Sessantunesima puntata 24/02/2008

Troppa grazia Montefioralle. Sulla prima salita vera dell’anno la botta è una e trina.

 

“Cos’è la botta?” Domandò Maltinti,

consapevole ormai d’esserne immune.

E il duca a lui: “Color che sono spinti

o vorrebbero il traino con la fune

o quelli che zigzagano discinti

come dispersi in assolate dune:

prendi costoro come sani esempi

perduti ormai nei più remoti tempi.”

 

Dopo parecchie sterili vicende,

la botta tanto chiesta e disattesa

sul capo di Maltinti più non pende,

e nella mente fiera dell’impresa

nessun dubbio profetico s’apprende

quando domanda, non senza sorpresa:

“Ma in che consiste questo odierno calle

che si chiama, mi par, Montefioralle?”

 

“È un’agevol salita,” gli risponde

Nucci sornione “una salita breve

con ameno castello tra le fronde.

Lo scoprirai quando saremo a Greve.

Così lui dice e dentro sé nasconde:

“Vediamo se davvero se la beve.”

Ignorava Maltinti quanto brucia

l’incauta ingenuità della fiducia.

 

Col drudo Lisi tosto si consulta

e quando il gruppo placido rallenta

scattano via come una catapulta.

Caparrin di fermarli invano tenta

ma il core di Maltinti troppo esulta

mentre pedala forte e non paventa.

“Pedala, Lisi, spingi, tira,” gli urla

“ché d’ora in poi nessuno più ci burla!

 

Abbiam finito di vedere schiene,

oggi, Lisi, in salita si primeggia

con l’onor del distacco e senza pene.”

Per questo fatto il gruppo rumoreggia

ma rincorrerli adesso non conviene,

or che Maltinti è un’impazzita scheggia

e può fermarlo ormai, con Lisi a bada,

soltanto l’ignoranza della strada.

 

Fu invece visto quel fatal castello

e cominciarono a salir di petto

i due fuggiaschi ignari del tranello.

Erano soli e senza alcun sospetto

e Maltinti incitava il confratello

finché qualcosa lo lasciò interdetto.

“O Lisi,” disse non con poca stizza

“ci hanno fregato, qui la via si rizza.”

 

E mentre cominciava la salita

ad esser come da programma arcigna,

questa fu l’ultima sua frase udita.

La faccia che all’inizio era sanguigna

divenne macilenta e scolorita,

sì come burro al sole che traligna.

E cominciò la gran crisi sì orrenda,

che de la più non sarà mai ch’intenda.

 

“Non mollare Maltinti!” Gridò Lisi

che di per sé pativa una gran soma

ma si opponeva ai fati già decisi.

La volontà dei due giammai fu doma,

solo la botta li trovò divisi:

uno soltanto in crisi e l’altro in coma.

Ed è pur chiaro qual ciclista esploso

fu sorpassato in stato comatoso.

 

Ché mentre la pendenza lo tartassa,

Maltinti deve pur subire l’onta

del gruppo che ragiona, guarda e passa.

Ogni sua pedalata ormai si conta

come al pugile quando al suol s’abbassa,

ma dal sellino ancora egli non smonta.

Smonta il buon Lisi con la scusa grata

di un’opportuna assai telefonata.

 

Mentre Maltinti sta invocando il prete,

Montefioralle ancora non si sfama

ed altra vittima inattesa miete.

Nucci par degno dell’antica fama

ma dietro a lui con gran vigor compete,

sbuffando e sputacchiando come un lama,

un ciclista che rima fa con beffe,

nientepopodimen che Bagnol Effe.

 

Egli, che già dovrebbe esser contento

di sopravviver su cotal pendenza,

spinge e s’inarca con bel portamento

finché esaurisce il ben dell’incoscienza

e resta con le gambe di cemento

subendo della botta la sentenza.

“Mi s’è sganciato dal pedale il piede.”

Bagnoli dice, ma nessun gli crede.

 

Mentre sul Chianti il sol fa capolino

e su Maltinti ormai cala la notte,

riparton mesti Lisi e Bagnolino,

ma consci e fieri che le lor condotte

han cagionato un unico destino

estrinsecato in tre diverse botte

di cui Maltinti, su tal tema egregio,

vuol ottenere il giusto privilegio.

 

Infatti, quando tutti sono in vetta

al Poggio Testalepre e lui s’illude

ch’ora la via sia diventata retta,

notando ancora che il cammin è rude,

sente la croce della bicicletta

posta a supplizio sulle spalle nude,

e il casco è una corona con le spine

che di sangue e sudore bagna il crine.

 

Poi come incanto la Madonna scorse

(era Bertelli) e pria del terzo giorno

così Maltinti a Mercatal risorse.

Non l’onor della musa ma lo scorno

nell’orgoglioso fisico lo morse

e gli fece esclamar: “Con voi non torno!”

Ma sarebbe davvero un gran peccato

se di tal botta fosse già appagato.