene

perché, vi renderò subito edotti,

a noi s’unisce il pingue Pelagotti,

 

e non per un patetico confronto:

dopo quattr’anni d’ozi o giri inani

osa il percorso intero senza sconto,

dimostrando a voi scettici e profani

come risorga il sol dopo il tramonto

ed un ciclista grasso si risani.”

Non è che parve molto dimagrito

però per l’intenzion fu riverito.

 

Finché la via sapeva di pianura,

Pelagotti con la gialla Daccordi

faceva in sella degna assai figura,

e già s’abbandonava a i suoi ricordi:

più volte cavalcò senza paura

e poi la botta udirono anche i sordi.

A Boscotondo egli lasciò gli esempi

di una sontuosa botta d’altri tempi.

 

E la salita ch’oggi è messa in gioco

è proprio quel fatale Boscotondo.

Rivalsa o riedizion: saprem tra poco;

intanto Pelagotti col suo pondo

a Tonda già si scotta al primo fuoco

che gli toglie un po’ d’animo giocondo.

La salita di Sughera lo scotta

ma pare ancor lontano dalla botta,

 

tanto che non lo induce in tentazione

lo spirto riduttore d’A.Bagnoli

che a casa tornerà da Montaione.

Or Pelagotti e Caparrin son soli

mentre davanti il fervido plotone

convien che a caccia di Boldrin s’immoli,

ma l’unico che timido lo bracca

è Nucci che però presto si stracca.

 

È questo nel carnet del presidente

l’unico giro in cui la sacra sosta

precede la salita più evidente

che non è punto dura, ma in tal posta

diventa una scalata digerente

che solo per gli stomaci è ben tosta.

Il Conte Zio pedala sazio e fresco

con un bigné di crema ed un Moresco.

 

Pelagotti si nutre di speranza

e di una pasta con la Coca Cola

ma sa che può non essere abbastanza,

perché non basta soddisfar la gola

per evitar la botta quando avanza

e t’entra in corpo senza far parola.

Pelagotti lo sa per esperienza

e attacca il Boscotondo con prudenza.

 

Così lui scala il Boscotondo coi

fedeli amici che non son mai troppi

e fanno sì che troppo non s’annoi.

Non vuole adesso aver gambe da Coppi

ma nemmen questo stormo d’avvoltoi

ch’aspetta solamente ch’egli scoppi:

parlan fra loro e Pelagotti s’offre

ai lor dileggi mentre tace e soffre.

 

La sofferenza si misura in denti:

più che ne mostra e più la botta sale,

e gli altri intorno ancheggiano contenti.

Ormai sembra un sforzo interdentale,

la bocca s’apre tacita agli stenti,

anche i molari or mostra sul finale

e quando ne digrigna trentadue

tosto finiscon le fatiche sue.

 

Più non avrebbe retto mezzo miglio,

ma adesso è salvo Pelagotti e gode

lasciandosi alle spalle il gran periglio.

La botta tanto attesa oggi non s’ode.

Festeggiamo così il prodigo figlio

con il vitello grasso e con la lode

e che conquisti sempre e senza drammi

più chilometri e meno chilogrammi.