Il diario

di Beatrice Bertelli


Prefazione

Recenti scavi archeologici sulle rive dell’Arno hanno permesso di riportare alla luce le rovine dell’antico borgo di Spiculum, ove a cavallo di due millenni visse la leggendaria ciclista Beatrice Bertelli. Grande interesse ha suscitato il ritrovamento di un manoscritto cartaceo, scritto a lapis e inzeppato di fogli volanti, attribuibile con quasi certezza alla pulcherrima athleta di cui molti scrittori esaltavano la mirabile armonia fra grazia e vigore fisico. In quel tempo una donna in bicicletta costituiva una specie di rara avis, ma la Bertelli era animale ancor più raro, semplicemente unico: era una donna innamorata della bici. E questi suoi inediti scritti lasciano trasparire con immediatezza alcuni significativi momenti di questa bella storia d’amore. Ci sono voluti alcuni mesi per tradurre le pagine incolte e selvagge in forma di ipertesto, ma ne è valsa la pena. Si scopre un ciclismo che non è solo forza e resistenza ma soprattutto un potente generatore di sentimenti. Non troverete né cronache né racconti in senso stretto, ma frammenti sparsi di uno zibaldone di pensieri, emozioni, immagini ed anche profumi, a ruota libera. I luoghi sono vaghi od omessi, o talora aggiunti o corretti dal traduttore; del resto l’indeterminazione spaziale fa parte dell’essenza più intima dell’autrice che, come scrisse un cantore di quel periodo, tal De Gregori, “non sa dove andare comunque ci va, va dietro ai fratelli e si fida, ogni tanto si ferma ad annusare la vita.” Un’ultima annotazione riguarda proprio i suoi  fratelli di pedale. Molti di loro trovano riscontro anche in altri documenti dell’epoca e pertanto le loro descrizioni, talora entusiastiche, sono da ritenersi attendibili. Gli esegeti nutrono però seri dubbi sull’autenticità di alcuni versi che la redattrice del diario afferma di aver ricevuto da Chiarugi (chi era costui?).


 

15-8-1998 Vacanze estive Bormio

MORTIROLO      

L’impresa.

 

Quella mattina partimmo da Bormio alle ore 8.30. Eravamo in cinque: c’era con noi anche Carlo, un ciclista conosciuto il giorno prima sulle dure rampe dello Stelvio. Carlo, Fabio, Marilena, Mauro ed io pedalavamo contenti matti perché,  nella lista delle montagne scalate, quel giorno avremmo aggiunto il passo Bernina. C’erano molte rotaie a Tirano e la cosa mi mise un po’ di malumore e agitazione. Purtroppo nei pressi di *** vicino al bellissimo lago, Carlo scivola su una di quelle maledette rotaie, cade e si rompe il dito mignolo della mano sinistra. Ci sarebbe da aprire una parentesi su quella che è stata la pignoleria elvetica nel chiedere 130000 lire per una fasciatura, rifiutata da Carlo naturalmente ma …sorvoliamo. A quel punto il gruppo si sfascia perché, per una semplice incomprensione, perdo le tracce di Fabio e Marilena. E Mauro? E’ andato a cercarli e si perderà a sua volta. Aiuto, mi ritrovo sola! Saluto Carlo (nel frattempo è stato raggiunto dalla moglie in macchina) e un po’ sconsola me ne ritorno a Bormio. Avevo pedalato per tre ore e mezzo circa quando mi trovo nei pressi del bivio che porta al passo del Mortirolo. “Mio Dio, io ci provo!” dico ad alta voce. Ho avvertito la pura sensazione di sfida che si apre fra te e una cosa enorme, inaccessibile, eccitante! Era mezzogiorno (ricordo il suono delle campane), faccio rifornimento alla fontana e..via! Mi venivano in mente le immagini del Giro, dei grandi campioni, delle pendenze proibitive, dei racconti dei miei compagni: di Stefano che aveva messo piede a terra, della crisi di fame di Gianluca. E io? Ce la farò? Incontro il primo ciclista, lo incito a proseguire con me ma semplicemente mi saluta. E via di nuovo su, da sola. Il fiato sempre più corto, la velocità ai minimi termini mi annebbiano la vista e i pensieri aggressivi. La tentazione di fermarsi ad ogni curva è tanta ma quella di “vincerle”  era più forte. A tre km dal passo trovo tre ciclisti romagnoli. Mi riconoscono e mi incitano ricordando la vittoria della Diablo. Li passo, li saluto e proseguo sotto un sole cocente; è quasi l’una. Sui prati si vedono  già molte persone che pranzano  e, tra un boccone e l’altro, mi incitano. “Una donna! Brava” e mi applaudono. Sono delle formidabili iniezioni di fiducia. Arrivata al passo mi sono emozionata, ho sentito i brividi. Era un po’ come quando ho partorito il mio piccolo Elia: una volta nato ero talmente felice che tutta la stanchezza e il dolore erano svaniti.

Grazie bellissime montagne, grazie per queste sensazioni uniche, irripetibili, così diverse l’una dall’altra ma sempre grandi da arricchire l’anima. Grazie salite  per essere così tante! Il giorno dopo, insieme ai miei tre compagni (Carlo no!), ho aggiunto alla lista il Gavia partendo da Ponte di legno. Altro giro, altra corsa!!     

 

SCANDALO

Per una bicicletta azzurra

Livorno come sussurra!

Come s’unisce al brusio

Dei raggi, il mormorio!

 

Anima sbucata all’angolo

Ha alimentato lo scandalo.

Ma quando mai s’è vista,

in giro, una ciclista?

                              Giorgio Caproni

 

 

 

Correre, sentire il cuore che batte all’impazzata. Trovare dentro di te l’ultima risorsa, per poter procedere. Dico correre, ma per me vale più pedalare…Si, adesso sono quasi al passo, sono nei pressi di un tornante. “ Sono salita fin quassù. Come ho fatto?” dicevo le prime volte. Adesso invece pretenderei addirittura di non sentire la fatica, pretenderei a volte di non sentire il cuore che va via come un pazzo, quasi come  un levriero. Così esile, così snello ma veloce e forte. E via, pedalare, lassù. Vedi com’è bella la cima? Lassù dove il sole è ancora intenso, più forte e caldo. E’ bella quest’aria, è sublime il fatto che io viva queste cose con passione. Sto facendo l’amore con il mio cuore!

 

 

 

LA LUNA E LA NOTTE

Quella notte guardavo la luna

Sì ero alla finestra

E la guardavo

Poi ho lasciato la finestra

Mi sono spogliato

Mi sono messo a letto

E subito la camera

Si è fatta molto chiara

La luna era entrata.

 

Sì avevo lasciato aperta la finestra

E la luna era entrata

Era proprio là quella notte

Là nella mia camera

E brillava

Avrei potuto parlarle

Avrei potuto toccarla

Ma non ho fatto nulla

L’ho soltanto guardata

Sembrava calma e felice

Avevo voglia di accarezzarla

Ma non sapevo che pesci pigliare

Restavo là….senza muovermi.

 

Lei mi guardava

Brillava

E sorrideva…

Allora mi sono addormentato

E quando mi sono svegliato

Era già l’indomani mattina

E ..c’era soltanto il sole

Sopra le case

                     Jacques Prévert

 

 

 

Cercare qualcosa nella mia libreria è come  entrare in una vecchia soffitta perché vi si può trovare di tutto: appunti, foglietti, vecchi quaderni e diari, lettere ricevute e anche quelle mai spedite. Ieri ho trovato un foglietto sul quale avevo raccontato di quella mattina che…….

 

 

Ottobre 98

CERVIA- Scuola di ciclismo D.Cassani

 

Dietro la curva la strada cominciava a salire. Quella mattina, una delle prime d’autunno, il sole splendeva e l’aria era pungente. Davide decise di partire presto, nonostante il freddo, perché i Km da fare erano un centinaio ( e passa…!). Nel gruppo di cicloturisti entrarono a far parte, bontà loro e onore nostro, alcuni componenti della squadra di Pantani. Uno di loro si chiama Fontanelli, uno Conti ma quello del terzo non lo ricordo proprio. Si aggirava nei paraggi anche Tugnoli, noto e bravissimo granfondista, che decide di seguire le sorti della troupe. Far parte di quel gruppo mi rendeva felice ma anche un po’ intimorita. Riuscirò a tenere le ruote? E se rimango staccata? Bastano poche pedalate per sentirmi a mio agio e nel giro di pochi Km ho già socializzato e sapevo tutto di tutti. Alla prima salita qualcuno ha dei problemi con la catena. Paolo (Brosio) addirittura la rompe e Albenga finisce dentro una buca a causa della sua distrazione. Mi sento libera come non mai. Davide si avvicina e mi chiede se tutto va bene. “Come potrebbe non andare? Pedalo, è una bella giornata e non sono a scuola. Cosa voglio di più?” Franco, centocollista di Arco mi è vicini e parliamo di tutto: delle cose belle, di quelle brutte, esistenziali e becere…e la strada va  E la salita pure! Mi guardo intorno e scopro che sono rimasta con Cassani, Fontanelli, Conti e un altro del gruppo. Finita la salita Davide si volta e con l’erre moscia che sempre lo distingue mi guarda, sorride e mi dice “Però!”. Fontanelli invece, fra un respiro e un altro non perde occasione per farmi la corte. Io gli rispondo con gentilezza ma gli faccio capire che è proprio tempo perso. Lui insiste…Si vede che ha energia da vendere. Il gruppo si è ricomposto. Abbiamo già fatto quasi 1000 km quando io prendo in pieno una buca. In men che non si dica, dall’ammiraglia esce il meccanico e mi cambia la ruota. Il gruppo intanto si allontana sempre più quando tre moschettieri vengono in mio aiuto: Cassani, Fontanelli e Conti. Sono diventati i miei gregari e mi riportano “sotto” a una velocità che non scende mai sotto i 45 Km/h. Credevo di morire ma mi sono sentita un po’ ganza quando Cassani agganciato il gruppo mi ha detto “Capitana, ce l’abbiamo fatta”. Capitanaaa! 

 

 

    

Cronoscalata dello Stelvio

Bormio 18 Luglio 1999

 

Non avevo la spinta giusta e necessaria per affrontare la gara. Invidiavo lo spirito della partenza dei miei amici dell’Empolitour per il Tour, in Francia. Invidiavo la loro serenità e nello stesso momento mi pesava la responsabilità della classifica e del voler dimostrare a me stessa che certe cose le so fare. Ma quanto sono antipatica con questi discorsi!! Il fatto è che quando mi vengono queste riflessioni mi tolgono la felicità e il senso della pedalata. Per fortuna mi succede sempre che, al “Pronti, via!” scatta quella molla che fa dimenticare questi pensieri permettendomi quasi sempre di affrontare la gara con lo spirito giusto. Sapevo di avere un bel numero di avversarie veramente brave. Tra queste la detentrice del primato e la Testori che infligge 5’ alla Scenini. C’era anche la Romani per non parlare poi di Valentina sempre più agguerrita. E le altre sconosciute dalle quali ti puoi aspettare di tutto, che dire? Quando mi rendo conto di aver sorpassato una trentina di donne e passata la Romani, so di essere dietro alle due “mostre” della salita. Mi daranno: la prima circa 2’ e la Testori appena uno. Per me è un onore essere sul podio con loro.

Lo Stelvio è sempre un gran signore, anzi una gran dama che si fa conquistare ma…in cambio vuole tante gocce di sudore.

GRAZIE STELVIO!

 

Martedì 4 Gennaio 2000

Fa un certo effetto scrivere 2000

Insieme a Patrik, unico assistente di Henri, ho pedalato per ben due ore e mezza nella bella campagna di Carquefou, frazione vicino  Nantes. Era tanta la voglia di pedalare che, appena la pioggia ha accennato un attimo di tregua, mi sono cambiata e siamo partiti. In Tandem! Cosa alquanto inedita, era la prima volta. All’inizio fa una certe impressione non gestire niente della bici. E’ solo pedalata pure. Puoi distrarti e guardarti attorno, questo sì, ma sei impotente quando in discesa vorresti tirare i freni o quando in curva senti che potresti cadere da un momento all’altro. Ho imparato quasi ad andare in sintonia durante la pedalata in danseuse. Ma è molto difficile riuscirci sempre: la bici deve muoversi in perfetto sincronismo, mentre siamo in piedi, altrimenti una boccata a terra è assicurata. Ci siamo arresi infatti di fronte a uno strappaccio perché io, non conoscendo la strada e ancora poco esperta, mi sono alzata in ritardo e non riuscivo a bilanciare bene le forze sui pedali. Abbiamo perciò messo i piedi a terra. Peccato,ma era la prima volta e sono scusata. E’ iniziato a piovere quasi subito ed eravamo già bagnati ben bene quando, a un certo punto, è iniziato a soffiare un vento da destra molto fastidioso. Le case della campagna francese sono molto romantiche. Sono quasi tutte a un solo piano e il loro tetto è d’ardesia. Le finestre sono all’inglese, spesso bianche e hanno quelle tendine di pizzo lavorato a filet che le rende uniche. Il camino è spesso presente e, sbirciando un po’ da una delle finestre ho visto persone indaffarate a mettere la legna. Il cielo è stato sempre grigio e la pioggia più o meno battente ci ha accompagnato per tutto il percorso. I paesetti erano deserti. Solo la luce che filtrava dalle finestre li rendeva animati. I giardini, pur spogli, hanno mantenuto un buon verde. Un tratto di strada divideva un bosco che emanava un intenso profumo di muschio misto a legno bruciato. La Loira, nella sua maestosità, era ancora più grande a causa della piena e il ponte che abbiamo attraversato non finiva più. Siamo rientrati al crepuscolo e io, non conoscendo la strada ed essendomi completamente disorientata, avevo un po’ di timore. Solo un caldo bagno mi ha risvegliato le sensazioni piacevoli che si provano appena si mette il piede a terra dopo una lunga pedalata. A Carquefou non l’ho avuta quella sensazione perché la prima cosa da fare era quella di prendere le chiavi del pulmino e di raggiungere l’albergo al più presto. “ Ciao” mi ha detto Patrik, “ Tu es forte”. Ho sorriso, ma dentro ero molto felice del complimento. “ A’ la procienne foi  Patrik, quand tu vien chez moi”  

 

 

Mercoledì 5 Gennaio 2000

Si mise le mani in tasca e sentì quel tenero calduccio che la fece fermare un po' per godersi il panorama. Il vento le aveva già scompigliato abbondantemente i lunghi riccioli neri e lei non ne poteva più. Quell’immagine fu però irresistibile: l’oceano. La costa della Bretagna così selvaggia, così dura e maestosa, la rapirono in un attimo. Sopra la sua testa c’era un uccello (non era un gabbiano, quelli li conosceva bene). Immobile. Era tremendamente in equilibrio fra i venti che soffiavano da tutte le direzioni. Riusciva a sfruttare, in modo perfetto, questi spostamenti d’aria repentini e tutto era semplicemente affascinante. L’uccello vide qualcosa, sicuramente un pesce e, in un attimo spiccò il volo e si tuffò in mare. Il mare! Proprio in questi giorni la marea ha portato sulle coste bretoni larghe chiazze di petrolio. E’ una desolazione. Fra uno scoglio e un altro sbucano, indaffarati e affaticati, i volontari vestiti con tute gialle e berretti blu in testa. Si davano un gran daffare pulendo metro per metro la costa. Sembra una battaglia impari: l’uomo contro le onde che portano inesorabilmente, giorno dopo giorno, nuovo materiale nero. A un certo punto, incuriosita dal rumore di uno sbattere di persiane, lei si volta e vede la casa! Si, quella casa che lei ha sempre sognato di avere.Non ha una grande passione per il mare, a dir la verità, ma una casa così è proprio quello che lei desidera. Non grande, gentile, chiare, mansarda, la porta con la campanella d’ottone, le finestre all’inglese, il giardinetto ma soprattutto la veranda. Sono la sua passione le verande. E quella è proprio bella. La padrona di quella casa oggi ha apparecchiato proprio lì e si è gustata lo spettacolo del “suo” mare un po’ mosso dal tanto vento. Non c’era molto sole oggi e quel poco stava scomparendo.” Strano- pensò lei- sono appena le quattro”. Si volta e vede arrivare la brume. Solo la parola le fa venire la pelle d’oca. E’ così romantica la brume sulla costa bretone. Si sta avvicinando e fra poco nasconderà tutto e salirà un alone di mistero. Ed è in quell’alone che lei vorrebbe sparire e vedere il suo mondo incantato.  

 

 

 

 

 

VISTI DALL'ALTRA PARTE

 

Avrei potuto mitridatizzare questo vizio sociale. Invece....

SOSTA= Luogo dove è possibile soffermarsi con sufficiente comodità…..Ma loro se ne approfittano sempre!!

 

1-1-2000   S. Maria Madre di Dio

"Chi ben comincia è a metà dell'opera" ha sicuramente pensato il dott. Nucci durante l'esclusiva sosta al Circolo Canottieri Arno di Firenze.Viene subito rapito dall'atmosfera godereccia e accetta, senza batter ciglio, pezzi di panettone e calici di spumante.  La cornice è semplicemente meravigliosa: l'Arno, il ponte vecchio, le imbarcazioni per la festa sociale, i canottieri miei amici e un ragazzo e una ragazza con bei costumi rinascimentali. Anche Lorenzo ed io abbiamo brindato: un sereno 2000 a tutto l'Empolitour.

 

6-1 2000 Epifania

Tante sono state le descrizioni delle soste a S.Gimignano e non voglio assolutamente farne un'altra.Mi soffermo solo a spettegolare e criticare l’ennesima abbuffata mattutina in piazza della Cisterna. Ho girovagato per Sangi, lontana dai ruminanti. Li salva solo la magia medioevale delle torri

 

Il maestro è assente a causa della mano rotta ma le soste si susseguono inesorabilmente. Fra le brume di S.Donato in Poggio c'è chi mangia e c'è chi beve. Massimo forse ha bevuto un po' troppo. Ho contato ben tre soste Vinicio.

 

16-1-2000 S.Marcello

Lassie è tornato a casa!!

I' Pagni pedala di nuovo con noi.

" La sua presenza non passa inosservata, è proprio un trascinatore di folle" sottolinea il presidente dopo la sosta. Monte Carlo e tutto l'Empolitour è in festa ..tranne il Chiarugi che scalpita fuori dal bar insieme alla sottoscritta che, appoggiata al cofano di un'auto, gusta il tepore del motore che le riscalda il.."soprasella ". Trionfante il maestro esce con una coppa di crema con cioccolato fuso sopra. Al suo seguito esulta, a bocca piena, la corte. Non hanno parole Chiarugi, Magnani e Bertelli. Prosit!

 

30-1-2000 S.Martina

Il monte Serra fa da cornice al paesino di Ruota. Ho sofferto il freddo per tutta la mattina. I piedi non li sento più. Accetto volentieri, mentre mi riscaldo i piedi con l'interno delle cosce, un caldo caffè al bar del paese. Ho ceduto alla tentazione del tepore e alle insistenze del maestro di soste e del suo degno vice.

 

23-1-2000 S. Emerenzana

S.Polo in Chianti. Attratti dai racconti di un anziano ciclista (certo sig. Secci) che narra di passati agonistici con G. Bartali, mi volto all'improvviso e scopro che il maestro sta affondando la forchetta nel secondo pezzo di dolce che nel frattempo aveva ordinato all'alleato barista. Sbraitando mi allontano col Chiarugi dal bar Arci-Filarmonica-Paoli. Il Magnani, indignato, si è dileguato inveendo contro l'ingordo cognato.

