Sessantacinquesima puntata 21/09/2008

Aggiornamento delle puntate perdute con nuovi personaggi e nuova botta

 

“Questo silenzio già durò abbastanza.”

(E Caparrin con fremito lo ruppe

rivolto ai suoi ciclisti in adunanza).

“È quasi un mese ormai che le mie truppe

cessaron le fritture di paranza

per dedicarsi alle solite zuppe.

Ma tu che elevi a rima i nostri cori,

o musa, son tre mesi che c’ignori.”

 

Ed ella a lui: “Di voi Ciclisti Erranti

volevo ricantar a fine agosto

allor che vi rividi pedalanti.

Ma appena giunsi in sede di nascosto

ne trovai in sella sconosciuti e tanti

che immaginai d’aver sbagliato posto.

Io che son limitata come musa

rimasi francamente un po’ confusa.

 

Vabbè, i soliti noti c’eran tutti

ma insieme ai vostri ormai famosi volti

altri ne scorsi parimenti brutti.

E di costoro, ch’erano dimolti,

convenuti a timbrare i lor debutti

mi domandavo chi l’avesse sciolti.

Per giunta due esemplari di codesti

par che indossassero sociali vesti.

 

Vabbè, pensai, ciclisti occasionali

son sempre stati cosa ben accetta

nelle monotonie domenicali,

perché giungon sfarzosi in bicicletta

con lusinga di soste e baccanali

ma in verità non san quel che li aspetta,

e ci regalan scatti, fughe e lotte

che culminano in epocali botte.

 

Ma questi bei ciclisti sconosciuti

pur impegnati in rampe con lo sterro

non mi parevan tanto sprovveduti.

Persino Pelagotti, se non erro,

che si rivede sol per i saluti,

pingue sbuffando sull’onusto ferro,

parve tornar ciclista antico e degno

e non pagò di botta atteso pegno.

 

Delusa pure dal professionista

delle botte, il già celebre Maltinti,

decisi d’aspettar peggior ciclista

ché mi sembraste pure voi convinti

che i nuovi dopo una fugace vista

tornassero nel novero di estinti.

Ma passan varie e innocue settimane

e il gruppo folto e ignoto ancor rimane.

 

Perciò, giacché son io che i versi ispiro,

dimmi chi son gli assidui ormai novizi

anch’oggi battezzati a nuovo giro.”

E Caparrini: “Prima che s’inizi

te li descriverò con un sospiro

perché di lor conosco pochi vizi:

son usi a gruppi atletici e fogati

e con noi vengon per picnic sui prati.

 

Se musa tu non fossi stata al mare

conosceresti senza gonfiar guancia

quei due vestiti in modo regolare.

Son reduci da Giro e Tour di Francia,

ove il nostro ciclismo alimentare

concilia le salite con la pancia.

Corrotti ormai alle soste coi cornetti

son Carlone Rinaldi con Cocchetti.

 

Con lor son due di ben difforme taglia,

fra di noi capitati chissà come,

con la scritta Maltinti sulla maglia.

Non conosciamo il loro vero nome

ma purtroppo la scritta non s’attaglia

alle lor forze che non sembran dome.

Quello che vedi in foggia di colosso

è vigile ma passa assai col rosso.”

 

La musa un po’ delusa prese appunti

e così la puntata partì tardi

quando già a Pontedera erano giunti,

ma bastaron comunque pochi sguardi

perché fosser nel gruppo allor desunti

ciclisti in fama di dinamitardi,

fra i quali il redivivo esperto in crucci

Pucci il nipote dello Zio di Pucci.

 

La speranza però perì fanciulla,

ché Pucci dopo ondivaghi singulti

capisce presto di svanir nel nulla.

Orfano il gruppo va senza sussulti,

nell’allegra frescura si trastulla

o in fila sta come ciclisti adulti.

Ma uno scattin di Borchi da rapace

castiga il figlio e la goduta pace.

 

L’asprezza somma d’un cavalcavia

d’innocenti fa strage più d’Erode

e toglie i men solerti dalla scia.

Il ploton in frammenti vaghi esplode

e non si sa chi avanti o dietro sia

o chi sia retroverso senza lode.

Caparrin fa la conta e manca Lisi,

in fuga solitaria o in piena crisi?

 

Caparrin chiama e Lisi non risponde,

mentre Boldrin decanta la sua sella

ancheggiando giulivo come l’onde.

“Ammirate” declama “quant’è bella!

L’effetto fa delle rettali sonde

quando sulle mie chiappe si modella.”

Ma il plauso di tal mistico fervore

fu un allarmante ferrico clangore.

 

Crash, caracrash! “Il gruppo è tutto al suolo!”

Esclamò chi volgeva a lui le spalle.

“No, caduto è Boldrin tutto da solo.”

Con turbamento e rotazion di palle

s’alza e dichiara che non ci fu dolo,

che il transgenico corpo non ha falle.

S’udrebbero però strazianti grida

se immaginasse dove il duol s’annida.

 

Passano Santo Pietro e Terricciola

e Boldrin sembra ancora tutto intatto

anzi, con qualche scatto si consola.

Ma quando il gruppo placido e compatto

sul colletto di Peccioli s’invola

la cruda verità scopre col tatto:

sul tubo orizzontale di carbonio

c’è un segno inopinato del demonio.

 

Quando mostra la piccola frattura

tutti del cruccio suo sono presaghi

conoscendone dedizion e cura.

Poi fugge prima che il dolor dilaghi

forse pensando con buona ventura

che l’assicurazion glielo ripaghi.

Ma non s’invidia il mastro carbonaio

che gli dovrà forgiar nuovo telaio.