Quarantottesima puntata 01/01/2007

Anche senza Senario, pur di pedalare a Capodanno ogni convento è buono.

 

“Scriver vorrei sul nuovo calendario

tanti ciclisti e tante biciclette,

pronti e frementi già dietro il sipario

per conquistar la prima delle vette,

per stappar lo spumante sul Senario

il primo giorno del duemilasette.”

Questo di Caparrin era l’auspicio

mentre teneva in mano il dentifricio.

 

Ma quando all’anno spalancò le imposte,

capì con un sospir che le speranze

eran nel cielo e in terra mal riposte.

“M’adeguo” disse “a tali circostanze.

Sarà questo un mattin di lunghe soste

ma senza bici nelle nostre stanze.”

Così bastaron due telefonate

per rinunciar allo spumante e al frate.

 

“Da corsa allora indosserò le scarpe,”

propose Caparrin con fiero carme

“giacché le strade fatte son per carpe.”

Egli non è podista con le tarme

ma nemmen un che corre al suon dell’arpe,

e d’un grosso palmipede ha lo charme.

Perciò cessò la pioggia per miracolo

pur di non cagionar questo spettacolo.

 

La bicicletta ormai era sotto pietra,

e lui distrattamente la Gazzetta

pizzicava tra i palmi come cetra,

quando dai bordi della strada stretta,

fra l’acqua e l’aria silenziosa e tetra,

sorse il rumore d’una bicicletta.

Tosto s’affaccia e vede che Chiarugi

è pronto per partire senza indugi.

 

“O Caparrin, ché sei sempre in camicia?”

L’apostrofò Chiarugi. “Forse senti

che il tristo clima il tuo voler inficia?”

I suoi pensier rimasero tra i denti

freschi ancora di pasta dentifricia

ma la voce tradì con pochi accenti

l’ansia che lo svegliava dalla flemma

e gli poneva tosto un bel dilemma.

 

“Si langue o per la bici ci s’attrezza?

Meglio la pioggia o il vino e i tarallucci?

Di corsa, di pedale o di mollezza?”

Cosicché quando i dubbi furon crucci

e divenne insanabil l’incertezza,

decise che a decider fosse Nucci.

“Vieni al nostro cospetto, o segretario,

c’è qui Chiarugi in vena di Senario.”

 

Nucci arrivò con languido sorriso

delegando al telefon nella mano

ciò che nessuno aveva ancor deciso.

“Senario oppure giro interurbano?

Giro lungo e bagnato oppur conciso?

Si chieda alla Bertelli e a Muritano.”

Risposero anche questi sventurati

con la lusinga di spumante e frati.

 

A scriverle son cose belle e pronte,

ma per schierar quei cinque fu più lento

che scalar subito il Senario monte.

E così Caparrin disse contento:

“Il Senario tramonta all’orizzonte.

Andremo ad espugnar altro convento.

Uno ce n’è in pianura a Fornacette

che ci benedirà il duemilasette.”

 

Ecco d’Empolitour zoccolo duro,

coloro che non temon le intemperie,

l’irriducibil nucleo, il verbo puro,

quelli che con la bici vanno in ferie,

con l’afa, il vento, il gelo e il cielo scuro,

senza temer né sfarzo né miserie.

E Muritan che fu brutto anatroccolo

dopo un anno torreggia in questo zoccolo.

 

La strada per la redenzion terrena

è piatta e lastricata di poltiglie

ed ogni bici fa ben presto pena.

Vanno veloci come le famiglie

che passeggian d’estate sulla rena

a cercar coi bambini le conchiglie.

E il convento che appare sul più bello

s’apre con elettronico cancello.

 

Là nessun frate v’è benedicente,

e dei ciclisti il fitto borbottio

è l’unico rumore che si sente.

Qui Caparrin diviene allor restio,

dubita che fra quelle luci spente

possa apparire qualche Padre Pio;

è più probabile che in quella pace

possa apparire qualche can mordace.

 

“O pellegrini,” Caparrin propone

“mi pare che dobbiamo accontentarci

di spumante senza benedizione.

Orsù, per San Pancrazio allor si marci;

è dopotutto un santo, e poi dispone

d’un accogliente e caldo circol ARCI

che ci soddisferà l’usanza arcaica

di un’augurale sosta, anche se laica.”

 

Erano cinque, e meno di due miglia

distava da quel punto San Pancrazio,

eppur, sarà per l’acqua o la fanghiglia,

anche in cotal frangente ci fu spazio

per creare un penoso parapiglia.

Nucci, che della mota non fu sazio,

infatti, per dar lustro alla puntata

sparì per strada incognita e sterrata.

 

Da meno la Bertelli esser non volle

e per crear più pathos ed attesa,

due volte risalì lo stesso colle,

senza saper che in cima a quell’ascesa

non c’eran ad attender molte folle,

ma un’amara e terrifica sorpresa.

Il circol ARCI che lo aveva illuso

Caparrini trovò deserto e chiuso.

 

Ma il duca per i bar ha doti antiche

e li sa ritrovar per via nasale

o come il formicaio le formiche.

Al gruppo di lentezza innaturale

poi s’accosta un ciclista di King Bike

credendo che qualcuno stesse male,

e non fa in tempo ad essersi pentito

che la Bertelli l’ha di già carpito.

 

Questa del Capodanno fu la fine:

in un barretto a Quirico, altro santo,

brindando col caffè nelle tazzine.

Resta nel core forse un sol rimpianto:

che con queste vicende sopraffine

si sia sprecato del poema un canto,

tornando a casa con le ruote affrante

senza aver visto frate né spumante.