Vergogna!

 

6-2-2000   S.Paolo Miki

Fiesole. Giornata splendida, c'è il sole e siamo in tanti. Di tutte le stazze. Un primo gruppo si ferma al piazzale Michelangelo, saluta e ritorna verso casa. Proseguo con i  restanti ciclisti empolesi per Fiesole ( credo Maiano ). Sosta inedita: si mangia alla gloria del Chiarugi che con grande classe, talento e maestria mette tutti dietro. Tranne il primo!!! Bravo Paolo, ti meriti due baci mentre gli altri mangiano. Dove? Mah, non ne ho idea.

 

13-2-2000 S.Maura

 Peccioli vede la sosta ancora più godereccia: hanno cambiato bar. E' più grande, c'è più scelta e la sua posizione è più " comoda ". Insieme al Chiarugi li aspetto su una panchina al tiepido sole invernale. Paolo rifiuta un sorso di spremuta d'arancia dalla mia borraccia. D'altra parte ognuno deve essere fedele al suo ruolo! Da segnalare le ennesime e innumerevoli soste di Massimo. Sarà il freddo? Speriamo di si!

 

20-02-2000 (quanti 2 e quanti 0 !) S.Eleuterio

 Non ho fatto la sosta!!!

Mai successo prima. Non so dove si siano fermati, cosa abbiano fatto e mangiato. So soltanto che cavalcavo la mia bici lungo una solitaria strada fra verdi colline. Le spiegazioni geografiche dettagliate del Chiarugi mi sono entrate da una parte e subito uscite dall'altra. Panorama mozzafiato e compagnia degna di non sostisti: Chiarugi e Magnani.

Una tantum!

 

27-2-2000 S.Leandro

TINTI

" Bea, non ti preoccupare, lo fanno una sola volta l'anno "pensavo mentre ì Tinti sfoggiava tutte le sue abilità di prestigiatore.Mangiavano tutto quello che veniva loro proposto, senza ritegno. Bevevano e mangiavano come invasi da furore orgiastico. Contemplavo, nel mio piatto due miseri fili di tagliatelle, un solo raviolo, due carciofi fritti, un pezzo di torta e un caffè che rappresentano, ciclisticamente parlando, un pranzo di Natale...In fondo, Beatrice, lo fanno una sola volta l'anno!E poi...lasciarsi andare giù per la discesa. Giornata indimenticabile.

 

5-3-2000 S.Adriano

Malocchio. " Se cerca i suoi colleghi, sono tutti davanti al bar nella piccola piazza. E prendono anche il sole!" " Lo so" ho risposto quasi stizzita a uno dei pochi abitanti del ridente paese di Massa. Cozzile è ancora più bello perché : 1° ha solo 40 abitanti   2° si gode di un bel panorama  3°MANCA IL BAR!

***** a Cozzile

 

19-3-2000 S.Giusepppe

M.F Monteriggioni

Ognuno ha il suo maestro. Il mio oggi ha superato, credo, il limite : 135 km senza mangiare, bevendo un solo sorso dalla sua borraccia che conteneva acqua a dir poco puzzolente. ( Stagnava lì da due settimane) . Il tutto condito da tanta ironia perché non mi ricordavo le parole di una canzone. Pedalata piacevole in compagnia di persone veramente squisite. Arrivati a Monteriggioni c'è stato l'arrembaggio al bar.  Oggi ho giocato un po', da sola , pedalando tondo, tondo nella piazza delle 14 torri mentre loro mangiavano. Uscendo da una delle stradine che vi si immettono, ho fatto finta di non conoscerli e li ho, da lontano, scrutati uno ad uno. Seduti davanti al bar, erano loro i padroni della piazza. Uno,  il più grosso,  era in piedi e,  con fare agitato,  cercava di far tornare i conti. Altri due, forse non mangiavano da mesi, stavano divorando del pane con prosciutto. Li affianca un ragazzone di giallo vestito le cui cosce sono leggermente più larghe del panino che tiene in mano. Zitti e buoni, ma mangianti, altri due smilzi ciclisti gareggiano a questa competizione di ganasce. Un altro invece rumina qualcosa che da lontano sembra un biscotto. Gravita un alone di mistero attorno ad un tiratissimo ciclista seduto un po’ in disparte.  Perché lui non mangia? Mah, penso, forse ha già mangiato ed è stato il più ingordo di tutti.

 

 

16-4.2000 San Isidoro

 Cavriglia e…voglia di esserci a tutti i costi!

Il rumore del vento in discesa mi levava dalla mente le negatività e aveva un effetto purificatore. Oggi mi sentivo leggera e libera, quasi volavo. Le curve mi aiutavano a danzare con la mia blu Cannondale. A Castelnuovo dei Sabbioni ì Nucci e ì Chiarugi mi hanno fatto notare la casa del cruciverba. Naturalmente mi è venuto in mente “il Tardivo”. Quel suo modo di essere diverso lo rendeva unico come….. li rende unici il loro modo di essere famelici. Credevo fosse una sola volta l’anno (vedi Tinti) invece, se andiamo avanti di questo passo, temo diventi un’abitudine. Il rientro è stato veramente bello: voglia di chiacchierare, essere vicini, pedalare a pancia piena (loro!) ma soprattutto attaccarli sull’ultima salita dal momento che i loro fegati sono in tilt. Solo ì Nucci non cede: sarà il più bravo di tutti?

 

 

 

MACEDONIA DI " FRUTTA ESOTICA "

Mi piace annotare frasi di autori più o meno celebri se queste mi procurano una certa emozione. E’ venuto fuori un puzzle o una macedonia di frutta esotica come il mio maestro ha detto, che mi ha fatto pensare a un gruppo che pedala incurante della fatica, del vento, della pioggia. Naturalmente anch’io fo parte del gruppo.

 

E' DOMENICA OGGI E L'ARIA SA DI MIELE (P.J TOULET)

Pedalo e sono felice

LA MIA GIOIA E' UNA MARMOTTA CHE DANZA (C. GOVONI)

Peccato! Oggi non c'è il sole e

LA PIOGGERELLA BIANCA DEL MATTINO E' UN PICCOLO PIANTO (D. VALERI)

Inizia la fatica, si dà il via alla bagarre

LE VOSTRE FACCE SONO PUGNI DI RUGHE (PALAZZESCHI)

E

IL MIO CUORE E' UNA PALLA DI GOMMA: RIMBALZA (N.OXILIA)

Arriva il vento...

IL VENTO E' UN ENORME VENTAGLIO (J.COMES)

E

DUE NUVOLE..DUE NUVOLE BIANCHE SPENNELLATE NEL CIELO TURCHINO (G.PASCOLI)

Mi fanno sorridere, di un

SORRISO COME ACQUA CHE D'IMPROVVISO SCOPPIA NELLA TUA GIOIA (P.NERUDA)

E' per questo che siete

TUTTI PRIMI AL TRAGUARDO DEL MIO CUORE (A.GATTO)

 

 

La mia ignoranza-dimenticanza in materia geografica è conosciuta da molti.  Pochi ne sanno però il vero motivo. L'importante per me è esserci e vivere momenti di vita….proprio lì.  Poi, che sia Parigi, Città del Capo, Cigoli o la Tinaia, per me è lo stesso. Fisso nella mia mente i particolari del luogo: colori, forme, odori. Mi rimane però difficile, forse indifferente, curarmi del nome del luogo.

Leggendo per caso questa poesia l'ho fatta subito mia e l'ho riportata sul mio diario.

 

LA GEOGRAFIA

Cos'è la geografia?

La geografia è dove stanno gli amici,

le strade con la bici,

i posti felici.

L'aritmetica siamo io e te

più tutti

i belli insieme ai brutti,

le radici più le foglie più i frutti.

                                                     R.Piumini

 

 

GIRO D'ITALIA 2000

Venti ruote, venti pedali, dieci pensieri.

C'è uno strano silenzio questa mattina.Non è tipico del gruppo tutto ciò, ma evidentemente ognuno vuol trovare quella energia che sarà necessaria per i km a venire. Anche se nessuno fiata avverto lo stesso allegria. Ognuno dunque nei propri pensieri, dentro il suo mondo impenetrabile agli altri. Nel mio c'era posto per quelli carichi di gioia, c'era  voglia di serenità,  di stare con tutti loro, indistintamente.

C'e Claudio, grande amico di sempre, depositario dei miei problemi ma  anche partecipe di tante mie gioie. Vicino a lui pedala Alessandro il cui pensiero è rivolto sicuramente a una bella tavolate con grigliate, salumi e pastasciutta. Alessandro però non è solo questo: è di una simpatia e di una bontà che lo distinguono sempre. Massimiliano ci ha raggiunto da poco e spero che il gruppo lo faccia sentire tranquillo e a suo agio. Lorenzo per me è stata una rivelazione. L'ho visto ridere spesso e mi è apparso felice come non mai. E' stato molto bello l'abbraccio sul Gavia. Non è di molte parole ma con quel gesto mi ha trasmesso tutta la sua felicità per  la piccola, grande impresa fatta insieme.

Andrea non si smentisce mai: ha perso mezzo milione, l'ha ritrovato nel giro di poche ore e la sua mimica facciale non si è mossa di un solo millimetro. Il giro 2000 ha sancito un'accoppiata vincente. Davanti a me pedalano Marco e Paolo due goderecci di buon ordine. Si fermerebbero ad ogni bar e, dopo un pranzo di Natale avrebbero il coraggio di dire: " Però un cappuccino e un cornetto quasi, quasi....." Troppo forti!

I' Chiarugi pedala dietro di me, lo riconoscerei fra mille perché ha uno strano scricchiolio di bici. Non oso dirgli che secondo me sono le scarpe o il deragliatore perché, anche se avessi ragione, non lo ammetterebbe mai. E' il personaggio per eccellenza e la sua alimentazione è   l'antitesi di quella  sportiva: è cosa rara vederlo mangiare o bere in bici.  Scansa inoltre,  come lebbrosi, tutti coloro che gli propongono di farlo.Ma non è questo  il vero Paolo. Quello nascosto, quello che lui tiene dentro le pieghe di quella benedetta corazza, è un Paolo che sa fare il viso rosso e che diventa improvvisamente gentile con un gesto o con una frase. Naturalmente queste sono meteore, sono attimi. Ma quando, se, li sai cogliere sono delle delizie assicurate.

Accanto a me c'è ì Nucci. Cosa dire di lui? Che sia diventato un grande amico? Che sia diventato un bravo gran fondista che vive insieme a me l'esperienza del Master? Certo è che pedalava vicino a me Roberto e grazie alla sua presenza e a quella di tutti gli altri io, in quel momento,  ero la donna più felice del mondo!

 

 

11-6-2000  Pentecoste

 Andrea, Paolo, Roberto ed io siamo seduti su uno scalino di piazza Matteotti. Passa  suor Enrica, grande amante di Dante Alighieri e, come se lo sapesse,  si rivolge al  Chiarugi e con fare beffardo dice: " Piove !! ". Le nostre bici sono al muro, il nostro sguardo è fisso sulla pioggia che cade. Attendiamo con malcelata pazienza che smetta. Ma va bene anche così.......tanto sabato ci sarà l'Empoli-Roma! L'impresa del secolo da fare tutti insieme. Ma ì Bagnoli verrà? " Abbiate fiducia: verrà, verrà, eccome se verrà!!!"

 

 

E M P O L I   -  R O M A  17-6-2000

-La sveglia non suona

-P.zza Degli Uberti

-tensione, silenzio fino a ..

-Siena

-Incontro con Maurizio e Egiziana, saluti a Brunella

-Incominciamo a pedalare sul serio

-Meravigliosa via Cassia

-Incontro di molti pellegrini (Quelli veri, che arrivano a Roma a piedi)

-Dimenticanza patologica di molti nomi dei luoghi da noi visitati

-Laghi di: Bolzena, Vico, Bracciano

-Monte Cimino

-Inizio traffico

-Cartello Roma

-Emozione 1  (Oddio, ce l’abbiamo fatta!)

-Cambio d'abito (body)

-P.zza  S.Pietro

- Emozione 2 (Il pellegrino, stanco ma contento, gusta la melodia del canto gregoriano e la voce del Papa)

-Doccia in casa di Julienn

-Cena Trastevere

-EUR, casa di Maurizio e Egiziana

-Domenica ...vacanze romane

-Grazie di cuore a Maurizio e Egiziana

-Ritorno in treno con le bici

-Empoli

-Emozione 3 (Misto di soddisfazione, euforia, appagamento, godimento, contentezza ma anche tanta, tanta tristezza)

 

LE VIE DEI PELLEGRINI

Che senso ha il pellegrinaggio? Oggi, con gli attuali mezzi di trasporto, c’è il rischio di perderne il significato essenziale

Il pellegrino antico faceva veramente un “cammino”, qualcosa che gli richiamava profondamente il senso della vita. Il lungo viaggio dal paese do origine alla meta finale diventava un’immagine della propria vita, dal suo nascere fino al definitivo incontro con Dio. Le difficoltà del viaggio erano le prove della vita, l’arrivo era la meta ultraterrena. Altro aspetto: il fatto che il pellegrinaggio non era quasi mai attività singola, bensì di gruppo e si condividevano trepidazioni e incertezze ma anche gioie e speranze.

 

MARATONA DLE DOLOMITES

Sabato 8-7-2000

Insolito arrivo. Generalmente ì Goti ed io partiamo di venerdì per goderci più a lungo delle bellezze della Alpi e il piacere di pedalare un giorno in più sui passi che circondano Corvara. Ci possiamo tuttavia permettere un Campolongo sull'orlo della pioggia perché, appena scesi dalla bici e guadagnato il garage dell'albergo di Colfosco, viene giù il diluvio universale.. Pioverà per tutto il pomeriggio. Al ritiro pacchi-gara avrò il piacere di incontrare un sacco di persone. Fra queste saluto cordialmente Marco Poier (sempre più affascinante) e Hildegard (sempre più buffa). La scarsa motivazione nei confronti della gara e la mancanza di Elia mi afflosciano un po'. Tuttavia il tempo passa alla svelta, siamo già al dopo cena e ….buona notte.

Notte un corno! Ho dormito poco e male: sognavo che non suonava la sveglia e che tutti ormai erano già sul Campolongo. Goti riportami a casa!!

Domenica ore 4,45. Suona la sveglia. Facciamo colazione insieme a due ragazzi di Firenze che ci ospiteranno, insieme alle nostre bici, sulla loro ammiraglia  fino a Corvara.Saluto tutti e mi avvio verso la Villa:

Manicotti, maglietta estiva, gilet paravento pantaloncini corti, k-way, guantini dell'Empolitour....questo è tutto e, ignara di quello che dovrà succedere,  mi avvio alla partenza. Sono in leggera discesa, il freddo è pungente ma penso fra me " Sono appena le 6,15, c'è un bel sole, è sicuramente tutto passeggero. Dopo scoppierà un caldo atroce" Me tapina! Già non sento più le mani e alla partenza tutti bubbolano dal freddo. Intanto io penso alla discesa e ai miei piedi che sono dentro a dei miseri calzini di cotone. Anche se sono un caro regalo, sempre di cotone sono! Il paesaggio è bellissimo e saluto tanti amici. Una voce annuncia che quest'anno si sono iscritte ben 430 donne. C'è Maria Canins vicino a me, un sacco di brave avversarie e ex professioniste. C'è anche Bugno. E chi se ne frega! Sarei stata più felice se vicino a me, come l’anno scorso ci fossero stati Roberto e Marco. Pazienza

Non ho lo spirto del guerrier questa mattina ma in compenso ho voglia di pedalare.

VIA!

C'è Filippo, il filiforme, che mi saluta calorosamente. Arriva subito il Campolongo e, con determinazione mi accingo a pedalare lungo gli stretti tornanti. Qualcuno urla il mio nome. Chi sarà? Con la discesa del Campolongo ho le prime sensazioni di non caldo. Ma proprio " NON "! Per fortuna è una discesa breve e ancora non mi rendo conto del freddo che farà. La salita del Pordoi non è dura; il caldo da me sperato ancora non arriva. L'andatura è piuttosto regolare come è regolare il mio battito cardiaco: 152/54. Dovrei sudare! " Ciao Francesco, buone pedalate ". E via, il Trasacco saluta e se ne va. Arriviamo al passo Pordoi e giù per la discesa.Errore madornale, non metto il k-way. Scoprirò più tardi che la temperatura era di ZERO GRADI. Il freddo mi paralizza. Le mani non le sento più, le gambe sono due bacchette e la bocca è gelata. I piedi dove sono? All'altezza dell'inizio della " via del pane " credo di essere congelata. Ma perché non mi fermo? E' pericoloso in quanto  sono in un gruppo che sta venendo giù regolarmente e ho paura di sbandare e far cadere qualcuno se freno all’'improvviso. Si arriva al bivio e si inizia la salita del Sella. A quel punto inizia la crisi: non riesco a sentire la pedalata. Ho tutto gelato: La mano sinistra a malapena butta giù sul 39, la destra si arrangia e trova un rapporto adeguato al congelamento degli arti inferiori. Mi guardo intorno e molti sono nella mia stessa condizione. Nessuno osa dire nulla e solo le note di una folcloristica orchestrina rompono il silenzio " agghiacciante ". Tornante dopo tornante si spera di trovare almeno un po' di sole ma è troppo presto e questi lambisce solo l'ultimo tratto del passo Sella. Questa volta, arrivata al passo, mi fermo, mi metto il k-way e mi butto in picchiata. Finalmente riesco a fare la prima salita come si deve. Il passo Gardena non l' ho mai sottovalutato nonostante sia piuttosto corto e non abbia delle feroci asperità. Viene però dopo una discesa all'ombra e le gambe devono ripartire intirizzite e di brutto. Questa mattina mi è sembrato stranamente facile. Forse è proprio in questo punto che il mio motore si è acceso. Poi, giù verso Corvara e di nuovo il Campolongo. " Vai Beatrice " sento qualcuno urlare tra la folla. Ma chi è? Pedalo proprio bene sulla seconda salita e la discesa verso Arabba è fra le più agguerrite fino a che non mi vengono in mente le parole dì Chiarugi " istinto materno ". Rallento solo un po' e via verso il Falsarego. Qui i motori sono proprio a tutta e, in un tratto di falsopiano leggermente in discesa, tiro un gruppetto a 50/ 55 fissa. Qui è bellissimo. Sulla destra vedo alberi di un verde accecante che contrasta con l'azzurro del cielo. Mi ricordo l'anno scorso insieme a Roberto, in questo punto, sorpassammo un sacco di persone. Quest'anno la situazione è molto più rilassata. Ho fatto dei tratti quasi in solitudine senza la ressa e la bolgia propria degli ultimi partenti. L'attacco del Falsarego vede la scelta: lungo o corto? Corto, corto! Ho sofferto troppo freddo, non ne posso più. Il Falsarego mi vede in ottima forma e per tutta la salita non mi passa nessuno. Sorpasso tutti e questo mi dà una forte carica. Solo un concorrente, mi spiace per lui, ferito nell'orgoglio di maschio- ciclista (razzaccia!) non cede. Bene, mi farà almeno compagnia. Resiste dietro, senza mai tirare neppure un metro, per circa quattro km. Poi lo perdo. Lo ritroverò dopo la gara e mi farà pure i complimenti, facendo guadagnare punti alla " razzaccia ".

