Sessantaquattresima puntata 15/06/2008

Torna in scena la lieta novella di Caparrini e la gru.

 

Ne avevamo già viste ormai abbastanza,

pur la musa pareva soddisfatta

e s’apprestava dunque alla vacanza.

Da materia più nobile distratta,

osservava con sprezzo e noncuranza

l’Empolitour prolifica e compatta

che spingeva le brame ancor non sazie

sulla strana salita delle Grazie.

 

“Quattordici, mi par, non ha la rima,”

pensava Caparrin “tra i qual ci sono

due che, mi par, non si son visti prima.

Uno non mostra un elevato tono

ma dei chilometri ha parecchia stima:

ne fa da sol duecento all’abbandono.

La regola conferma questo Scali:

non li vogliamo se sono normali.

 

L’altro è arrivato come le formiche

seguendo il brulicare delle impronte

ma par avvezzo sol a mountain bike.

Si chiama Pagni senza esser l’arconte

(che ormai s’è perso nelle prose antiche)

ma le soste gli sembran care e conte.”

Ignaro Caparrin, lieto e pensoso

ammirava il suo gruppo numeroso.

 

“Oggimai chi sarà il protagonista?

Maltinti no perché già troppo esplode,

Boldrin nemmen perché troppo s’attrista,

nemmen Salan ch’è forte senza frode

e dietro a lui implacabile apripista

la vaga musa osserva ma non gode.”

Caparrin pensa solo alla sua squadra,

non al destino baro che lo inquadra.

 

Pedala il presidente e pensa lieto:

“Sul San Baronto siamo tutti insieme,

c’è pure Borchi unito a noi in segreto.”

E intanto quando sul pedale preme

ode un rumor metallico discreto

come vocina garrula che geme.

“La bici porterò” pensa parlando

ad unger dal fedele fabbro Brando.”

 

“Le Grazie son salita che v’aggrada.”

Dispone a grande voce il saggio duca.

“Ma state attenti a non sbagliare strada.”

E intanto c’è chi liquida e s’imbuca,

e c’è chi biascica tascabil biada.

Caparrini non piscia né manduca,

alla sorte dei sudditi egli pensa

mentre la voce gracchia ancor più intensa.

 

“Eccoci a San Felice. Ora a sinistra

convien che tra un chilometro si giri.”

Caparrini consigli somministra.

“Vadano pur avanti i probi viri.”

Il plotone dei lenti egli registra

attutendo il rumor coi suoi respiri.

Fra un rantolo ed un altro i buoni orecchi

avverton cigolii costanti e secchi.

 

Greck, gheregreck. “Da Brando, sì, la porto

ed ungere il pedal sinistro deve”

Pensava Caparrin col fiato corto,

ma fu pensiero transitorio e breve

perché il pedale senza alcun comporto,

prono all’ingiuria di possenti leve,

fu lesto a sublimare il suo difetto

e con un colpo si spezzò di netto.

 

“O sudditi, accorrete al capezzale!”

Spodestato da sella il buon monarca

gridava, in man brandendo il vil pedale.

Sul punto di rottura ognun s’inarca

e con finta perizia ogni sodale

medesima diagnosi rimarca.

“Irreparabilmente esso s’è rotto.”

Dice pure Boldrin ch’è molto dotto.

 

Al momento i problemi son diversi:

come ritorna il presidente in sede

e come si ritrovano i dispersi.

Il presidente lì per lì non cede

e della gru si mette a fare i versi

pedalando sol con il destro piede.

Ma gli ignari al contempo e pur gli ingrati

per le lor strade se ne son andati.

 

Sei son avanti e non sapranno niente,

Boldrini fugge appena vede grane,

Maltinti guarda e passa il presidente:

“Vo in cima e torno!” Dice e non rimane,

ma poi per sempre sarà dato assente

e le ricerche dei compagni vane,

che burlano e filmeggiano il maestro

sbilenco pedalante con il destro.

 

In pianura la gru pedala e arpiona,

prendendo l’omero di Scali a nolo

quando diffida della gamba buona.

Il San Baronto con un arto solo

è un’impresa che suscita e emoziona,

ma mentre freme per spiccare il volo,

con lusinga di traino ancor convinta,

la fortuna gli dà più forte spinta.

 

Un ciclista s’udì misericorde:

“O gru che peni in mezza bicicletta,

anche se la coscienza ti rimorde

e ti frena l’orgoglio, dammi retta.

Fai che le muse non sian troppo ingorde

ed in mia macchina un passaggio accetta.”

Tosto frenò la bici e pur l’orgoglio

il presidente e disse: “Sì, lo voglio!”

 

San Baronto scalò col capo chino

nell’abitacolo d’improprio mezzo

sporgendo il braccio fuor dal finestrino,

giacché per evitar onta e disprezzo

di quelli sorpassati sul sellino,

mostrava loro il martoriato pezzo,

come per dir: “Credetemi, s’è rotta,

non ho compiuto un’epocale botta.”

 

Su questo salmo terminato in gloria

ancor piccolo dubbio ci arrovella,

a guisa di poscritto della storia.

Non sulla saga della pedivella,

ch’è pur filmata a postera memoria,

ma su un punto ai lettori ci s’appella:

se qualcun di Maltinti sa le sorti,

pria di domenica ce lo riporti.

 

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