Trentanovesima puntata 17/04/2006

Dove le teste sono il doppio delle code nella scalata alle Pizzorne. E qualche testa scoppia.

 

In fama non si vien con questi versi,

altri più lirici dovrei comporne,

dovrei cantar con toni ornati e tersi

passeri soli e cavalline storne;

e invece chi ci legge dovrà bersi

l’ennesima epopea sulle Pizzorne,

il monte che s’innalza senza cima,

duro ai pedali ed a trovarci rima.

 

A primavera sboccian le salite

e Caparrin spietata legge emana

che vieta al gruppo ogni percorso mite:

“Una salita dura a settimana,

Serra e Pizzorne quelle preferite.”

Ed oggi c’è il versante di Pariana,

inedito per quest’opera inetta

che sempre fa puntate di Pasquetta.

 

Vorrebbe tante genti il Presidente

che purgasser l’accidia con quest’erta

propedeutica al Giro già incipiente.

Genti ne arrivan, quest’è cosa certa,

mancan però soltanto quelle lente:

chi giovarne potrebbe oggi diserta.

E parte uno squadrone transeunte

ch’è fatto sol di capitani e punte.

 

“Uno non c’è davver che vada adagio!”

Commenta Caparrini senza lodo.

E c’è pure Trasacco con un magio,

di quelli che a vederli vanno sodo,

e Caparrin pedala senza l’agio

temendo d’arrivare a quest’approdo

come ai tempi oramai di vita scorsa

quand’era sempre e solo il fin di corsa.

 

Scruta perciò di Bagnolin la forma

e spera che il rinato Traversari

insieme a lui sulla salita dorma.

Son gli unici che giudica al suo pari,

il resto sarà tumultuosa torma

di cui stimar potrà solo i divari.

(A. Bagnol per scansar l’ultimo posto

scala Pizzorne dal versante opposto).

 

Privo di Muritan e Bagnol Elle,

Caparrin che sappiam è buon pastore

rischia il divario dalle pecorelle.

Però a Collodi vede un nuovo attore

che par disceso in gruppo dalle stelle.

Indossa maglia di social colore

che pur coperta da rete da pesca

gli dà diritto d’arte nella tresca.

 

“Io non so chi tu sei né qual azzardo

condotto t’ha fra noi, però sociale

mi sembri veramente se ti guardo.”

Così pensava il duca, e a pensar male

pensava pure che su quel traguardo

c’era speranza di staccar quel tale,

perché invitato fu dal prode Nucci

che in genere li sceglie debolucci.

 

Ma non erano giunti ancor a Villa

Basilica, che in due il ploton esplode

quando Boldrin accende la scintilla.

Otto teste distaccan quattro code

e Caparrini che già sfiata e trilla

conta i compagni, guata e poi si rode

quando vede anche l’uomo con la rete

davanti a scalpitar per altre mete.

 

Insieme a lui, che s’agita ed anela,

oltre ai due prevedibili scudieri

sta la Bertelli con il mal di mela.

E Caparrin che a lei mostra sinceri

propositi d’aiuto, intanto cela

molto sollievo dentro ai suoi pensieri:

“Mela dolente, pure se di fata,

facilmente sarà da me staccata!”

 

Se Caparrin così lascia la croce

alla Bertelli, pur in quei davanti

calvario si consuma ben più atroce.

Eran compatti in otto ed ansimanti,

solo Trasacco aveva calma voce

sciorinando freddure da far pianti.

Boldrin che bevve un boccettin d’assenzio,

cupo remava in coda ed in silenzio.

 

Il reziario si stacca ma Boldrini

tosto lo segue nella triste sorte,

piantato come i cimiterial pini.

Chiarugi che rinvien da dietro forte

a Pariana lo lascia ai suoi destini:

tant’è amaro che poco è più morte.

E nel paese dalla palla elastica

Boldrini rumina ed amaro mastica.

 

Chiarugi passa il magio, Zio e Tempesta,

ma Nucci ed il robotico Trasacco

sull’ombroso altopiano fanno festa.

Ma non c’è verso degno dello smacco

del transgenico dalla glabra testa

oggi vinto da qualche uman acciacco.

E amaro più sarà, più sarà tetro,

pure il caffè nel bicchierin di vetro.

 

Non temete lettori, egli rinasce,

Boldrin si scuoce subito se è cotto

e di rivalsa a rincasar si pasce.

Quando la terra piatta sente sotto,

china la testa e liquida le ambasce,

tanto che qualcheduno rischia il botto.

Per Chiarugi non fu salita dura

quanto la strada dietro a lui in pianura.

 

Fra un Boldrini fogato sui quaranta

e un Chiarugi serafico sui trenta,

il gruppo un po’ s’interroga e s’incanta

ma poi perviene a soluzion più lenta,

anche perché Bertelli quand’è affranta

un’ululante silfide diventa.

Forse non fu spontanea compattezza

ma comunque è un finale che s’apprezza