...E qui arriva la ciliegina della giornata! Un bambino, splendido, di due anni circa, seduto con la mamma, su un muretto in prossimità di un tornante, mi urla " Tata ". In pieno sforzo l'unica cosa che mi viene istintiva è quella di mandargli un bacio grosso, grosso. Lui mi ringrazia con un sorriso che mi ricorda tanto quello di Elia di quando era piccolo. Mi carica da morire questa cosa e, in men che non si dica, arrivo al p.sso Falsarego. Mi rendo conto che, dopo quasi quattro ore di gara non mi sono mai chiesta quale sarà la mia posizione. C’è rimasto solo il Valparola e, passato il controllo del bip, mi aspetta il dirizzone e poi, giù verso la discesa. A quel punto ho detto una parolaccia ad alta voce: “ Maremma m…la “ suscitando le risate di due montanari. Tirava, in quel tratto, un vento che mi impediva di fare più di 9 km l’ora. Pazzesco! Non ho idea di quanto tempo abbia impiegato per fare quel misero km. Nonostante lo splendido sole, ancora non è arrivato nessun tepore e la discesa mi regala l’ennesimo freddo alle mani. Incredibile il freddo patito oggi! Nei pressi dell’arrivo sono insieme ad un ragazzo romagnolo (accento inconfondibile) che mi fa un sacco di complimenti. Pranziamo insieme come vecchi amici e ci salutiamo come se ci dovessimo vedere anche l’indomani. La Maratona è anche questo: riesce ad accomunare gli animi, i corpi, gli sguardi, i pensieri, …le bici. Poi però, finita la corsa, come per incanto, ognuno ritorna nel proprio Io. All’arrivo apprendo di essere arrivata terza e di essere sul podio con Maria Canins, la vincitrice, e con una ex professionista. E’ proprio un onore essere con loro davanti a centinaia di persone e quando dicono il mio nome” come una vecchia conoscenza della Maratona perché è gia la terza volta che monta sul podio “, mi vengono i brividi. Vorrei che ci fossero i miei amici, ma non è possibile perché loro sono sul Cimone e, spero tanto, si stiano divertendo. Sento Filippo, il filiforme che mi saluta e mi aiuta a portare la coppa. Gentilmente mi accompagna fino all’albergo (altri 3 km di salita!) e insieme ricordiamo la bella pedalata dell’Acquerino e i simpatici amici di Empoli. “ Ma davvero mi ha chiamato Filiforme il poeta? “. Ma ì Goti, dove sarà? Lo ritroverò stravolto dopo tre ore, al solito incavolato con me per averlo trascinato in un’impresa più grande di lui e con il conseguente litigio che tutti gli anni caratterizza il nostro ritorno a casa. La Maratona è soprattutto questo! Arrivata a casa dovrò aspettare Elia: sta tornando dal mare con zio Paolo e famiglia. Mi addormenterò stanca ma felice per l’ennesima avventura alle 1.45 col pensiero tutto lì: il Valparola. Avevano messo degli enormi altoparlanti che diffondevano musiche di Chopin (sul Giau c’era Vivaldi). Peccato, ero sola in quel tratto di salita. Sarebbe stato molto bello avere qualcuno vicino.

Note: 110 km, 4h 30’, bevuta mezza borraccia non perché avessi sete ma per imitazione, mangiato una misera barretta con un Enervitene. Sono proprio scema. FREDDO.

Se penso che ì Chiarugi sta mangiando delle lasagne e bevendo vino rosso, lo scettro è proprio mio!

 

 

 

 

 

TOUR DE FRANCE 2000     ( Il mio primo tour )

Col du Granon  EUFORIA

Izoard FREDDO 1°

Courchevel  VITTORIA DI PANTANI

Iseran FREDDO 2°

Sampeyre TRISTEZZA

 

IL PROFUMO

Suskind ne ha fatto un capolavoro e non intendo assolutamente imitarlo. Raccontare però i cinque giorni con il solo olfatto sarebbe meraviglioso.

1-       Del primo giorno ho in mente l’odore della rosa canina, lo riconoscerei fra mille altri. Così intenso e sensuale  mi ha accompagnato per molti tornanti del Col du  Granon

2-       L’odore del fieno tagliato all’-inizio della salita dell’Izoard ripagava del caos che caratterizzava  quel tratto di strada. Mi ha riportato, questo odore, all’infanzia. Vicino a casa mia  c’è un vialetto che arriva fino alla villa Uguccioni. I contadini portavano il fieno alle mucche e io approfittavo della loro assenza per montare sul pesco e mangiare (rubare?) delle succosissime pesche.

3-       Non sono odori naturali quelli che mi fanno ricordare Courchevel. In salita sono penetrata dall’odore pungente delle salsicce arrosto nei pressi di un camper sopra il quale troneggiava l’immagine di Ullrich. L’odore di nafta mi ha quasi paralizzato quando ho appoggiato, nei pressi dell’arrivo, la mia bici ad un camion. Mi ha disgustato il puzzo della sigaretta che uno strullo mi fumava quasi sul viso. Mi hanno travolto, in discesa, i fumi cancerogeni delle centinaia di auto. Tutto questo è stato però annientato, sconfitto, dimenticato dall’odore di Vittoria. Bravò Pantanì.

4-       Iseran= Freddo.  Anche il freddo ha il suo odore. Quello veniva dalla roccia e sembrava ancora più gelido. Era quasi un profumo. Però  l’odore che mi collega più di ogni altro al bellissimo, indimenticabile passo è quel misto di spezie e carne che caratterizzava le tagliatelle non molto apprezzate da Andrea.

5-       Sampeyre. C’era il profumo della mucca. Una aveva le mammelle talmente gonfie di latte che quasi se ne sentiva l’odore. Se gli Apollo odorassero se ne sarebbe sentito uno molto intenso, tanto era bella quella farfalla. Finalmente profumi di pesca, susina, fico, albicocca e pera. Mi siete mancati tanto! C’è anche odore di tristezza. Non serve il naso per sentirlo. Solo l’anima ha questa capacità. Vorrei non sentirlo così spesso!

 

 

6-8-2000      Trasfigurazione del Signore

Lucca- Montagnoso- Pasquilio- Antona- Pian della Fioba- Passo del Vestito- Castelnuovo Garfagnana- Lucca

Abbiamo preso tanta pioggia al ritorno. Giocato a carte: Giornata piacevole in compagnia di Sabrina, Paolo e Roberto

 

13-8-2000 S.Ponziano

M.t.b  …Pedalando in Garfagnana con Francesco, Alessandro e i “novizi delle spesse ruote” Paolo e Roberto

Dal libro dell’Esodo…

Partirono in cinque (ed erano abbastanza). Il ricordo della giornata si concentra sulle sensazioni ritrovate. La mia M.T.B! Il bosco con i suoi colori, odori, sapori. L’acqua del ruscello che ti rinfresca, la fatica che svanisce appena posi lo sguardo su panorami mozzafiato. Una foto ai piedi di una croce immersa nella nebbia. Una fetta di dolce mangiato ad un rifugio. Uno sguardo, un sorriso. Il punto focale della giornata è però quella maledetta discesa che mi ha fatto più volte inveire contro Alessandro. In fondo è stato lo stesso divertente! La giornata si conclude con i miei due cavalieri seduti ad un tavolo della sagra di Barga: pesce e patate. Famosa per le mie difficoltà geografiche, mi sono miseramente persa per Lucca mentre ì Nucci russava e ì Chiarugi  faceva finta di fare il navigatore (dormiva pure lui). Non mi rimane che cantare il “ Cantico delle creature” a conclusione di una così bucolica giornata.

 

 

Fine Agosto  estate 2000

GIRO DEL MUGELLO

Tuffarsi nelle acque del torrente che scende dalle cascate dell’acqua Cheta alle quattro del pomeriggio non è il massimo. L’acqua è gelida e dentro si resiste solo per pochissimo tempo. Chi è fra i tre il più intraprendente? Chi si tuffa per primo? Io non esito un secondo e…giù nel ruscello. I’ Chiarugi mi segue quasi a ruota ma anche lui,  resiste poco immerso nelle fredde acque. Et le petit prince? Et voilà. Urla e schizzi ma lui, fifone non si tuffa. Poco importa, non saprà mai quello che si è perso: un brivido che ti scuote dentro, che ti fa sentire il corpo tirato che si dimena per dimostrare a se stesso la resistenza a quella temperatura. Poi l’estremo bisogno di sole. Il sole che ti bacia la pelle, che ti accarezza i capelli. Ecco, questa è l’immagine che mi rimane più impressa nella mente: seduta sul lastrone di pietra, con le spalle al sole, i miei cavalieri che mi guardano e ridono e scherzano e…chissà cos’altro!

C’è stato naturalmente il mattino interamente dedicato alla bici. Li ho portati, i miei cavalieri, a solcare le strade dell’alto Mugello. Partendo dalla Romagna, siamo rientrati in Toscana e poi di nuovo usciti. I passi Peschiera (due volte)  Carnevale,  Sambuca, Colla, sono stati percorsi in quattro ore e mezza circa di pedalate.

Questa volta ì Nucci ce l’ ha fatta a mangiare i tortelli di patate perché ci siamo fermati alla locanda del P.sso della Colla dal mio amico, grande conoscitore di deserti. Queste strade le conosco benissimo; conto le curve, guardo  i miei amici alberi e spesso, volgendo lo sguardo al cielo, posso salutare le mie, a volte uniche compagne, poiane. Tutto mi riporta indietro di alcuni anni, quando insegnavo in montagna e mi allenavo “su pei monti”. Quanti ricordi e quanti pensieri mi hanno accompagnato in questa mattina di fine estate! I piccoli piaceri della vita sono anche questi: pedalare per diverse decine di km e non incontrare anima viva. Soprattutto non passano le macchine. Le farfalle sì! Siamo attratti dai colori svolazzanti che il noto entomologo empolese ci descrive con minuziosa perizia. C’è però un senso di tristezza che mi pervade, che mi accompagna ormai da troppo tempo. Vorrei mandarla via ma, per quanto mi sforzi di farlo, so che lei è sempre lì, in agguato, pronta ad uscire all’improvviso. Ecco, loro non lo sanno ma io la sento arrivare piano, piano. Deglutisco come per scacciarla…Per fortuna arriva la discesa e con essa la telefonata di Elisa. Elisa!! Quanti ricordi. E’ stata  la mia alunna quando insegnavo a Marrani. Costretta a stare, fin dalla nascita, su una sedia a rotelle ha esternato, con il pianto, per la prima volta con me,  la sua angoscia nei confronti della carrozzina. E’ stato un momento particolare per tutte e due ed ha sancito una bella amicizia.Ma Elisa con il suo poco accattivante handicap è sola. Sola, in un paese pieno di barriere architettoniche  

Sola! E’ per questo che io ho mandato al diavolo la tristezza quando l’ ho rivista dopo un bel po’ di tempo. Io pedalo, ho gambe lunghe affusolate, tirate, abbronzate, scattanti e lei no. Lo so che non è colpa mia, ma è più forte di me…

E poi la bella salita della Sambuca, i miei cavalieri che mi aspettano, i tortelli, la veloce discesa, l’ultima salita con il pensiero rivolto al bagno nel fiume, un fantasmagorico daino avvistato dal Principe la sua foratura che ha visto seduti per terra, il Chiarugi e la sottoscritta spettatori divertiti da tanta cocciutaggine. Tutto è come un sogno. Non permetto oggi ai miei problemi di giungere a me. Anche se la malinconia a volte arriva, i pulsanti sono schiacciati e i pensieri volano via. Non vorrei finissero mai giornate come queste. Sulla via del ritorno giochiamo con le parole. Giochi un po’ pericolosi, a volte, perché si rischia di invadere il territorio che non ci appartiene.

“ Ma c’è una frase che ti ha reso felice?

-          Quando mi hanno detto “Mi manchi”

-          Quando mi hanno detto “Sono bravo”

-          Quando il mio sguardo ha suscitato desiderio

E’ finita così la giornata con tre risposte una più intensa dell’altra. E’ un bel mosaico, solo Ravenna ci batte!!!

 

 

 

EROICA  16-9-2000 S.Cornelio

CHI NON BUCA IN COMPAGNIA…..

C’erano tutti coloro “ abbastanza matti da accettare i disagi e abbastanza intelligenti per capire che si può sorridere della passione e delle sue crudeltà.” C’ero anch’io!!

Per la seconda volta, in quel di Gaiole, sono arrivata puntuale con una bici, non molto d’epoca per la verità, ma con la voglia di passare una domenica un po’ particolare cercando tuttavia di non eguagliare il record delle forature dell’anno scorso: tre. Sono con me Roberto, che si dileguerà all’istante appena partiti  dalla pittoresca piazza toscana (sarà lui l’eroico 2000) e il mio fido condottiero Francesco che subirà l’eroica malasorte con rassegnazione, pazienza e stoicismo.

Ore 9.10  Partenza. Tutto procede nel migliore dei modi: il sole, tanta simpatica gente, la voglia di chiacchierare e…”Oddio! Le camere d’aria le ho lasciate in macchina. Ne ho solo due! “

Ore 9.11  Inizia la paura di forare.

La bellezza della campagna toscana non ha eguali. Mentre pedalavo in tutto quel ben di Dio, immaginavo di essere una tedescona in preda a una crisi mistica di fronte al paesino di Volpaia. Poi mi sono resa conto che anche le cicliste toscane possono cadere in questa grave perturbazione. Fa bene all’anima ammirare le meraviglie del Chianti: vigneti, cipressi sul crinale delle colline, le stesse strade bianche percorse con i nostri  “cancelli”, l’odore della terra e i rumori della campagna.

Ore 11.30 Abbiamo passato da poco Volpaia e ci avviciniamo al primo rifornimento. Buone cose e genuine. Vino a volontà e…via, verso l’avventura! Fatti appena un paio di km inizia la serie infinita di fermate a causa delle mie forature. E una! Francesco, con calma, mi aiuta mentre salutiamo con rassegnazione i ciclisti che passano tutti sorridenti nonostante la fatica. Decido di fare il giro lungo anche se una vocina, dentro di me, mi invita a tornare a Gaiole perché i guai veri dovranno ancora arrivare. Ma si sa: l’avventura è avventura!

Ore 12.00 Sento il suono di campane in lontananza. L’ora del pranzo si avvicina…e anche la seconda foratura. Da ora in poi perdo la cognizione del tempo e dello spazio ma in successione ricordo:

-          La prima foratura di Francesco

-          I primi problemi al movimento centrale della sua bici. Ogni venti minuti doveva fermarsi e stringere una vite con le mani perché non aveva nessuna chiave con sé.

-          La seconda foratura di Francesco

-          La desolazione e l’abbattimento da entrambe le parti perché io non avevo più camere d’aria e Francesco non aveva più i tubolari.

-          Il numero 48 mi impresta una camera d’aria e il morale si solleva un po’.

-          Detto fatto: terza foratura e…punto e a capo! Chiediamo in prestito a due disgraziati, anche loro senza più camere d’aria,  come noi, una pompa perché la nostra funziona male.

-          Mi solleva il fatto che adesso, invece di un cavaliere ne ho tre: Franco e Marco vengono nominati subito tali e rimarranno con me fino alla fine dell’avventura.

-          Ultimo rifornimento: dolci e vino. Mah! Beviamo un po’ e veniamo a sapere che Roberto è passato per primo al ristoro. Forse è già arrivato: Beato lui!

-          Il dramma!!! Quarta foratura. Non ho più camere d’aria e…Record!

-          Si ferma un cacciatore, vorrebbe aiutarmi ma ha i cani dietro al pulmino e la bici non c’entra. Ci impresta però il telefonino e avvertiamo Roberto che siamo dispersi fra i meandri della campagna toscana. A  proposito, ma  che ore sono? Siamo intorno alle 15.00

-          Decidiamo di gonfiare, ogni tanto, la camera d’aria meno danneggiata fra le quattro che io ho tenuto legate sul manubrio quali cimeli di guerra.

-          Mancano ancora circa venti km, un’eternità se percorsi in questo modo: ogni dieci minuti fermi a gonfiare!

-          Per l’ennesima volta Francesco si ferma a gonfiare la ruota. Ne approfitto per fare la pipì, tanto non passa nessuno! Mentre sono a farla passano in ordine:un’ape, un motorino e un fuoristrada!!!

-          La pazzia di accettare i disagi diminuisce con l’aumento  della voglia di arrivare a casa. Mi sento un po’ come E.T

-          Sbagliamo percorso, non ci accorgiamo di una freccia e saltiamo Pagliaia-Brolio. Neppure la gloria di dire: ho fatto tutto il percorso.

-          Francesco si è consumato le mani a forza di gonfiare con una pompa microscopica e poco funzionale.

-          Vediamo il cartello “ Gaiole 2,2 km”. Per un attimo mi prende un colpo: avevo letto 22 km. La stanchezza fa brutti scherzi!

-          Ore 16,00 Non oso pensare che sia stato più tardi! Arriviamo finalmente a Gaiole. Sullo striscione c’è scritto Traguardo e non Arrivo. Anche questo mi sa d’antico.

La domenica sta finendo, l’estate pure. Ma quest’aria settembrina mette nell’anima un certo non so che. Voglia di un prato, voglia di libertà, voglia di natura. Voglia di ritrovare quello spirito bambino che abita dentro di noi, che ci porta ad apprezzare questa piccole avventure con sorriso e tanto divertimento.

Anche questo è eroica! Ho voglia di ringraziare Francesco ma anche Mario e Franco e naturalmente anche un “bravo”  a Roberto.

 

 

17-9-2000  S.Roberto

Di nuovo insieme!

E’ bello contarli: sono tanti, undici azzurri e bianchi e una verde rana (imperdonabile!) che pedala con loro. Al solito bar Arci- Filarmonica Paoli di *** Ci saluta il solito anziano corridore *** La sosta risulta fra le meno appetitose. Hanno perso l’allenamento? Per arrivare prima a casa decidiamo di passare lo stesso da una strada dove un cartello ci avverte che ci sono  dei lavori in corso. “ Cosa vuoi che sia? Con la bici passiamo da per tutto” . Ci attendono, ahimè, almeno quattro km di sassoni stile via francigena. Risultato? Desiderio matto di una macchina fotografica per immortalare

1)       Gli abili Chiarugi e Nucci che arrivano poco dopo la sottoscritta orgogliosi per aver imparato qualcosa nell’uscita in Mtb

2)       Gruppetto che zigzagando fra le pietre con precario equilibrio, arriva alla spicciolata

3)       Caparrini che nel suo silenzio ( E NON LO DIRA’ MAI ) desidera tanto una Mtb

4)       La foto del secolo: Lorenzo che arriva a piedi per non sciupare l’amata Colnago,  ma soprattutto con le scarpe in mano per mantenere fede al proprio ruolo. Se questo non è  Empolitour!!

 

 

24-9-2000 S.Geraldo

L’alabastro non è commestibile, lo sappiamo. Avrebbero sicuramente mangiato anche quello se lo fosse stato.

Ingordi come sempre! Il bar della piazza li ha accolti e visti con fauci come sempre spalancate. Li osservavo mentre aspettavo che si liberasse il bagno. Mi ha colpito la spartana aranciata del Boretti (è a dieta!). Come al solito è assente il Chiarugi che aspetta fuori….seduto in quel caffè!

