Quarta puntata 15/02/2004

Dove si narrano le peripezie di un trinacrio giovine virgulto.

 

Avevamo un Bagnol ch’andava in crisi

in modo controllato e cartesiano.

Boretti e Pucci avevano due visi

ardenti di sudore disumano

quand’erano in salita stanchi e lisi.

Era però un ciclismo ormai lontano:

adesso pigliano la via ridotta

piuttosto che rischiar di far la botta.

 

Chi s’allena una volta alle calende

è diventato anch’egli tra gli esperti

e nessun rischio d’esplosione prende.

Però tu spettator non ti diverti

a seguire un ciclismo di vicende

senza travagli né dolor inferti.

Lo sport fin da Nerone annoia e langue

se non si versan lacrime con sangue.

 

Dopo imprese di gola più che spada,

ecco che i nostri eroi con gran sussulto

ritrovan gloria ed epos sulla strada,

grazie a un trinacrio giovine virgulto

che a calcoli energetici non bada

e s’offre implume al loro antico culto.

D’Empolitour sul sacro altare s’offre

e sacre pene corporali soffre.

 

Udì dei biancazzurri le sirene

e al gruppo s’appressò quella mattina

con sorrisi presaghi non di pene.

“Carmelo son, Carmelo son Mirmina.”

Disse stringendo man d’augurio piene,

lindo e novello come da vetrina,

gialla la bici e giallo il manto nuovo

come pulcin uscito appen dall’uovo.

 

“Che tenerezza!” Disse la Bertelli

che sotto l’ala se lo pose al fine

d’insegnargli a volar con gli altri uccelli;

e lui vide la rosa, non le spine,

vide davanti a sé gustosi ostelli,

vide un campo di fiori, non di mine.

Pensava: “Se costor son quel che sento,

io me la cavo senza allenamento.”

 

In effetti costor, a prima vista,

ma anche alla seconda, son depleti

della normale facies del ciclista.

Se Bagnoli, Boretti son atleti,

o Caparrin o tanti della lista,

esser atleta può persin lo yeti,

e pur Boldrin che par maestro e donno

oggi va col cimelio di suo nonno,

 

ben ponderosa e nobile ferraglia

che sotto i colpi della coscia immane

vibra gemendo e molto si travaglia.

Invece Tempestin, ignaro e inane,

una Colnago si comprò al dettaglio

come si compra la mattina il pane.

In barba a chi se l’ordina dai sarti,

l’ha vista e tosto ha detto: “Me la incarti!”

 

Mirmina li osservava con gran studio

e, fin a che la strada stava a valle,

leggero pedalava con tripudio.

Il fiato era un rumore di farfalle

e, a parte qualche flebile interludio,

sentor non c’era d’aspro e duro calle.

S’avvicinava dunque il caldo alloggio

lassù fissato a San Donato in Poggio.

 

S’aprì perciò frenetica la danza

con Chiarugi, Boldrin, Tempesta e Zio

a primeggiar con foga ed eleganza,

e fra un fiaton, un raglio e un cigolio,

sembrava udirsi a molta più distanza

invocazion ai santi e a Padre Pio:

non eran del pulcin temprate zampe

per affrontare le pur miti rampe.

 

“Resisti ancora, giovine Carmelo!”

Gridava il prode Nucci a lui proteso,

ma fragile del fior era lo stelo

che qua e là ondeggiava al grave peso

mentre volgeva il guardo verso il cielo,

giurando che non si sarebbe arreso,

e in cima quel pulcino arrivò frollo

stretto al sicuro fra la chioccia e il pollo.

 

E il duca a lui: “Carmel non ti crucciare:

vuolsi così colà dove le ruote

vanno nel vento, e più non ansimare.

Posa su questo bar le stanche piote

e onora il nostro sacro desinare

che non esige muscolare dote.”

Ma quel pulcin affranto sul giaciglio

si mise a becchettar soltanto miglio.

 

Per dire invece quanto fur voraci

i morsi dei ciclisti a lui dintorno,

non si deve esser tanto perspicaci,

come per presagir che il suo ritorno

non fu di quelli da sorrisi e baci,

ma sulla via dei dossi a mezzogiorno

le ambasce di Mirmina furon vinte

con un concento di pietose spinte.

 

“Carmel non ti crucciare:” disse il duca

“tu non sei il primo dei ciclisti cotti

che scoppian sì che in terra fan la buca.

Tante ne fecer Pucci e Pelagotti,

e pur Boldrin sul passo di Sambuca

morto salì con spinte e con cazzotti.

Lo stesso Nucci, ch’or t’è propellente,

da giovine scoppiava, me presente.”

 

Lo riportaron sano e salvo al nido

il giovine che venne qui da Noto

sì forte fu l’affettuoso grido.

Inerme egli volò verso l’ignoto

ch’è per definizion suadente e infido,

e a spese di sue gambe colmò un vuoto;

chissà s’or si saranno consolate

per rivederlo ancor altre puntate.