 

 

8-10-2000 S.Pelagia

“ Il padrone è ritornato e il posto va ridato”. Il Pagni è di nuovo con noi, le soste sono di nuovo sue e… non si smentisce mai: panino con prosciutto e orangina tutto in barba alle ciclistiche barrette. Però caro Marco un k-way o dei manicotti  li potevi portare visto il freddino di questa mattina. Non ho idea di cosa siano stati capaci di mangiare gli altri perché io sono ritornata sui miei passi a cercare il novizio Alessio, venuto in compagnia del Pagni (e da questi abbandonato) che era rimasto un po’ indietro.

 

 

15-10-2000            S. Teresa d’Avila

“Se mi vede mia zia mi disereda”.Puntuali come sempre, alle otto di mattina, con o senza mantellina, siamo partiti con il cielo che minaccia il diluvio da un momento all’altro. Mentre la gente ha voglia di letargo, mentre il Pelagotti  si sta rigirando nel calduccio del suo letto e pensa all’imminente bombolone alla crema, mentre Mauro il simpatico giornalaio dì Nucci gode al pensiero dell’allenamento saltato, alteri e sprezzanti, andiamo incontro al nostro destino. Massimo e Andrea B., dotati di buon senso, dopo mezz’ora di pedalate, ritornano sui loro passi (ruote?). Capitoleremo anche noi, Paolo, Andrea, Roberto ed io ritornando mesti alle nostre cose con la consapevolezza di aver fatto pochi km, di aver sfidato il destino e di aver …poco cervello.

 

21-10-2000        S.Salomè

Giro del Chianti

Eravamo tanti questa mattina. Leggermente preoccupati per il mio ritardo, li ho trovati pronti sulle bici più o meno pulite. La più linda era sicuramente quella del ritrovato Lorenzo. Ma anche la Daccordi del Chiarugi  non scherzava affatto. Io so di essere brocciona e irrispettosa nei confronti della mia Cannondale, vero Boretti? Ma lui esagera!  Ha messo una poltiglia verdastra,  che mi ricorda tanto lo sputo di Regan l’indemoniata  nel film “ L’esorcista”, al centro della ruota posteriore. Nei pressi di Castellina  questo ammasso appiccicoso si stacca depositandosi sul cerchio,  vicino ai freni. E poi si dice l’ordine, la precisione! Per fortuna Massimo se n’è accorto evitando così un eventuale incidente. Meraviglioso il tratto che collega Castellina a Poggibonsi. D’accordo, è discesa, ma ho visto ì Chiarugi sudatissimo come non mai alla fine degli undici km fatti con un’andatura un po’ forzata. Ho dimenticato lo spirito materno? Ho esagerato con la velocità? No a tutto questo perché in curva controllavo se c’erano o meno macchine sulla carreggiata opposta alla mia. In discesa non sopporto nessuno davanti per cui, se è possibile, mi guadagno la prima posizione tirando spesso come una matta. Poi è arrivato Roberto che ha gettato come sempre il guanto a Massimo e ad Alessandro.

I miei lisi pantaloncini hanno allietato la mattinata. Quando il sole batte di lato, pare si vedano le mie forme…posteriori. Bellissima e galante la battuta di Andrea.B quando ha detto che vale la pena starmi dietro anche quando non c’è il sole. Sono sempre discreti anche nelle battute, mai volgari, mai galletti. Mi piacciono tanto anche per questo. Come farei senza di loro?

 

 

Mio maestro e mio trovatore è il Chiarugi.

Come essere geniali anche con un mezzo poco…congeniale.

I suoi SMS

 

Mi sono arrivati dei messaggi da parte del Chiarugi che sono delle chicche, bonsai di poesia. Frasi che non potevano sfuggire alla memoria né al piacere di rileggerli. Per questo li ho riscritti sulla mia agenda per poterli conservare e,  semmai ce ne fosse ancora bisogno, sottolineare la delicatezza della corazza chiarugiana.

 

Appena vinto il campionato italiano medici mi ha mandato questo messaggio. Al ritorno dell’ultima gara del Master mi ha ricordato l’allenamento fatto insieme in cui io gli facevo da lepre

 

T’immaginavo in volo,

davanti a me d’un metro

e, per venirti dietro,

sono rimasto solo.

 

In occasione della premiazione del Master a Milano leggo:

 

Beatrice dagli occhi eccitanti

Pregiata puledra che sei,

Milano fastosa si vanti

D’ornarti di gloria e trofei.

 

Paolo è riuscito a farmi correre per ben 48’. Un’eternità per una come me che non ha mai corso prima. Mi sono troncata tutta e…il giorno dopo:

 

Zampette ferite dal suolo

Vi chiede prostrato quel vate,

che fu la cagione del duolo

se siete giammai risanate.

 

Al che, dopo un allenamento in Mtb, rispondo:

 

Zampillanti zampette, non zoppe,

a zonzo per zolle.

 

Immediata è stata la risposta

Gambe guarite

Generano

Grande gioia

Giacché

Gradirei

Giocare girovago

Guidandole gagliardamente

 

Cosa potevo inviargli se non:

Gigionesco!

 

Una domenica pomeriggio, correndo da solo a Pisa e invidioso del fatto che noi abbiamo pedalato al mattino, mi manda a dire che:

Sul margine dell’argine

Le mie sòle

Sono sole

Nel sole.

 

 

1-11-2000 Festa di tutti i Santi

Oggi è stata un’uscita molto particolare: per la prima volta mi sono goduta la sosta entrando in sintonia col vero spirito dell’Empolitour. Naturalmente, mantenendo il ruolo di non sostista, non ho manifestato questo mio stato d’animo (anche perché il  maestro mi era seduto davanti!): Proprio quando meno te l’aspetti arriva la voglia di stare seduta al sole, l’ultimo caldo sole autunnale, in una delle piazze più belle mai viste, con una compagnia piacevole a bere un caffè. Lo sguardo si posa sull’acceso e sensuale rosso delle foglie di vite americana i cui rami salgono sulla parete dell’Hotel La  Cisterna. Un tempo da quelle finestre si affacciava una nobildonna che salutava il suo cavaliere di ritorno da un lungo viaggio. Questa mattina, con l’immaginazione, ero io la dama affacciata a quella finestra che salutava i  cavalieri-ciclisti. La magia di San Gimignano!

 

 

5-11-2000  S.Zaccaria

Di verde vestita e per giunta con il k-way della Paci Ferro, questa mattina ero al massimo dell’asocialità. Per fortuna il grande critico, l’esteta, nonché Vate e mio trovatore era assente. Ho pedalato poco col gruppo per problemi di orario. Cosa avranno fatto? Quanto e cosa avranno mangiato? Ma soprattutto, avranno preso l’acqua? Il mio ritorno è stato proprio interessante. Ho sorpassato, nei pressi della Ginestra, un ciclista la cui andatura era di poco superiore a quella di mia zia quando fa la spesa al supermercato (anche lui facente parte della razza maschio- ciclista?). Al mio “alè” mi si è incollato inesorabilmente dietro fino a Montelupo reggendo, in alcuni punti, l’andatura di 45km orari. Rallentiamo in prossimità del semaforo e il ciclista si avvicina e mio fa: ” Ma tu sei quella dell’Empolitour, me l’ha detto il Nucci che vai come una miccia”. Mi hanno fatto molto piacere quelle parole, a parte la miccia, e se proprio c’erano ancora dei dubbi, mi sono sentita veramente una di loro.

P.S-Per la cronaca il ciclista in questione è un certo sig. Barni, che io ostinatamente continuavo a chiamarlo Parri.

 

7-11-2000 S.Ernesto

Giorno libero e libero giro in bosco insieme a Paolo e alla sua fiammante M.T.B

Carissima amica di alluminio con l’anima di puro pensiero. Mi hai portata in posti bellissimi. Con te ho solcato quasi tutti i sentieri del Montalbano in solitaria o con cari amici. Abbiamo anche parlato ad alta voce tu ed io. Non ti ho mai trattata male e, a fine gara, spesso ti ho stretta forte e ti ho,  in silenzio,  ringraziata per esserti comportata bene. Mi hai vista più volte cadere rovinosamente a terra. Una volta sono andata anche all’ospedale, ricordi? Igienicamente perfetta non lo sei mai stata perché io ti ho spesso trascurata. Però la domenica, dopo gare massacranti, con fango fastidioso, ti ho pulita alla meno peggio. Eri la mia compagna del dì di festa. Praticamente passavamo tutta la domenica insieme: la mattina la gara e il pomeriggio ti facevo il bagnetto. Mario ci ha portate in tanti posti, uno più bello dell’altro. Anche tutti gli altri amici della squadra ci hanno accompagnate “ tra boschi e valli d’or!”. Però da sole, tu ed io, ci sentivamo le padrone del mondo ed io la donna più felice della terra….. Poi è arrivata lei, più leggera, più veloce e, dicendo la verità fino in fondo, forse più bella di te. E’ stato un colpo di fulmine. Non volevo, ma me ne sono innamorata subito. L’amore è alchimia, si sa, non puoi dargli una spiegazione. Quando arriva, arriva! Lei mi ha portata su montagne bellissime, su strade incantevoli. E’ vero,  a volte mi ha fatto respirare aria non pulita. La tua era  sempre  carica di ossigeno e di fragranze silvestri. Con te, dopo l’incidente, avevo paura delle discese. Con lei invece mi sono sentita subito a mio agio. E’ stato questo il punto focale che ci ha divise, ci ha allontanate. Con lei ho tagliato traguardi in tutta Italia. Con lei ho vissuto momenti di pura passione tutte le volte che, dall’alto dei passi alpini, guardavo con gli occhi dell’anima tutto quello che c’era laggiù, nella valle o lassù, sul ghiacciaio. A volte, in garage ti guardavo con distrazione, quasi dimentica di te e di tutto quello che avevamo  fatto insieme. Ti avevo quasi scordata  quando un giorno della scorsa estate i miei amici mi hanno proposto di fare un giro bello con te. “I grandi amori non finiscono, fanno giri immensi ma ritornano”. E’ stato un ritrovarsi, ritrovarti. Roberto e Paolo sono stati sedotti da  due tue sorelle. Con loro ci divertiremo, vedrai! Mercoledì quando siamo andate con Paolo in bosco non ero serena, come del resto non lo sono quasi mai in questo periodo. Non mi sei bastata, mi mancava un tassello per raggiungere la serenità. Ma è stato piacevole lo stesso  godere insieme dei colori, dei sapori, dei rumori del bosco. E poi, diciamolo pure,  è stato divertente per me vedere Paolo in precario equilibrio e sufficientemente tremante di fronte alle difficoltà che il bosco presentava e anche per te vedere la tua nuova compagna alle prese con fango e pietraie. 

 

 

 

19-11-2000 Avvento Ambrosiano

La mia giornata non è iniziata nel migliore dei modi ma….pazienza. “Sicuramente arriverò in ritardo” pensavo in garage mentre tentavo, invano, di recuperare il vecchio casco. “ Aspetteranno qualche minuto”. Ho pedalato a più non posso nel tratto che separa casa mia da quella del Caparrini. Quando, da lontano, ho visto il numeroso gruppo che si allontanava senza di me ho detto ad alta voce una frase che non posso riportare e che mi ha fatto (momentaneamente) rimangiare quello che ho pensato di loro alcune domeniche fa. ( vedi 5-11-2000). “Certo non ho lo spessore del dottor Pagni che vanta ritardi da diva di Holliwood, ma così mi sento proprio una in più!”. L’ ho dovuto dire: primo perché mi piace essere schietta e sincera con le persone a cui tengo molto, secondo perché mi  piaceva che si sentissero un po’ in colpa. Il giro di Peccioli a mio avviso è “sanza infamia e sanza lode”, tuttavia la piazzetta ha offerto spunti pittoreschi: Nucci che scopre un’altra pasticceria da assalto (ma quanto avranno mangiato?), Chiarugi che, a mo’ di Romeo, mi ascolta mentre gli racconto la storia di “Pianger a dirotto”, Lorenzo che con il dito indice, premuroso dito indice, cerca di alleviare una piccola ferita della sua amata Colnago. La folla della sagra di  S.Miniato schivata, zigzagata, sfiorata, scansata, evitata mi ha quasi soffocata ma mi ha fatto desiderare ancor di più la libertà, la leggerezza, la possibilità di volare.

 

 

26-11-2000 Cristo Re

Tre sudicioni a giro per il Montalbano

Ore 7.45 = diluvia. Ho un appuntamento telefonico con Paolo al quale non posso rinunciare ma il caldo richiamo della mia coperta di lana merino è più forte. Lo chiamo  con un quarto d’ora di ritardo. Il punto è: pedalare in Mtb o poltrire per tutta la mattina? Io non ho dubbi a scegliere la prima proposta e sono piuttosto sicura sulla partecipazione di Paolo. Ma il Principe verrà? Il suo entusiasmo pare lo veda partecipe (ha già avuto contatti telefonici con il Chiarugi) ma una successiva telefonata,  degna di Bagnolielle,  vede vacillare la sua presenza. Ma come può rinunciare ad un’uscita di  Paolo, con la sottoscritta,   mentre  inforca la bici con le larghe ruote? L’invidia è più forte della “ficolessaggine”  e in breve alle 9 me li ritrovo tutti e due sotto casa e,  sprezzanti della pioggia battente, iniziamo a pedalare verso i   ripetitori del Montalbano. Faremo, in parte, il percorso gara della Rampivita che mi causa un piccolo senso di colpa per non aver partecipato alla manifestazione preferendole i due cavalieri. Il divertimento però è assicurato. I sentieri (più che sentieri sono ruscelli!) sono quasi impraticabili e mettono a dura prova agilità, destrezza e coraggio. Il fango ormai è su tutto il mio corpo e i piedi non li sento più dal freddo. Il passaggio in una grande pozza d’acqua li ha definitivamente inzuppati. Da notare l’urlo tarzanico del Chiarugi quando se l’è vista davanti e il sorriso divertito dì Nucci che si era fermato per godere lo spettacolo. L’antenna del Montalbano è il punto più alto del percorso. Scendiamo a valle passando dai  “cavalli”, ormai un passaggio consueto, che vede Chiarugi ansioso e impaurito per quello che l’aspetta: discesa mozzafiato fra pietre sconnesse e terreno fangoso. Bravo Paolo per il coraggio e bravo Nucci per la destrezza. Brava anche la Bertelli che è riuscita a coinvolgere, in una piccola impresa, due sudicioni e che si presenta, insieme a loro, da Mauro, il giornalaio, divertito ma schifato per  tanta mota. L’uscita domenicale vede l’epilogo in un entusiasmante lavaggio delle bici con la pistolina dì Nucci  e in un Chiarugi che non riesce a togliersi le scarpe poiché le sue mani sono talmente infreddolite da assumere un colore cadaverico.  

 

8-12-2000 Imm. Concezione

S. Donato in Poggio

Grigio, grigio,grigio. Non mi ha mai entusiasmato il grigio,  ma pedalo lo stesso. Pedalo nel colore del cielo e nel colore della mia anima. Come al solito chiedo informazioni sul percorso, il Caparrini mi risponde ed io immancabilmente non capisco mai alla prima,  quale strada faremo. Pare si debba raggiungere S. Donato in Poggio, località che io  associo ad un’uscita invernale quando Massimo fece la pipì non so quante volte! Pedala, pedala i biancazzurri si ritrovano compatti nei pressi della salita della Sambuca quando vengono sorpassati da due baldi ciclisti. “Non sia mai!” pensa ì Nucci e giù…verso l’inseguimento. Io lo seguo e, in men che non si dica riusciamo ad agganciarli. Come al solito  attacco loro bottone e vengo a sapere che sono di Firenze e che uno di loro è il vincitore dell’ultima edizione della gara di Fiesole, Competizione che tutti gli anni dà il via alla stagione agonistica di M.T.B. Arrivati nei pressi di S.Donato mi rivolgo al Nucci e gli dico “Sai che hai pedalato a fianco del campione dell’edizione 2000 di Fiesole?”- “E lui lo sa che aveva vicino l’eroico 2000?”. Umile come non mai, si avvicina al bar del paesetto e si trascina in pancia, con la stessa velocità della risposta, non so quanto di commestibile lui abbia trovato. Prosit!…A te e a tutti i tuoi seguaci. Durante il ritorno ricevo un messaggio di Paolo che m’informa della sua vittoria podistica. Evviva si mangia il “presciutto”!!!

 

 17-12-2000

S.Lazzaro

Santo del giorno più appropriato non lo si poteva trovare. “ Alzati e cammina…anzi, pedala!”. Il freddo-umido di piazza del duomo, non mi ha fatto gustare la magia, comunque presente, di S.Gimignano. Avevo una gran voglia di alzarmi e pedalare, ma come fare con quelle bocche da sfamare, con quegli sguardi biafrani di fronte a sfogliatine e caldi caffè? Aleggiava l’ipotesi di un panino ripieno di  melanzane e zucchine. “Pagni non lo fare!” . D’altra parte ha proprio ragione il Caparrini quando dice che:” Portare il Pagni a S.Gimignano è come portare un bambino alla fiera, se c’è il sole poi bisogna prenotare l’albergo!”. Primo vero freddo ai piedi e alle mani.

 

31-12-2000 S.Silvestro

Ultimo giorno e ultima pedalata del duemila. C’è stato un ammutinamento: non più Monte Carlo ma il Serra dall’amico lento. .Amico lento un corno! Quello, pur di non lavorare, ne inventa di tutti i colori.  D’altra parte, una sera di Maggio, mi disse che il mestiere è una sottospecie dell’arte. E lui è proprio un artista! Era tutto chiuso, sprangato; il ristorante era una tomba di silenzio. “Alè, questa volta ci siamo! Non mangiano” Me tapina! Sono affamati più che mai, con il re che smania dalla voglia di affondare i denti in qualsiasi cosa, purché commestibile, si fermano in un bar il cui nome dice tutto: “Il Merendero”.

Obbrobrio, orrore ed… onore. Lo scettro è definitivamente mio. Il mio Vate mangia gli avanzi degli avidi e si riscalda le mani toccando tutte le calde tazzine di caffè vicine a lui. Non solo! Dalla mia ne prende anche un sorso. Il ritorno è particolarmente ricco di pensieri, riflessioni e poche parole. Mi passano davanti, come nella poesia dell’Anonimo brasiliano, le varie tappe del duemila. Un anno un po’ strano: triste, entusiasmante, allegro, esaltante, appassionante, malinconico, abbacchiato, vivace, ilare, simpatico, pensieroso, serio….ma comunque sempre ricco di quelle pedalate che rafforzano la voglia di andare avanti,  con la speranza di vivere una vita serena sopra la sella e….fuori la sella.

Ciao ragazzi! Ci vedremo il prossimo anno.

 

 

1-1-2001

Ieri era un anno fa. Oggi è un anno dopo!…

Certo la concezione di  “tempo” è proprio strana: lui non esiste. O meglio, non esiste che per quell’attimo che riesci a cogliere. E se lo cogli….! Ieri…dove sei? I tuoi ricordi mi intasano e mi affollano la mente rendendola talvolta poco obiettiva. Domani…quando arrivi? Dove sarò, cosa dirò e cosa farò quando giungerai? E..Oggi? Oggi pedalo, e mentre il mio cervello macina queste riflessioni, le mie, le nostre ruote macinano i km che ci separano dal Monte Senario. Per strada incontro Roberto Salvini e sono felice di salutarlo e dargli un bacio da portare al mio caro Mario. Rimango dietro al gruppetto di testa sia perché mi sono fermata per i saluti ma soprattutto perché loro sono più bravi e più fogati di me. La solitudine però aiuta e stimola le riflessioni e le meditazioni. E’ proprio una bella giornata di sole, freddina ma limpida. Arrivata al convento i miei amici mi invitano a guardare il panorama che si apre alla mia sinistra. Bellissimo! Riconosco Borgo S. Lorenzo, La Ronta, la salita per il P.sso della Colla e i monti della Sambuca. C’è già un po’ di neve e questa li rende ancora più suggestivi. Durante il ritorno, al bar di Pratolino, ci fermiamo per la sosta Pagni. “Oggi è il primo dell’anno e ce lo possiamo permettere” dice il Caparrini rivolto ad un vassoio con calici pieni di spumante e ad un invitante pandoro che l’incontenibile e incontrollabile maestro di cerimonie ha imposto al gruppo. Anch’io, questa volta, con allegria e senza troppo brontolare, brindo ad un sereno e pacato 2001. Prosit! 

 

 

 

21-1-2001  S.Agnese      “Agnese dolce Agnese color di cioccolata….”

Marco questa mattina mancava a tutti e tutti, chi più,  chi meno, parlavano di lui. “Te lo immagini al sole di questa piazza, con crema sulla pelle e crema in bocca? E  con le gambe distese sotto il tavolino, mento alto pronto per l’abbronzatura?” “ Manca ì Pagni? Meglio così- borbotta un po’ bugiardo il Caparrini- con lui la sosta sarebbe durata come minimo mezz’ora di più”. Cosa dire del percorso senza impennate? Cosa dire del sofferente bivio mancato che da Pieve di Compito porta all’amico Lento? Cosa dire della pianura che più pianura non si può? Affogherò i miei dispiaceri ciclistici in una misera spremuta d’arancia e in un’assente porzione di riso dentro (?) una sfogliatine raggrinzita e un po’ smunta. Non ho perso tuttavia il potere spartano perché ho imposto tali vivande al mio maestro dimissionario che, preso dalla disperazione, si spoglia davanti a tutti. Il rientro è angosciante: pianura, pianura e poi pianura mai sotto i 38 km/h senza un minimo senso di squadra. Ma lo sanno come si danno i cambi?. Dentro di me c’era un urlo perenne:”Mortiroloooooo , dove seiiiiii?

3-3-2001  S.Cunegonda

 Ieri è stata una giornata piovosa ma, nonostante tutto,  una pedalata liberatoria mi ha aiutata ad affrontare, nel migliore dei modi, un uggioso pomeriggio. Oggi non piove più e una ciclista che vuol fare un po’ di M.T.B sa di dover fare un’accurata scelta di percorso a causa della grande quantità di pioggia caduta ieri: evitare accuratamente le zone che hanno terre argillose, sentieri tra i campi o vicini a vigneti. Per esempio la zona di Castelfiorentino! Preferire invece tutti quei posti che offrono strade bianche o comunque bosco. Vedi Montalbano! Nessuno ascolta le sagge parole della Bertelli e Chiarugi e Nucci si avvicinano pericolosamente alla zona “aut”. Si sa che la velocità aiuta a non far aderire più di tanto il fango ai freni, copertoni e tutto il resto. Ma come poter pedalare se la ruota posteriore non attacca e gira inesorabilmente a vuoto? Il piede a terra è inevitabile e, in men che non si dica, le nostre scarpe diventano enormi come quelle di un clown . Camminare in quelle condizioni è difficile e drammatico lo diventa se ti devi trascinare dietro la bici che  si fa sempre più pesante. Un chiodo penetra impietosamente la mia ruota posteriore contribuendo ad aumentare l’ansia e la voglia di dimostrare a me stessa che sono capace di arrangiarmi sempre e comunque. Col cavolo!!! Meno male che Chiarugi aveva  tutto l’occorrente perché, me tapina, mi sono accorta di non avere niente sotto il sellino. Ma non è finita qui…L’ultimo tratto di sterrato (circa 400 m, forse più ) è stato veramente drammatico segnando due momenti cruciali: la disfatta, la Waterloo di Nucci e il compiacimento con me stessa per aver salvato la situazione. Andiamo per ordine! La sua bici era talmente piena di fango che lo stesso Chiarugi aveva difficoltà a sollevarla. Bertelli, con un impeto da vigorosa silfide prende la bici di Nucci (ma come pesa!) e cercando di mascherare  il più possibile la fatica la trascina con grande sforzo verso un tratto di strada con l’erba che toglie il fango dalle ruote. Il gioco è fatto, basta correre un po’ e via, via si staccano i pezzi di mota e la bici si fa sempre più leggera. Finalmente l’asfalto! Arrivo nei pressi di un muretto, mi merito una sosta (non Pagni s’intende) e aspetto un bel po’ l’arrivo dei due disperati che si trascinano dietro le pesanti biciclette con la consapevolezza di :

1)      Essere sudici come maiali

2)       Di essersi divertiti nonostante tutto

3)       Di dover riconoscere che la Bertelli è più forte di loro…ma non lo faranno mai!          

La pioggia cade quasi a consolare le nostre bici che bramano un po’ d’acqua liberatoria come lo sarà del resto la pistolina del Nucci che ridarà un po’ di colore ai telai e leggerezza alle scarpe.

La giornata termina con la visione del film Chocolat: tutto all’insegna del marrone.

 

 

 

 

Sento una strana cantilena dentro di me, quasi una nenia…

Mi sono svegliata col pensiero che oggi sarei andata a mangiare da mia zia e i ricordi dell’infanzia si fanno largo prepotentemente quando penso al mio giardino, alla mia stanza, alle mie cose, alle mie canzoncine….alla casa di Fibbiana!

 

Domenica 1-04-2001 S.Ugo

 

     E, come ogni Domenica mattina, inforco la bici e via…

                   

 Lo Zecchino D’Oro

   “Si unirono compatti” (’68), non in fila per sei e neppure col resto di due ma partirono lo stesso alla volta del Goraiolo.

Le ruote girano, girano.. “Per me cantare è un gioco” (’84) e, un po’ con gli occhi da Mago Zurlì, (o da fatina?) cerco nei miei compagni tutti quei personaggi che dal ’59 a oggi hanno varcato le scene dell’Antoniano di Bologna.

La salita è vicina e “Il Lungo, il Corto e il Pacioccone” (’70) sono come sempre a studiarsi, a parlottare, a preparare i piani d’attacco. “Goccia dopo goccia” (’74) il sudore scende inesorabile sulla fronte, scivola sul telaio ma non mi impedisce di guardare il panorama mozzafiato che la svizzera pesciatina ci offre come sempre. Le mie gambe girano bene ma, ad un tratto, un gran male allo stomaco mi paralizza. “Dagli una spinta” (’65), sembra gridare l’altra Beatrice che è in me. Mi sento proprio una “Tartaruga sprint” (’73). Tutto il gruppetto mi passa e “Il cane e il gatto”(’88) si sono incollati ai tre bravoni e mi lasciano lì, ansimante. Dopo un po’ riacchiappo il gatto e insieme arriviamo al Goraiolo. “Alì Babà” (’72), con la sua inseparabile fascia inzuppata di sudore, arriva tutto pimpante: si vede che oggi gli gira la “Ciribiricoccola” (’74). Anche “Rock e Roll” (’80) arrivano: il primo, come sempre, tutto sbracalato, con la maglietta aperta, l’altro con la cronica allergia per le salite. Il nuovo compagno trionfalmente si unisce al gruppo: anche lui, grande”Torero Camomillo”(’68) ha domato il Goraiolo. E via verso la sosta! “Il caffè della Peppina” (’71) non lo perderebbero  per tutto l’oro del mondo. Il maestro intanto chiede al Bambini Gesù : “Fammi crescere…altri denti davanti” (’62) per mangiare di più. Vergogna! Ma non ti basta il bombolone che addenti? Non solo! Brontola perché Alì Babà gli ha mangiato l’ultimo rimasto nel vassoio. Poi la foto di rito e…giù per la discesa. Il pacioccone assume le sembianze di “Popoff” (’67) e urla al Lungo:”Corri topolino” (’89). Il Corto invece si trasforma prima in un “Pulcino ballerino” (’64), poi in un moscerino che danza il suo valzer (’68). Guardo l’orologio: per fare 100 Km, con partenza alle 8.30, ci sono volute ben 4 ore e mezza! Quanto è costata, in termini di tempo, oggi la sosta? Troppo, tanto..ma è inutile brontolare tanto sono sempre lacrime di “Cocco e Drilli” (’74)!!!!

 

P.S  Tutti i titoli, segnati dalle virgolette, hanno a fianco l’anno del loro Zecchino D’Oro.

 

25-04-2001 Ann. Della Liberazione e S. Marco ev.

LA NOSTRA MARATONA

“Toccate e…fuga!” *

 

Credevo fosse sudore.

Era invece quel liquido salino che fuoriesce dall’occhio a causa di innumerevoli motivi.

Lacrime e gioia…

Non sono spesso associate fra loro. L’essere umano tende più a piangere per il dolore che non per la felicità. L’uomo, poi, reprime volentieri le lacrime quale segno (aimè per lui!) di debolezza.

Questa mattina non erano necessarie le parole. Solo il silenzio poteva accompagnare quel magico momento, quel pianto liberatorio.

Silenzio associato allo sguardo felice di Roberto nei confronti di Paolo e al mio tenero abbraccio e a un mio materno bacio al maratoneta. Al grande, nostro campione!

Eh, si! Paolo ha durato tanta fatica. E’ stato bravissimo a mantenere un costante ritmo di gara, a centellinare le sue energie, a rifiutare il dolore, a stringere i denti quando al 38° km il suo ritmo scendeva un po’. E’ stato capace di far volare le 2 ore e i 39 minuti in un attimo. Il tempo è passato così veloce che quasi non me ne sono accorta. Certo per lui non è stata la stessa cosa, ma quando da un gruppetto di sei persone è rimasto solo con quel culone targato “Assitalia”, ho detto: “E’ fatta! Paolo ce la farà a scendere sotto le 2 ore e 40”.

Ho visto di tutto un po’ questa mattina. Dal pluritatuato all’ometto sdraiato sulla bici. Dal cane vestito da maratoneta alla bambina sul passeggino numerato. Ho visto keniani, italiani e pisani (è un popolo?). Ho visto donne grasse e uomini di una certa età. Ho visto il Chiarugi che, con la sua disarmante normalità ha regalato a me e a Roberto una giornata indimenticabile. Lui ha faticato fisicamente, noi soffrivamo per lui, con lui nello spirito.

L’Amicizia è anche questo.

 

 

 

1 Maggio    Festa del Lavoro

 

Sotto l’ombra della torre torta, il pensiero di Pachiaru, il cui nome aggrovigliato ricorda vagamente il dialetto marchigiano, era rivolto non tanto al pallottoliere dei globuli rossi da contare, quanto all’amico Lento che sarebbe stato testimone di lì a poco, dell’incontro con Sergio, il fisico, il cui fisico non è molto ciclistico. Lo spirito si, eccome! E questo Pachiaru lo sa già perché per primo ha avuto contatti verbali e, in seguito “internettali”. Si dice così? Non credo proprio; ma tanto c’è chi sa di greco e di latino e, in men che non si dica, provvederà a correggermi. Peccato che colui che corregge sempre fa figuracce con il capo reparto quando gli chiede la relazione che si trova nel primo cassetto e lui gli consegna quella che è invece nell’ultimo. Pazienza! Prima o poi anche lui scenderà giù con noi poveri mortali….Ma non divaghiamo. Torniamo all’incontro. Prima che questo fosse sancito da sorrisi e frasi di circostanza, è stato conquistato il Monte Serra da Pieve di Compito per l’ennesima volta. E’ sempre bella , è sempre solitaria e stretta la salita. Diventa un po’ triste quando si attraversa il tratto di bosco bruciato, ma ritorna rilassante e meravigliosa quando, arrivati al bivio che porta ai protoni ( Pachiaru mi correggerebbe di nuovo con Santallago, ma io insisto con i protoni) la svolta a sinistra ci riserva una vista sulla piana di Pisa semplicemente piacevole. I fogati, i fissati, i travoni quest’oggi non hanno spirito bucolico. Si azzannano proprio in quel tratto, proprio vicino allo sperone di roccia dove io vedrei proprio bene una foto sociale: tutto l’Empolitour sospeso nel vuoto con alle spalle un panorama mozzafiato. Sergio è lì, braccia conserte e bici al muro che ci aspetta. Ci ha conosciuti Domenica scorsa e subito è scattata una bizzarra simpatia ciclistica. E proprio Sergio osserva l’arrivo del gruppo e vede schiccolare uno ad uno il rosario bianco-azzurro.

Massimo si è impegnato molto su per la salita ma alle costole aveva sempre, inesorabilmente attaccati, Nucci e Pelagotti. Nessuno dei due molla; Pelagotti addirittura chiude gli occhi pur di non vedere in faccia la fatica che gli morde le cosce e lo rende via, via sempre più vulnerabile.

Nucci- Boldrini. Il tormentone continua, peggio del Grande Fratello. Abilmente Nucci usa le sue carte e quella della furbizia è sempre la più efficace. “Non mi morire proprio ora” dice al Boldrini. La frase suona come un pugno in pieno viso, sferrato così improvvisamente da allentargli tutte le briglie e lasciarlo lì, ansimante a boccheggiare. Massimo sembra urlare come Mimì:” Piccolo uomo non andare via” e, con la coda tra le gambe scende il Serra con Castiglioni lasciando il gruppo in preda all’amico Walter che, con tutta la sua lentezza, cerca, con non poche difficoltà, di far scattare la foto sociale per la rubrica Pagni.

 

 DOMENICA 13 MAGGIO  S.EMMA

 

Dove si sente di più il dolore? Nelle gambe? Nelle braccia? E il fastidio dei glutei? A quale dar retta? Sei seduto e vorresti spingere sui pedali, ti alzi e le braccia stanno per cedere. Che fare? L’unica cosa è estraniarsi, uscire dal corpo e non ascoltarlo più quando questo reclama ad alta voce:” Fermati, molla, vedi come sale la strada?”. Ma tu, testarda, non cedi e cerchi inesorabilmente qualcosa che ti distragga, che non ti faccia ascoltare il muscolo pieno zeppo di acido lattico che trabocca e intasa anche i meandri dell’anima. Poi, per incanto, basta un rumore, un odore, qualcosa da guardare distrattamente e riesci ad allentare la morsa. Sulla mia sinistra, ai bordi della strada e poi su, su fino alla base degli alberi, madre natura ha tessuto un tappeto azzurro di “non ti scordar di me”. Qua e là crescono altezzosi fiori gialli e bianchi. “I colori dell’Empolitour”- ho pensato-“il Fossato ha omaggiato la nostra fatica”. Mi piace pensare che il nostro sudore abbia contribuito ad annaffiare quei fiori e a farli crescere più rigogliosi che mai. La signora che raccoglie le vitalbe per fare una frittata, l’incitamento di due uomini al bordo della strada, il verde panorama accogliente, mi accompagnano fino al tabernacolo. Mi ricordavo l’ultimo tratto con un muro a destra…e questo non arrivava. In compenso ho visto da lontano ì Nucci che stava facendo una sosta Boldrini e ho capito che era veramente finita. Un corno! Era finita “quella” salita. Altre fatiche  ci hanno accompagnato fino alle 15,30. Anche il nostro caro S.Baronto ha fatto le sue vittime! Il “maestro” era ansimante, vuoto di ogni energia, sudato, incollato alla mia ruota. Proprio non ce la faceva più. E’ stata una scoperta: il Chiarugi stava raschiando il fondo del suo barile. Prima o poi anche lui scenderà fra noi poveri mortali! (Già detto?).

Poi la doccia riparatrice dopo tante fatiche…Spazza via il sudore, la stanchezza ma non le immagini della giornata.

La più buffa? Pelagotti che zizzagava davanti a me dando, se proprio ce ne fosse stato bisogno, il senso a quel tratto fisso al 14%.

La più curiosa? Torcini che, con fare amorevole nei nostri confronti, efficiente e un po’ “De Zaniano” mi riforniva di acqua e di informazioni sulla corsa: ”I’ Nucci è in testa con 35’ di vantaggio su Chiarugi”. “Beato”  ho pensato!

La più pittoresca? I fiori giallo- bianco- azzurri. Senza dubbio!

La più bella? Qui c’è l’imbarazzo della scelta perché Madre natura quest’oggi ha dato il meglio di sé.

Per ultima c’è l’immagine irremovibile, quella che caratterizza ogni uscita, quella che merita di essere più di tutte ricordata perché vista con gli occhi del cuore. E’ un’immagine fatta di sguardi, suoni, colori, entusiasmo, Amicizia: è l’arrivo di Paolo, è l’applauso che, con tutto il cuore gli abbiamo riservato al termine della sua eroica salita.

Li ho visti così eccitati solo sulle vie del Giro e del Tour.

Credo proprio che Paolo, questa mattina, sia stato veramente un grande campione!!!!   

 

GIRO D’ITALIA 2001

Venerdì 2 Giugno  S.Giustino

 

La bambina si svegliò prima del solito e scostò le tendine per vedere se c’era il sole. Stava già sorgendo, nel suo bianco splendore, dalla montagna. Solo alcune chiare nuvolette solcavano il cielo grigio. Rivolse poi lo sguardo al bosco. Le varianti del grigio erano presenti anche quella mattina. Vide la strada nera e il gatto nero. Vide il bianco della casa e il bianco dei fiori. Tutto era bianco, nero e grigio dal giorno in cui maga Tristezza piombò di colpo nella vallata. La bambina non ne poteva più e chiese con fermezza alla mamma: ”Posso avere quei pastelli che tieni gelosamente nella scatola di latta?” “Mia cara, è molto pericoloso tirarli fuori. Sai che la maga non vuole i colori. Si arrabbierebbe e sarebbero guai seri per tutti noi” rispose . “Non m’importa- disse la piccola dai capelli neri- io li pianterò, li seminerò nell’orto e vedrai che bell’albero crescerà!”. E così fece.

Con grande tristezza, nonostante le abbondanti innaffiate, si rese conto che non nasceva nulla. Lacrime e lacrime solcarono il suo visino e, con grande meraviglia, vide spuntare lentamente prima il tronco, poi i rami, le foglie infine le gemme dell’albero tanto atteso. Da esse uscirono, uno dopo l’altro, dei pastelli coloratissimi. Prese il rosso, il giallo e poi il blu. Non si dimenticò dell’arancione e colse velocemente il viola. Con avidità prese tutte le variazioni del verde: c’era il verde pallido, il verde chiaro, il verde pisello e il verde scuro. Colse poi il verde mare e il grigio verde. Con tutti questi colori in mano salutò la mamma e partì. Raggiunse la Val Gardena, colorò gli alberi, le foglie e i fiori. Fece così anche sul Sella e sul Pordoi. Tinse tutto quello che le capitava. I boschi diventarono così un turbinio di verde. Pitturò poi i prati che si stagliavano, con le vette delle montagne, nel cielo turchino. La bambina era felice ma i colori cominciarono a scarseggiare. Già ad Arabba non ne aveva più. Peccato per il Falzarego e il Valparola! Ma lei non se ne curò più di tanto: era troppa la sua felicità nel vedere quel paesaggio che brillava alla luce gialla del sole.

Di giallo- bianco- azzurro vestiti, arrivarono tre cavalieri e un centauro. Felici nel vedere così tanta bellezza non si accorsero del grigiore del Falzarego e della candida neve del Valparola. Nemmeno si curarono del freddo e del vento che soffiava sopra al passo.

La bambina era stata proprio brava: aveva fatto un lavoro meraviglioso! “Opera perfetta” dissero i quattro quando videro i colori della Sachertorte e dello Strudel. La sera dello stesso giorno i trentatré cavalieri trentini (ma… forse non erano né trentatre, né trentini!) trotterellarono per le vie di Trento. Non credevano ai loro occhi quando videro, in Piazza Duomo, alcuni rami di albero tinti di blu, giallo e bianco. La bambina aveva così omaggiato i colori delle  armature e regalato loro  tanta, tanta felicità.

Grazie bambina perché dalla tua tristezza e dalle tue lacrime hai potuto far rinascere lo splendore dei colori e cacciar via la Maga cattiva.

Qualcuno ha detto che la felicità non è eterna …ma possiamo, grazie a te, dire che neppure le lacrime lo sono! 

 

P.S  Questa fiaba è stata raccontata al Chiarugi, ma ascoltava anche ì Nucci, durante l’ascesa del passo Sella. Poiché, secondo Chiarugi, il percorso da me proposto era un “giro sega”, mi sono potuta permettere di pedalare, parlare e inventare, di sana pianta, un racconto.

Scusate se sono pochi 110 km di montagna, più di 3000 m di dislivello, visione doppia di tappa, evitata la carovana pubblicitaria, gustati dei dolci favolosi, aver ricevuto complimenti lungo il Pordoi, essersi riparati dal freddo dentro una tenda di buontemponi veneziani che ci hanno sfamati e dissetati, aver ballato il valzer all’arrivo ma soprattutto essersi beati dello splendore dei Monti Pallidi, le cui rocce rosa sono di una lucentezza quasi vetrosa, per ben 5h 17’ 28’’ di pedalate. La sera, nonostante il giretto “facile” su e giù per le Dolomiti, qualcuno (non certamente la sottoscritta!!!) ha però accusato mal di gambe nello scendere le scale.

GIRO SEGA ANCHE LA PROPOSTA DELLA SCALATA DELL’EVEREST?

 

EMPOLI-OVINDOLI

16-17 GIUGNO 20001

 

Il resoconto della nostra avventura è già stato scritto, con la solita precisione di eventi ed episodi, dall’amico Chiarugi.

Sappiamo ormai che la mia rubrica è fatta più di resoconti dell’anima che non di quelli reali, di sensazioni che la tormentano e l’allietano a seconda  dei momenti.

Grazie a queste emozioni combatto spesso la fatica: la testa va da un’altra parte e non pensa al dolore delle gambe, della schiena e soprattutto all’intimità col sellino.

La mattina del secondo giorno Chiarugi mi chiede una favola dandomi come spunto i colori. “Bene- rispondo- te la racconterò appena arrivati alla piana di Castelluccio”.

In tutto il tratto che collega …..(?) alla piana, la mia testa si è isolata dal corpo ed ha raccolto  idee e sensazioni che mi hanno permesso di inventare la favola dei “Cinque colori”. Ho ideato la storia prendendo come spunto un racconto fattomi da un abitante di Castelluccio conosciuto non molto tempo fa. Mi parlava delle lenticchie la cui raccolta avviene con l’avvicendarsi di cinque tipi di fiori colorati in modo diverso l’uno dall’altro. Per primi, tra le piante di lenticchie ancora piccole, spuntano i fiori bianchi, di seguito si alternano quelli gialli, poi violetto, celeste e infine il rosso dei papaveri che indica il tempo della mietitura.

 Quando i monti Sibillini alla mia destra e il paese di Castelluccio di Norcia arroccato alla mia sinistra facevano da cornice alla piana che si estendeva nella sua immensa e indescrivibile bellezza, ho raccontato la fiaba a Chiarugi.

 

“BIANCO- GIALLO- VIOLETTO- CELESTE- ROSSO”

 

….Era tanto tempo fa ed era il tempo delle dame e dei cavalieri, dei principi e delle principesse, delle cortigiane e dei giullari. A Norcia i castelli erano pieni di vita: banchetti e tornei, feste e falconieri erano all’ordine del giorno. Le dame e i cavalieri, sempre ben vestiti, mostravano i loro abiti sontuosi ed eleganti sfoggiando sete pregiate, stoffe damascate e cotone di Fiandra. Ricami dorati e colori vivaci ornavano invece le vesti per occasioni ancora più importanti…Era il tempo delle vacche grasse.

Solo due dame e tre cavalieri si distinguevano tra i tanti.Ognuno di loro vestiva di un solo colore: la dama bionda amava il bianco, il suo cavalier servente era sempre di giallo vestito, il più alto dei tre prediligeva il violetto, l’altro invece il celeste che lo faceva sembrare un principino (un po’ sciocchino a volte, ma questa è un’altra storia), la dama dai capelli ricci e neri adorava il rosso. Non erano ben visti dalla società che a mala pena li tollerava e, con l’andar del tempo, li allontanò sempre più. I cinque si rifugiarono su per i monti, sopra a Norcia. Raggiunsero una piana e qui vi costruirono il loro “castelluccio”. Si cibavano di tutto quello che madre terra offriva loro. Avevano anche dei semi un po’ particolari: lenticchie. Queste avrebbero dato i frutti solo se, dopo piantati, veniva intorno battuta la terra con le mani. Provò per prima la dama bianca, ma le sue mani non bastavano. Si divise in due ma non erano sufficienti, allora in quattro, in otto, in dieci, in cento, mille, quattromila e chissà quante altre volte ancora. Più le sue mani battevano forte il terreno, più le piantine spuntavano rigogliose. Era stanca, così le numerose particelle bianche si unirono tra loro per ridare forma alla dama. Toccò al cavaliere di giallo vestito: si divise, batté il terreno e ritornò in sé. Fu la volta del cavaliere violetto e del cavaliere celeste. Quando la dama rossa si divise in miriadi di parti, tutti riconobbero i papaveri. Era arrivato il tempo del raccolto!! I cavalieri e la dame si dettero un gran daffare per mietere le lenticchie, metterle nei sacchi e serbarle per il tempo a venire. E così, per diverse stagioni, si rinnovò il miracolo dei colori.

Intanto le vacche grasse di Norcia scomparvero. L’esercito nemico distrusse la città, saccheggiò i castelli e il disordine, la povertà e la fame regnarono sovrani. Gli abitanti rimasti, che sapevano del castelluccio e delle formidabili lenticchie, andarono a chiederne un po’ ai suoi cinque abitanti. Dall’alto (in tutti i sensi!) della loro bontà, ingenuità, gentilezza e un po’ di pazzia, accolsero tutti quanti dando  quello che le scorte consentivano  di donare. I norcini, quando bussavano al castelluccio, rimanevano tutti meravigliati da una frase scolpita su un’asse appesa vicino al portone principale che diceva:” Le cose semplici sono le più belle, sono quelle che alla fine sono le più grandi.”

Questa l’aveva loro insegnata un certo Francesco, anche lui un po’ matto, vestito sempre di marrone, parlava con gli uccelli e ai lupi. Veniva da Assisi e pure lui si cibò delle lenticchie. In segno di riconoscimento donò ai cinque abitanti un sorriso e tanta semplicità.

Quello che serve per guardare il mondo con gli occhi del cuore!!!!! 

 

 

 

Non riesco a fare un racconto preciso del viaggio perché non ricordo i nomi dei posti visitati né tanto meno la dinamica del percorso. Mi sarei miseramente persa al primo bivio e, con o senza cartina, per me sarebbe stato quasi lo stesso. E’ per questo motivo che all’inizio non sono riuscita a capire a fondo la cagnara fatta da Nucci quando, già in piazza dei Leoni, si è accorto che il navigator Chiarugi l’aveva lasciata a casa. Col senno di poi posso dire che questo è stato un buon inizio….Quando il dott. Nucci ci ha piantati lì, soli, soletti alle prese della fotocopiatrice di una cartoleria di Cerbaia, è scattata la molla che ha fatto riuscire in pieno la mia impresa. Arrabbiata? Oppure adirata, rabbiosa, incollerita? O meglio, infuriata, irata, furibonda? No, peggio! Permettetemi una volgarità: ero proprio in- caz- za- ta!!! Questo mi ha causato una carica talmente forte da non sentire le pedalate, la fatica. Era generalizzata la cosa perché anche gli altri avvertivano un certo disagio. Poi piano, piano a tutti è un po’ passata. Io però non riuscivo ad uscire da questa eccitazione negativa a tal punto che, quando ho guardato per la prima volta l’orologio erano già passate quattro ore e mezza e io non me ne ero minimamente accorta. I dolori del “soprasella” si sono fatti sentire nei pressi del valico di Scheggia(?). Un caffè ustionante mi ha reso i nervi ancora più tesi…E giù per la discesa. Forse, e dico forse, verso Gubbio il mio animo si è un po’ stemperato quando un gelataia, a detta di tutti molto sexi, si è rivolta alla sottoscritta facendole dei complimenti al fondoschiena (“così tonico e ritto”- parole di gelataia ) e alle gambe. Che sia stata una fata ignorante? 

Ho iniziato a pedalare serenamente nei pressi dell’ultima salita del primo giorno che porta a Colfiorito. Strada stupenda con un bellissimo panorama, l’animo si era ingentilito ma la desolazione delle case sventrate dal terremoto non mi facevano vivere serenamente il luogo.

Colfiorito, cena, dormito così, così, colazione, e via verso nuovi orizzonti!

Norcia, la boutique del pecoraro Marco,l’acqua fresca della fonte, S. Benedetto, protettore dell’Euro, fanno da preparazione mentale a quello che sarà uno dei posti più belli che io abbia solcato con le  mie ruote: La Piana di Castellucio.

Pendenza ottima, panorama della piana di Norcia che ci accompagna per un bel po’, poiane che svolazzano qua e là, vento, fiori, Egiziana che ci sostiene con la sua perenne e insostituibile presenza, tappo bianco del radiatore perso da tre ragazzi di Terni. E tanto altro ancora. Rimango distaccata da Chiarugi e Nucci perché non ho più acqua. Egiziana provvede subito. Doppio tornante, vedo due puntini bianco celesti avanti a me, mi volto e ce n’è un altro dietro. Maurizio avverte i primi segni di cedimento. Ultima curva…Piana di Castelluccio. Non so se proseguire o fermarmi. Preferisco fermarmi, l’emozione deve essere tutta mia. E’ qualcosa che ti entra dentro prepotentemente  e fa fatica a uscire: è il vento che ti strapazza, è la luce intensa del sole, è il verde sibillino che ti rilassa il corpo e l’anima, è quello che ti aspettavi di vedere, è quello che volevi vedere. E’ amore anche questo: è bearsi dell’anima delle cose che sono di tutti e che sono quindi anche tue. La Piana, in quel momento, era anche mia. Scendevano calde lacrime sulle mia gote; solo Roberto ha osato chiedermi “Che fai?”. “Guardo l’aquilone”- ho preferito rispondere, perché non avrei mai e poi mai trovato le parole giuste per dirgli quello che provavo in quel momento. E poi, onestamente, dall’alto della sua “sapientia”, l’avrebbe capite?

E i fiori, e i colori…..!!!

Dopo queste emozioni una discesa era quello che ci voleva. Maurizio ha deciso di fermarsi. Chilometri e chilometri di strada sono passati sotto le ruote quando, finalmente, il cartello  “L’Aquila” ha allietato la nostra vista, la nostra mente e la nostra bocca: un gelato veramente buono in Piazza Duomo è stato divorato da tre ciclisti puzzolenti e sudati, mentre bandiere giallo-rosse sventolavano in segno di vittoria.

Una salita di venti chilometri separa L’Aquila da Ovindoli. L’abbiamo volata e  gustata tutta, tutta con il mio tormentone che diceva “ Martedì mi taglio i capelli, sono sei anni che non vado dal parrucchiere” “No, non lo fare” rispondevano i due che pedalavano al mio fianco. Che bischeri! Loro non lo sanno  ma  quel martedì è di una settimana, di un mese e di un anno  ancora non  precisato.

La foto sotto il cartello “Ovindoli” vede la fine della nostra avventura. Il giorno sta per finire e il sole è già basso all’orizzonte. Fra abbracci, sorrisi e “Alla prossima!” quattro ciclisti e un angelo biondo brillano intensamente di luce propria.

 

TOUR 2001 

 

E’ arrivato il momento delle spiegazioni:

“ mitridatizzare” vuol dire, in sintesi, prendere in piccole dosi qualcosa per poi esserne immuni. Alla prima si può pensare al veleno.

Io no!

Il mio primo pensiero va …al cibo.

Per star dietro e sopportare certi amici ci vuole, più che un gran cuore, un buon fegato e uno stomaco che funzioni bene. Il mio ha fatto i capricci. Ho dato la colpa ad un virus, alla febbre. Macché! Non sono proprio capace di mangiare quanto e quando loro. Un vero disastro!

Ma non certo è stato un disastro il Tour 2001.

Il mio Tour è  stato ritornare indietro nel tempo: entrare nella rimessa  della Canottieri S.Remo e vedere molte barche Salani. Pedalare poi per le vie della canora e fiorita cittadina aspettando il pneumologo e chiacchierando con il pneumatico Leo.

Il mio Tour è anche essere in macchina un po’ annoiati ma vogliosi di arrivare, con un sottofondo musicale di Editte Piaff  che quasi impone una melodia da portarsi dietro per tutti i cinque giorni del Tour e che canterò ogni volta che qualcuno mi incita e mi fa i complimenti salita facendo: “ Regard-moi milord, vous avez deja me vu….”. Solo al basco, mezzo ubriaco, non l’ ho cantata perché, oltre ad avermi incitata mi ha anche…toccata!

Il mio Tour è stato una piccola sfida con me stessa: riportare a casa i mie due cavalieri. L’uno steso sui sedili posteriori della macchina annientato dal mal di pancia, l’altro dormiente per quasi tutto il tempo ammutolito dalla febbre. Nei pochi momenti in cui era sveglio aveva raggiunto però una soglia di insopportabilità tale da somministrargli forti dosi di sonnifero sottoforma di canti a squarciagola della guidatrice.

Il mio Tour è stato affrontare i piccoli malanni con stoicità ciclistica che vedono nell’ordine: mal di pancia, puntura di zanzara all’occhio dx, febbre , vomito e tanta voglia di essere superiore a ma stessa. A casa non avrei nemmeno preso in considerazione l’idea di montare in bici dopo aver avuto la febbre durante la notte ( affrontando la mattina il Tourmalet e il Luz Ardiden) e vomitato la mattina del giorno dopo  pedalando mezzo Houtacam ( o Houcatam?). Ma si sa, quando le cose brutte si superano, grandi o piccole che siano, dopo abbiamo il senso della nostra forza….ed io un po’ l’ ho avuto!

Ma il mio Tour è stato anche…il Tour de France: salite immerse in quello splendido verde di montagne “poppose”, come direbbe il mio caro amico Salvini. Fatica nel raggiungere la vetta sempre più lontana e mai l’ultima prevista per la giornata. Caldo insopportabile da levarmi il casco in salita, stile Nucci. Visione delle due tappe con la prima (Pla da De???) su una tettoia insieme a Roberto e ad uno scorbutico signore e la seconda di impareggiabile bellezza ( Luz Ardiden) sotto un riparo improvvisato da me e Roberto fatto con un foglio di giornale. Vicino a noi c’era un panciuto signore che all’inizio ostacolava, e non poco, la visione del panorama . Quando si è scostato ho potuto guardare in basso e mi si è aperto uno spettacolo bellissimo: la strada era invasa da migliaia di magliette colorate contenenti spettatori sprezzanti del caldo ma non  dei gendarmi, urlanti come non mai al passaggio di un centinaio di ciclisti più o meno drogati, più o meno sfatti dalla fatica, più o meno belli. Con le bellezze che vanta l’Empolitour , non ho bisogno certo di agognare quelle della Grande Boucle ma, già che c’ero, ho degnato di uno sguardo il sempre affascinante Lance e un altro biondino, credo australiano ( non vorrei osare, data la mia ignoranza non superabile tuttavia da Pagni, ma credo si chiami O’ Grady) Alla mia destra un enorme schermo ingigantiva le immagini della corsa che potevo vedere direttamente in basso. Un vero divertimento, il momento più bello dopo quello dell’attacco di Savoldelli lungo la discesa del colle di Fauniera al giro d’Italia del ’99. Alla fine, sullo schermo, hanno inquadrato il volto del vincitore, mai visto prima, il cui nome non lo so, non lo ricordo e non m’interessa di sapere. So solo che era un basco perché i suoi beniamini, di arancione vestiti, lo osannavano con canti e balli. Le mani e gli sguardi avevano un tenero sapore. Quasi fermavano il tempo.

Stendo un velo pietoso sull’immagine che ritrae il povero dott. Chiarugi e la sottoscritta sedotti dall’amicizia e abbandonati come cani randagi, che aspettano invano coloro che non ritornano. Fra una nausea e un’altra, col freddo pungente (forse era febbre, chissà!) si alza un grido:” So dove sono quegli ingrati,  irriverenti e dimentichi di chi soffre. Hanno le gambe sotto i tavolini dell’Auberge de l’Arrioutu”. Un cartello, ai bordi della strada, indicava chiaramente dove loro hanno passato le due ore di inutile  attesa. Con la coda tra le gambe, un po’ martiri, un po’ eroi, ritorniamo lemme, lemme a Lourdes. “Madonnina cara, perdonali perché non sanno quello che fanno!”

Il mio corpo è un po’ provato dopo tre giorni di ciclismo matto e disperato e sinceramente sono un po’ stanchina; ma la fatica maggiore l’ ho affrontata la sera, durante la giratina per le strade affollate di Lourdes. Con l’Empolitour al completo, mi sembrava di essere alla Coop  insieme alle mie zie ottantenni che fanno tre passi su un mattone. Uno strazio sopportare quel ritmo con la stessa storia, le stesse parole tutte le sere:” Carpigiani si Carpigiani no”.  Ovviamente…..Carpigiani  si

ANCHE QUESTO E’ L’EMPOLI TOUR…… SOPRATTUTTO QUESTO!!!!

 

 

 

 

 

 

 

Questa palese e grave interruzione di resoconti ciclistici e non mi fanno male. Guardo le date e vedo un buco fra quelli che sono stati gli impegni del gruppo e le uscite estive. Perché non ho scritto nulla, perché non mi usciva nulla dalla penna? Il motivo è semplice: “Non  mi viene nulla da raccontare, non ho niente da ricordare .”

Una cosa è certa: sono cambiate tante cose nella mia vita e anche il modo di pedalare ne ha risentito molto. Oggi, mentre pedalavo per i colli di Signa, disegnavo nella mente un po’ l’itinerario. Non me ne andava bene uno. Forse perché non mi stimola più pedalare e soffrire; oppure non ho più voglia di soffrire inutilmente. Quando uno sale, e sale, e sale ha la voglia sempre più forte di scendere o, per lo meno vedere lo scollinamento. A me succede, in questo momento, nella vita ma anche e soprattutto in bici, di aver voglia di discesa, di tirare il fiato, di raccontare al mondo che sono felice anch’io.

 

Venerdì 9-11-2001 Ded. Basiliche Lat.

 

Come le altre volte, durante il tragitto in macchina, mi sono immaginato il percorso da fare.

Il bosco!

Era tanto che non pensavo a lui, ai suoi colori, odori e ai suoi sapori. Mi sento a casa mia quando lo penetro a tutta velocità e lascio dietro a me polvere, se non ha piovuto, o schizzi se è pieno di pozze. Sono proprio contenta di aver pensato a Faltognano questa mattina. Arrivata nei pressi del leccio  parcheggio la macchina e do un’occhiata al panorama. E’ come essere sul camminatoio delle mura di un castello. Guardo in basso e penso :”Il mio feudo è proprio bello”. Riconosco il fiume, le case dei paesi sottostanti. C’è la rocca di S.Miniato e, più in là, sulla sinistra, ci sono le colline di S.Gimignano. Se poi è una luminosa e chiara giornata, si può vedere anche il mare. Lascio la macchina e mi avvicino al bosco. Quanto tempo è passato! Tanti mesi, quasi un anno. Il tuo sentiero è sempre bello e accogliente. Ti guardo e ti sento amico. Non ho mai paura anche se sono sola, lontano dalle abitazioni. Mi allontano sempre più e sento i tuoi odori pungenti, i tuoi colori che mi riscaldano l’anima e i tuoi sapori che mi inteneriscono. I corbezzoli sanno di buono, di antico e mettono un po’ di malinconia. “Non più di uno”- dice il saggio! E corro, corro verso la mia meta, verso il tuo cuore, verso il tuo “dentro”. Il respiro è sempre più affannoso, il mio cuore batte forte, forte e il sudore cade inesorabile. I miei capelli sono bagnati come nelle giornate più calde di Agosto. Le mie gambe... le mie gambe cosa stanno facendo? Non pedalano! No, non stanno pedalando. Perché, cos’è successo? Ai miei piedi non ci sono i tacchetti ma leggere e morbide scarpe; i miei pantaloncini sono...semplici pantaloncini. E con un bottoncino colorato, per giunta! Ma, cos’è successo? Sto correndo! Si, sto correndo come una pazza da ben un’ora e mazza. Senza raggi, senza cambio, senza casco, senza pedali, senza catena.

Senza la catena!

Si, mi sento libera, libera come non mai. 

  

 

 

 

 

DOMENICA 25-11-2001 CRISTO RE

 

Mezza città si mette a correre: è il giorno della Marathon!

 

 

Seitreduedue. Questa sono io!

Sono in mezzo a ottomilaquattrocento persone coloratissime, infreddolite, sorridenti e pronte a passare una mattina un po’ particolare. Davanti a me ci sono tre buontemponi aretini, uno dei quali ha dipinta sulla pelata una cicatrice a mo’ di sfregiato. Alla mia destra ho dei signori di Aix- en Provence che sanno tanto di Tour; a sinistra c’è un uomo che lancia in aria, senza badare a conseguenze, un maglione coloratissimo e sbrindellato. Da dietro mi arriva un caldo abbraccio: è l’eterodosso podista che mi stringe e, vista la temperatura, accetto volentieri il gesto. In questa posizione osservo con molta emozione la folla. Una voce annuncia che tra pochi minuti verrà dato il via e un atleta non vedente chiede un urlo perché vuole anche lui “vedere” il piazzale Michelangelo pieno, all’inverosimile, di podisti. Sono emozionata come non mai e anche un po’ impaurita perché conosco, si  le mie doti atletiche ma soprattutto sto valutando i miei limiti e questa mattina ne conto tanti.

VIA! So che i miei primi chilometri saranno i più difficili perché ho il rifiuto della stanchezza, non amo correre e vorrei fermarmi da un momento all’altro.Il chip, un ciao a Roberto e le gambe si muovono insieme a quelle di centinaia e centinaia di persone che corrono intorno a me. Uomini più o meno panzoni, donne più o meno culone, giovani più o meno belli. Ce ne sono di tutti i gusti. Un tipo manda un urlo, mi sorpassa e comincio a ridere perché…è vestito da capo indiano con tanto di penne in capo e gonnellino in pelle scamosciata. E giù, verso porta Romana! Mi saluta una ragazza che mi chiede:” Ma cosa ci fai tu qui?” “Non ne ho la più pallida idea” –rispondo salutandola cordialmente e, ovviamente, non riconoscendola. Vengo a sapere, dopo, che fa parte del gruppo ciclistico senese (l’ ha scritto dietro la maglietta!!!). I francesi sono sempre vicini a me e uno di loro, passata Porta Romana, fa pipì vicino ad un platano ormai privo di foglie. A proposito di foglie, dopo un po’ mi volto e alla mia destra corre, con poca convinzione, Riccardo Fogli. Con la mia innata voglia di attaccar bottone gli dico :“ O canta!” e lui per tutta risposta intona:” Mi dispiace di svegliarti…” Corriamo un po’ insieme e lui mi chiede se è la mia prima maratonina “ Si, è la prima volta che prendo il via ma…a una corsa podistica” Lui non ci crede, mi dice ci andare più piano ma io lo saluto e continuo con il mio  ritmo. Che bello quando, attraversato l’Arno sul Ponte Vespucci, si vede una interminabile coda di persone su entrambi i lungarni. Mi viene per un attimo in mente il Fedaia mentre correvo una delle mie Maratone Dles Dolomites. Sensazioni uniche, irripetibili e difficili da raccontare. In via dè Tornabuoni sono colpita dalla gigantografia di un uomo che ricambia lo sguardo di una donna molto sensuale. Tante cose, tanti rumori e tant’altro ancora catturano la mia attenzione in quel tratto di strada. Mi sento chiamare e vedo un mio amico canottiere-ciclista che mi incita saltellando sul marciapiede. Siamo davanti al campanile di Giotto “ Dio com’è bello questa mattina, più del solito”- penso e proseguo, insieme a una ragazza che noto vicino a me da un pezzo, verso via Cavour. Arrivati a piazza San Marco, una signora impellicciata con la borsetta a tracollo e tacchi a spillo cerca, con aria un po’ aristocratica, di attraversare ma non trova un varco tra i podisti. Finalmente ci prova ma per poco non urta un ragazzo che la brontola. La signora, per tutta risposta, dall’alto della sua signorilità gli urla:” Mavaccagare!”. Che modi signora, si vergogni! Lei è diventata, in un attimo, la donna più brutta del mondo. E via verso Piazza della Libertà, viale Don Minzioni, il Mugnone. In fondo, nei pressi della Fortezza, avvicino la ragazza e le dico che mi fa piacere averla accanto perché mi da il ritmo. Anche lei ricambia e corriamo così vicine fino all’arrivo. Al rifornimento lei prende dell’acqua e io rallento perché non sono abituata a bere mentre corro perciò non voglio rischiare. Ascolto il mio respiro e il mio cuore. Che bello, non sono mai stata in affanno, direbbe qualcuno di mia conoscenza. Siamo già alle Cascine ed è lì che Giovanni di Montelupo mi domanda stralunato “Occheccifai?” conoscendo la mia “allergia” alla corsa. Corro verso il centro storico, verso il Duomo, verso un quasi capitombolo perché  intendevo  correre guardando la cupola del Brunelleschi. Quando mi rendo conto che ho superato i 15 km mi viene la paura di non  farcela. “Sono stata bene fino ad ora- penso- e devo mantenere questo ritmo per arrivare indenne a Santa Croce”. La ragazza che mi è vicina  sembra leggere nei miei pensieri e mi domanda se tutto va bene. “Da quanto tempo corri?- mi chiede- Sembra non credermi quando le rispondo che questa è la prima corsa che faccio e aumentando la dose le attacco un bottone sulla bicicletta. Siamo in pieno centro storico e comincio ad avere voglia di piazza Santa Croce. Da ora in avanti i pensieri si confondono e una strada vale l’altra; non ricordo il percorso. Mi ricordo che negli ultimi due km mi affianca il Chiarugi che è tornato indietro dopo aver tagliato il traguardo. Mi incita fino all’arrivo riuscendo perfino a farmi aumentare il ritmo. Arrivati a Santa Croce e tagliato i traguardo, abbraccio la ragazza e all’unisono ci chiediamo:” Come ti chiami?” “EvaBeatrice” è stata la risposta.

E’ stata faticosa? E’ stata bella? E’ stata emozionante? E’ stata una novità? E’ stata una pazzia? E’ stata una liberazione dalla catena- casco-raggi –telaio -ruote? E’ stato essere soli in mezzo a ottomilaquattrocento persone? E’ stato non rendersi conto che per 15 km  stavo correndo?

E’ stata una sfida con Beatrice e Beatrice ha vinto ed è per questo che non invidia la gioia di Daniel Too Kirwa, il vero vincitore della Maratona.

Alla prossima?

 

3 ANNI DOPO...

 

Mortirolo 2004-06-16

L’atmosfera e l’attesa erano come quelle delle importanti gare. Si,lo ammetto. Quella mattina ero emozionata e un po’ me la facevo sotto perché dovevo vincerla quella gara,forse la più importante  degli ultimi tempi. Dovevo battere quella Beatrice! Lei che non badava a  spese (soprattutto quelle fisiche) e al tempo (e non solo meteorologicamente parlando) pur di allenarsi, pur di avere pace con se stessa per la preparazione fisica. Le gare….  Già il sabato sera era gara. Già quel sabato a Edolo era Mortirolo. Avevo davvero paura di soccombere a quella stronzetta della “vecchia” Beatrice il cui ricordo mi assillava. La rammento sulla regina delle salite, nel ’98, forse un po’ più allenata, ma meno furba dal punto di vista ciclistico. Forse più strafottente e irriverente per le salite, ma meno esperta. Me la ricordo con una gran voglia di scendere ad ogni curva, sudatissima, affannosa, sola, assetata, indurita dai muscoli doloranti e dalla smorfia di fatica. “Mah! Se ho sofferto allora, figuriamoci questa mattina- ho pensato appena sveglia mentre ì Chia apriva le imposte delle finestre e ì Nucci dava gli ultimi sussulti di russamento. Combattuta tra la meno faticosa salita del valico di Trivigno e il vero Mortirolo, mi ritrovo per ultima a scegliere quale via fare. “Certo Elia sa che maman scala il Mortirolo. Bella figura ci faccio se scelgo Trivigno!”. “Sbrigati a scegliere”- quasi urla ì Caparrrini. Traccheggio con la scusa di telefonare a Maurino ma i secondi passano e i gruppi (Mortirolo vero si, Mortirolo vero no) si sono già formati. Solo la voce di Roberto mi porta alla realtà e mi invita a provare..” Se ce la fai!...” Istintivamente raccatto da buon guerriero la sfida e parto. In quel momento ho sentito,il via, il “ la”. La fresca discesa dell’Aprica, Maurino che ci raggiunge,il raggio rotto del Tempestini, le risate di zio, il ciclista che mi aizza, il falso Stelvio che ho fatto filmare da Maurino,la pisciatina, il mercato dei vitelli.. tutto è festa, tutto è riscaldamento. Eccomi Mortirolo.

Non so com’è il secondo parto, dice sia più facile, comunque più corto del primo. Il Mortirolo  targato ’98 l’ho paragonato ad un parto e di sicuro lo è stato anche quello del 2004 ma più veloce, più fresco, più equilibrato. La sorsata d’acqua alla fonte di Mazzo ha benedetto tutti e sei i componenti della spedizione ma credo, e mi piace pensarlo, che il Mortirolo mi abbia chiamato come fu per la prima volta. Ho sentito la salita che mi diceva” Vieni, sali, ti aspetto”. E’ vero, ho pigiato fin dall’inizio ma le gambe c’erano e giravano bene. Me lo ricordo tutto, tutto, tutto. Me lo ricordavo anche più bruttino. Invece i colori, la giusta temperatura, il sole brillante, facevano un panorama da cartolina. La curvona che non finiva mai, la casetta solitaria nel bosco sulla sinistra, il bosco fitto, il Plan dell’acqua, il muretto sulla destra,la curva Bugno, la parte finale dei protoni… Le scritte per lui che da lassù, sono convinta, mi ha strizzato l’occhio e mi ha detto “Hai visto vecchia gallina brontolona, rompimento di coglioni che ce l’hai fatta ?  Io ero più bravino di te, però alla curva con l’alberone hai un’ora e 14 minuti; ben quattro minuti in meno dell’ultima volta. Sai, io ne ho impiegati 48 di minuti ma…sono un’altra storia!! Adesso vai, pedala fino a loro, sono lì che ti aspettano. Vedi, là c’è Roberto che ti fa la foto e il Caparrini che attende il tuo urlo - Record! Record!- Siete stati tutti bravi, tutti, anche quel ragazzo con la vespa che vi ha seguiti e filmati fino a qui. Io sarò sempre con i ciclisti, vivrò in queste scritte, nei vostri ricordi, sulle vostre bandane, nei vostri scatti. Buona vita a tutti voi” Quando il Pirata ha smesso di sussurrarmi quelle parole ero già in mezzo a loro a bischereggiare, a ridere e a farmi la dovuta e meritata foto sotto l’insegna di legno.

Zoncolan o Mortirolo? E’ un po’ come quando siamo innamorati di due persone contemporaneamente.

 

 

(N.B. Il webmaster ha ritenuto opportuno conservare gli errori di spaziatura dell'autrice per rendere più realistico il testo)

 

 

 

ANCORA 3 ANNI DOPO...

Cortina 26-28/05/2007

 

Sembrava una gita scolastica e invece….

Vorrei poter dire, a caldo, quello che mi è rimasto dentro e quello che ho provato durante i giorni del giro. Probabilmente non ci riuscirò perché  molte cose rimarranno prigioniere della memoria e incapaci di raggiungere la libertà di essere lette fino in fondo. La Bertelli ha il ruolo di rompioglioni, si sa, perché scherzando seriamente, dice quello che le passa per la testa. Poi fa sempre come vuole il gruppo, perché ai componenti del gruppo è affezionata, ne sente la mancanza quando non può essere con loro e, alle loro spalle, ne dice sempre un gran bene. Ma cos’è successo veramente all’Empolitour? Erano odiosi durante la prima uscita verso Dobbiaco. Avevo vicino i’ Goti che non vanta un gran chilometraggio ciclistico e, per non perderlo subito, cercavo di limitare i danni chiacchierando un po’ con tutti per rendere la pedalata il più possibile adatta a lui. Me la vedevo buia! Si è avvicinato un arrancante Giovanni che mostrava i primi cedimenti (i’ Goti non lo vedevo più).  “Dai, vieni, stammi dietro che rientriamo nel gruppo”- dico al torinese che, a suo tempo, sul Courchevel ero riuscita a salvargli le gambe. Le mie narici già fumavano e le orecchie  si apprestavano a fare altrettanto. Quando li ho visti in fila indiana che tiravano come dannati e soprattutto senza motivo, senza pensare alla bellezza di stare insieme, di fare due chiacchiere, di rilassarsi un po’, mi hanno suscitato un misto di rabbia/ nausea che non ho potuto fare a meno di lasciarmi andare a una  ennesima sfuriata. Poi nel gruppo sento mugugnare che l’andatura è troppo accelerata, che si potrebbe andare più piano e che si esagera sempre un po’. Ci vuole la solita Bertelli per accorgersene? A quel punto li ho osservati meglio e posso dire che si dividono in quattro categorie A) Quelli che si sentono atleti , ovviamente non lo sono e non assomigliano a tali persone nemmeno lontanamente( mi verrebbe da usare il singolare ma non oso farlo)  B) Quelli che pur di seguirli si dimenticano della vera natura dell’Empolitour C) I’ Chiarugi , che non si sente un atleta pur essendolo, ma che ha dei vuoti di memoria circa la natura del gruppo D) La Bertelli che riesce a vedere i fiori, le belle vallate e che grida, durante la discesa del Falzarego” Belle le mie montagne”. Potrebbe appartenere a questa categoria anche i’ Pagni, ma non c’è mai! Ad ogni modo i tre giorni passati con i miei amici ciclisti sono stati veramente belli e hanno lasciato dentro di me immagini, suoni e colori che metterò in ordine sparso nella mia memoria.

 

COLORI

-         Il serpentone bianco-azzurro che si snodava verso Dobbiamo era molto suggestivo al punto che un signore al bordo della strada ha scattato una foto.

-         Enrosadira: colore rosa tipico delle Dolomiti. La sera del sabato, mentre salivo in solitaria ( e il resto del gruppo dove sarà?) al lago Misurina, ho avuto la fortuna di vedere questo colore perché un raggio di sole illuminava una delle tante vette.,, Indimenticabile

-         Il grigio della pioggia delle Tre Croci, in compagnia del dott.Borchi, di Ivanoe (senza l’accento!) e di altri Tortellini, ravvivato da un urlaccio: “ O Beatrice, tu se’ sempre ni’ mezzo”. Erano amici di Fibbiana e Montelupo che già l’anno scorso salutai sul Colle San Carlo. Ganzo!

-         Il rosa della maglia di Di Luca, il rosa delle scritte per terra, il rosa dei palloncini, il rosa del nastrino al collo del giornalista Capodacqua che ho conosciuto sul passo Giau e col quale ho scambiato delle battute niente male…

-         Il bianco dei capelli di’ Goti che, come sempre, ha ravvivato la compagnia.

 

IMMAGINI

- Il panorama mozzafiato delle Tre Cime. Stop. Ogni parola è superflua e non renderebbe giustizia alla bellezza delle montagne. E non c’era il sole…

- La discesa del Falzarego. Non ho battuto il record di velocità (72 km/h) ma è stato un momento di pace, leggerezza e serenità. Non c’era l’ombra di una macchina e la bici andava da sola. E’ stato lì che ho urlato alle montagne “Belle”.

- La telefonata che ho fatto, mentre salivo il Giau, alla mia scuola e in particolare al prof Guidi amante del ciclismo. Ho sentito il tonfo: è schiantato d’invidia!

- Le “strippate” al ristorante “La Tavernetta”

- Gli immancabili, inossidabili, indistruttibili, insostituibili Torcini-Marchetti.

- “ Dura all’inizio, dura a metà e dura alla fine”…la salita del Giau fatta insieme a Remo è stato forse il momento più impegnativo. . E’ vero, mi c’è rientrato anche di telefonare alla scuola, ma gli ultimi cinquecento metri non finivano mai. La rifarei subito!!

- Le risate che mi hanno fatto fare i’ Tempestini e i’ Traversari con il tormentone della Taurina. Esilaranti.

- La prima ora del viaggio di ritorno. Un silenzio…ogni tanto mi voltavo e li vedevo completamente persi tra le braccia di Morfeo. Che òmini!

 

SUONI

 

-         Il mio respiro che ascoltavo lungo la salita delle Tre Cime: frequente ma regolare.

-         “Senti che silenzio” mi ha detto Remo mentre salivamo il Giau. Forse il più assordante.

-         Il silenzioso Boldrini che non è riuscito a levare un filo di voce per salutare i’ Borchi e la sottoscritta perché doveva fare la salita a tutta. Poverino, era messo proprio male!

-         L’allegra baldoria ridanciana prima, durante e dopo la lettura delle recensioni del Caparrini. Pochi lo ascoltano e alcuni dormono, ma senza quel momento che giro sarebbe?

-         Il vocione di’ Goti che mi ha tormentato per tutto il viaggio  

 

 

Giro d’Italia 2008-06-03

Mi aveva affiancato un pulmino pieno di ciclisti che mi incitavano a pedalare ma, con tutta sincerità, non avevo bisogno di quelle parole. Io so quando pedalo bene. E soprattutto so quando non voglio pedalare bene. E’ diventata una mia scelta in seguito ad un evento che poco più di un anno fa mi ha segnato molto e soprattutto ha segnato il mio modo di  vedere le cose. Poi è arrivato il Torcini che mi ha quasi sussurrato” Ti trasformi tutte le volte che pedali su queste belle montagne”. E’ vero, divento la Bea di sempre, quella che si diverte a soffrire e a bearsi delle meraviglie della natura. Soprattutto sono venuta meno alla promessa che mi son fatta “poco più di un anno fa”: fermare i motori appena  avverto la stanchezza, appena il mio corpo mi chiede di più. No, tutto questo non l’ho rispettato. Era più forte di me: Pampeago, Malga Ciapela. Il giro dei quattro passi! Lo ritengo mio territorio perché lì è nata la Bea ciclista. Dovevo gustarmi ogni momento, ogni curva, ogni discesa lontana dagli schiamazzi e dalle parole spesso a bischero che escono dalle bocche degli empolitouresi.

Ma non è solo questa la motivazione per cui sono volutamente uscita dal gruppo. Il fatto è che non mi sono sentita parte di esso.

 E questa volta sono maledettamente seria.

Tutto è nato nel ritorno da Pampeago. Ho cercato di tenere a bada il gruppo perché non si facessero prendere dalle smanie di prestazione sulla via del ritorno. E ci sono riuscita! Aspettando nei pressi di Moena coloro che si staccavano un po’e mantenendo con urlacci la costante velocità. Poi, a pochi km da Canazei,  abbiamo trovato la strada bagnata ed è stato uno sgretolio. Purtroppo io ho trovato deel foglie secche e aggrovigliolate che si sono depositate su un ruzzolino del cambio costringendomi a fermare la bici e ad impataccarmi le mani. Intanto il gruppo si allontanava sempre più ma io, una volta rimontata in sella, speravo di vedermelo spuntare dietro la curva pronto ad aspettarmi. Siee! Col cazzo! Non so cosa mi pesava di più in quel momento. La delusione? La consapevolezza di valere meno che nulla? L’abbandono? La pioggia? Il rumore del cambio? Le mani sporche di mochiaccia maledetta? Ma peggio di ogni altra cosa è che, arrivati all’albergo, nessuno si era accorto del fatto che la Bertelli non c’era. Peccato!   

Peccato davvero. Adesso non ho più voglia di nessuno, ho voglia di stare da sola. Tuttavia spero che questa voglia mi ritorni al più presto, anche perché ci sono  le montagne francesi da scalare e, se proprio questa voglia di stare con gli empolesi non arriverà in tempo, mi tapperò il naso per non sentire il loro puzzo e pedalare lo stesso in mezzo a loro.

 

 

26 Maggio 2012

Cepina, piazzola di parcheggio. Goti, Sabrina ed io partiamo ridanciani ma un po' emozionati alla volta dello Stelvio con i suoi 2753 m di altitudine (2758 per la precisione, N.d.T.).

A causa del piccolo intervento avuto appena un mese prima della scalata dello Stelvio temevo, come dice i' Chiarugi, l'eccessiva intimità con la sella. Le cose procedevano nel migliore dei modi e il mio spirito era in tutti i sensi nel più alto dei cieli. Sabrina pedalava al mio fianco ed io ero felicissima di scalare per la quinta volta il Re Stelvio.

Pedalata dopo pedalata mi ritrovo ai piedi dei primi tornanti che affiancano la cascata.

Lo spettacolo è veramente degno di emozioni.

Ai bordi della strada ho visto una miriade di genziane, mi è sembrato di vedere inoltre le campanule e, nei pressi degli ultimi tornanti, ho notato dei piccoli astri alpini. Ebbene, mentre pensavo a tutto questo mi venivano in mente le parole della famosa canzoncina “Quel mazzolin di fiori...” Non mi meraviglio se nessuno di quei rospi di empolesi si è soffermato a notare tali bellezze perché la loro attenzione è rivolta o alla ruota dell'uomo da staccare, o al computerino, o all'orologio per vedere i tempi di ascesa e/o chilometraggio.

E' stato allora che l'ho visto. Non era solo, vicino c'erano tre persone, due di fianco e una dietro. Ho letto sul dorso della maglia il cognome (che non ricordo) seguito dal nome Luca. E' un ragazzo paraplegico con due spalle da gladiatore che mezze bastavano per compensare quelle dei miei amici ciclisti. Spingeva con non poca fatica la sua carrozzina. Mi sono appena avvicinata e, salutandolo, l'ho chiamato per nome “Forza Luca , alé “.

Ho continuato a pedalare e mi sono allontanata.

In quel tratto ero sola, Sabrina era un po' indietro. Ho riflettuto molto sulla forza di volontà, sulle motivazioni che ci portano a volte ad andare oltre i nostri limiti. Sfidare lo spazio, il tempo, i disegni che la vita ti prepara. E' stato così che nei miei pensieri sono entrati tanti personaggi: è arrivato Cristoforo Colombo, vicino c'era Bolt che correva a fianco della carrozzina di Luca. C'ero io che ho sfidato alcuni anni fa il disegno che mi aveva preparato la vita. Insomma mi son trovata in cima allo Stelvio piena di pensieri e con la voglia di tornare indietro e parlare un po' con Luca. Ma arriva Sabrina e i' Bitossi e poi gli altri.

E poi i' Goti! Grande Goti.

Luca non era più nei miei pensieri; c'era il Giro , c'era il puzzo delle T.Max, c'erano i miei amici, c'era il freddo che mi spingeva a tornare giù e trovare un posto “meglio” per godermi la visione della tappa. E così, via a tutta birra in discesa.

Arrivata nel punto in cui la strada spiana l'ho rivisto! Luca stava facendo una sosta Pagni e i suoi amici gli passavano una borraccia e delle barrette. Non mi sono persa d'animo. Ho fatto un'inversione di marcia e sono tornata a salutarlo. Mi ha ricambiato il saluto con un sorriso carico di energia e simpatia. Ho parlato un po' con lui, gli ho fatto i miei complimenti e gli ho abbracciato le spalle rubandogli quell'energia che era impossibile non avvertire standogli vicino. “ Sei il più bravo fra tutti noi. Alé alé Luca”.

Il serpentone dei tornanti, il panino, gli amici ciclisti che dormono, l'attesa della corsa, l'aver riconosciuto due o tre soli ciclisti, la divertente discesa fino a Bormio, l'arrivo a Tirano e la meritata cena.

Oggi ha vinto Luca, primo indiscusso fra tutte le migliaia di ciclisti saliti fin lassù.

I miei orsi empolesi avranno visto Luca? Nel dubbio ho preferito proclamare vincitori ex aequo Goti e Sabrina perché, chi per un motivo e chi per un altro, hanno avuto entrambi lo spirito di Luca.


P:S Ho saputo proprio ieri che Luca, una volta arrivato al traguardo, è stato intervistato e applaudito a lungo.

Mi sarebbe piaciuto essere lì e applaudirlo insieme a tutta quella gente.

 

  http://video.repubblica.it/sport/cosi-ho-scalato-lo-stelvio-in-sedia-a-rotelle/97205/95587

 

LETTERA GOTIANA

 

AL SIG. PRESIDENTE DELL’EMPOLITOURS (sic)


Carissimo cronista dell’Empolitours, come sai ti stimo come atleta e per la tua penna sempre sagace pungente e divertente ma i fatti che hai descritto per il Giro d’Italia 2012 nei miei confronti non sono per niente veritieri. Qualche tuo collaboratore non ti ha informato bene della mia modesta performance.

Stando alla tua cronaca si legge che il Goti ha asceso il S. Cristina nel furgone. Tutt’altro. Lo stentoreo Goti, l’ha fatto tutto fino all’ultimo tornante. E’ sceso solo quando il suo fido assistente gli ha detto che mancavano ancora altrettanti tornanti. Il Goti avendo nelle gambe solo 10000 Km. ha ben pensato di abbandonare per non cadere in acido lattico, dovendo il giorno successivo scalare l’impervio Stelvio. Il giorno successivo il Goti ha pensato bene di farsi portare dal suo fidato compagno in furgone fino a Cetina 7/8 Km. Da Bormio.

Il Goti ha cominciato a pedalare con un rapporto 34/27 fino ai tornanti del 14% dove ha dovuto passare al 34/29.

A 3/4 km. dalla vetta dello Stelvio è stato raggiunto da un tranquillo Bitossi che l’ha incoraggiato con un “Forza Goti” cosa che non è avvenuta quando è stato sorpassato da il transgenico Boldrini, che forse per la roba che aveva ingerito non l’ha neppure visto ne immaginato.

Infine è stato superato nell’ordine dall’artistico Giunti, che anche lui l’ha incitato e infine dal Supremo Caparrini. Arrivato in vetta allo Stelvio, il Goti ha visto arrivare ancora il Chiarugi e qualche altro che non ricorda. Le malelingue che davano il Goti a bordo di una corriera non sono sportivi, vogliono solo denigrare il Goti, perché forse sono certi che non ci sarebbe stata storia con un Goti allo loro età e con tutti gli allenamenti e le cure mediche che fanno durante tutto l’anno, trascurando anche i loro doveri coniugali, così facendo non sanno che i Goti sono sempre in agguato per consolare le loro mogliettine.

Vi ricordo che sono 69 le primavere, ma tiro i “rapporti” come se fossero 19.


Sempre con Voi, fino a che i miei quercioli me lo permetteranno.

In fede e con tantissima simpatia e stima .


A.Goti

RISPOSTA BERTELLIANA

 

Caro canottiere dai possenti quercioli
il tuo modo di scrivere,  così schietto e pungente,  contraddistingue lo "stile Goti" sempre inconfondibile. Sicuramente si attaccheranno ai piccoli errori che hai commesso ( sono mille e non diecimila i km che hai nelle gambe; Cepina, che non dista da Bormio 7/8 km ma un po' meno ). Queste saranno solo delle puerili scuse per non ammettere il torto dello scrittore che si fida delle malelingue e riporta sulla cronaca del Giro dei benemeriti sfondoni.
Tieni duro Goti e conquista in pace tutte le loro donne!
Con grande sfida e simpatia
La Bertelli che dice sempre le cose come stanno ed è per questo che sta sul culo a molti che occupano le alte sfere dell'Empolitour

 

 
I
 GIUGNO 2013 IL CAMINO DE SANTIAGO

Appunti sparsi

 

Sabrina, cara amica ciclista, è stata un'ottima compagna di viaggio.

 

I momenti belli sono stati tanti e anche quelli meno belli fanno ora parte integrante di tutto quel che ci è capitato e abbiamo vissuto per ben 943 km in 9 giorni di bicicletta matta e disperata.

 

Non abbiamo avuto nessun guasto o problema tecnico ( a parte un cedimento iniziale del mio portapacchi). E questo è tanto!

 

In compenso, dopo Pamplona abbiamo pedalato  per molte ore sotto l'acqua e ti assicuro non è stata cosa piacevole.

 

Le cattedrali di Burgos, Leon, Santiago... ma anche le chiesette con i nidi di cicogne sul loro campanile.

I  ponti medievali come quello di Puente de l'Orbigo o quello di  Puente la Reina...

Gli ostelli sperduti nelle campagne con i pellegrini sempre sorridenti ma anche russanti (certi concerti la notte!)

 

E poi la meseta!

Interminabili distese di campi di grano, orzo, avena che oscillavano al costante vento ( per fortuna l'abbiamo avuto a favore per tutto il tragitto) punteggiati da cazzotti di rosso: erano gli enormi papaveri spagnoli. Grossi così io non li ho mai visti!

 

Il Cammino dei pellegrini viandanti, a tratti,  era vicinissimo alla strada statale, sempre percorsa dalle nostre bici da corsa  ed era frequente il saluto che ci facevamo a vicenda: " Buen Camino"

 

Il lungo viaggio, iniziato dal versante francese dei Pirenei, Sain Jean Pied de Port, e terminato sulle coste della Galizia, Capo Finisterra (proprio perché non c'è più la terra, finita, c'è l'Oceano...) volevo che non finisse più e nello stesso tempo sentivo incessante la voglia di casa.

Una sensazione unica, mai provata prima d'ora.

 

Volevo davvero che non finisse più il viaggio. Volevo tornare a casa il prima possibile!

 

Il punto di maggior impatto emotivo è stata la Cruz de Hierro.

Qui,ai piedi di un alto palo con in cima una piccola e semplice Croce, il pellegrino depone un  sasso. Il proprio sasso portato da casa. Pare si debba deporre in segno di lascito nel senso di "lasciare qualcosa di te, del tuo passato, di cose che vorresti non tenere più" (almeno le voci in giro dicono questo). Ad ogni modo è molto personale la cosa, fatto sta che mi sono sciolta in  un pianto inconsolabile fatto di mille e mille ricordi di un passato che non mi appartiene   più . E' stato un momento veramente intenso.

 

Quante cose vorrei raccontare... ma non mi vengono perchè sono emozioni e come tali difficili da riportare ed esprimere

 

Ci vorrebbe un elenco

-la conchiglia portata da casa, segno del pellegrino (l'aveva raccolta  Elia da piccolo al mare e mi ha fatto compagnia per tutti i nove giorni, attaccata alle borse posteriori)

-le borse posteriori di 5 kg e anteriore di 2 (più o memo)

-materializzazione di angeli custodi che ci indicavano la strada quando eravamo in difficoltà ( a volte erano camionisti, signore al volante o per strada, ciclisti che ci scortavano fino all'ostello, gentili signori di mezza età ecc)

-il sassolino

-i silenzi , quasi tutti mattutini, dove ognuna delle due cicliste era immersa con le proprie riflessioni e pensieri vari

-gli stessi pantaloni per 9 gg messi dopo la doccia e i ricambi lavati in modo assai assai spartano

- la preziosissima carta del pellegrino con la quale si riceve la Compostela che attesta il tuo viaggio, custodita gelosamente dentro la busta di tela dell'Eroica. Nella carta ci sono tutti i Selli (timbri) delle varie località raggiunte. Uno più bello dell'altro. Ogni pellegrino ne va fiero! Io più di tutti perché il primo timbro me lo hanno fatto anche sull'Eroica!

-la delusione di Santiago:era già finito il Cammino e c'è stato un attimo di abbandono

-la cerimonia durante la messa del pellegrino dell'incensore:Il Botafumeiro

-l'urlo liberatorio alla vista dell'Oceano

-i voli che ho dovuto "subire" ( io che soffro di claustrofobia!) insieme alle bici impacchettate:Andata:Milano Malpensa-Bordeaux /Bordeaux-Bayonne (in treno) /Bayonne -Saint Jean Pied de Port (autobus) Ritorno- Santiago-Francoforte / Francoforte-Pisa

-il ritorno a casa con una voglia matta di ripartire e farne un pezzo, questa volta a piedi (magari camminando un pezzo della via Francigena come allenamento)

 

Giro 2014

 

Una volta arrivata al Santuario di Oropa pensavo, insieme a Sabrina e al mio gruppo dei pari, di scendere a Biella e con calma arrivare all'albergo e "godermi" la tappa alla televisione.
Poi è successo un piccolo miracolo (vista la vicinanza al Santuario non mi sono molto meravigliata)
Ho sentito il Caparrini che diceva "Che delusione, molti dell'Empolituor sono scesi"
No,a quel punto non potevo tradire il capitano supremo e neppure lo spirito dell'Empolitour.
Povero Caparrini, la delusione non sono le persone che scendono a valle. E' invece la globalizzazione, che ha sottratto il giusto spirito al gruppo di via Baccio da Montelupo, la responsabile di tutto ciò.
LO SPIRITO EMPOLITURIANO è purtroppo andato perso quasi del tutto.
Ma il miracolo continua...
"Guarda chi c'è? Beatrice, ( dice il mio nome, altro miracolo...)guarda chi arriva?" urla il Cap
Il Goti, trionfante ma stanco, felice di essere lì ma stanco,UNICO ma stanco, arriva trafelato, affamato e sorridente.
Ri-eccolo, allora non è morto lo Spirito!
EVVIVA EVVIVA, la Bertelli non si è lasciata abbindolare dalle sirene della discesa verso Biella e il Goti dà conferma che ci siamo ancora
Tour , aspettaci

 

Giro 2016

 

"Signora ha un tumore" 
Un cazzotto nel capo mi avrebbe fatto meno male, ma subito il medico
aggiunse: "Lei andrà al Giro d'Italia". 
"Non ho neppure la forza di stare seduta su questa sedia" -
risposi subito mesta.
In un turbinio di cose che mi passavano nella mente, in seguito a tale
notizia, sembrerà strano, ma mi sovvenne la giusta interpretazione
dei sogni che continuavo a fare da un bel po' di tempo a quella
parte.
Vedevo, nel sogno, sul Passo Pordoi, il Caparrini e vagamente dietro a
lui, tutti ma indistinti, i miei amici dell'Empolitour. Io ero
acclamata come non mai, urlavano tutti di gioia al mio arrivo al Passo
e...mi svegliavo senza capire il perché di tutto ciò.
Poi è arrivata una serie di analisi, operazione, radioterapia,
controlli e ansia (che è sempre presente!).
In tutto questo tempo, non è mai venuta meno la presenza della bici,
compagna fedele e destriero indomabile.
Quando ho saputo che al Giro d'Italia ci sarebbe stato il Passo
Pordoi mi è preso un colpo.
" Il sogno!"- Il Cap, i miei compagni di azzurro vestiti...
Ho sempre pedalato in tutto questo tempo, a volte esagerando un
po'. 
Nel frattempo non mi son fatta mancare le uscite in barca con le
Dragonesse, donne operate al seno come me. L'esperienza della
Vogalonga è stata emozionante e divertente allo stesso tempo. 
Il mio mondo però è quello delle due ruote e la partenza quest'anno
per il Giro aveva per me una valenza in più.
Dovevo dimostrare a me stessa che tutto doveva essere come prima,
magari con meno forza ma con la stessa caparbietà. É presunzione? Può
darsi, ma le parole del dott. Caponi " Lei andrà al Giro" mi
hanno accompagnato in questi mesi come una Ave Maria.
I tre giorni a Corvara sono stati meravigliosi e Paolo, meglio di
chiunque altro, li saprà raccontare. 
Non saprà però riferire quello che ho,provato la mattina alla partenza
del giro-tappa.
Il Giau!
Fare quella salita era per me una sfida, un incontro con la normalità,
adesso che mi sento una "diversamente sana".
Sabrina e Maurizio hanno pedalato con me per tutta la salita, più o
meno consapevoli della mia sfida. 
La fatica cominciava a farsi sentire pedalata dopo pedalata ma negli
ultimi km la gente, il cielo azzurro in contrasto con il bianco della
neve, le montagne, i profumi, i puzzi, insomma tutto ha contribuito a
caricarmi e a farmi dimenticare per un po' le mie paure.
Ultime pedalate, foto di rito, torta ai mirtilli, coca cola e
l'interminabile forte, fraterno, emozionante abbraccio con
Sabrina. Cercavo con lo sguardo Maurizio ma non l'ho visto.
Tutto è rientrato nella normalità quando, non mi ricordo per quale
motivo ( è impossibile ricordarlo, sono troppi!) ho animatamente
discusso con i' Nucci.
Falzarego e Valparola hanno messo ko le mie gambe. L'indomani il
meraviglioso giro dei quattro passi ha concluso le tre stupende,
assolate e amichevoli giornate trascorse con degli amici che hanno
saputo vivere insieme a me momenti felici come quelli del Giro ma
anche condiviso momenti tristi facendomi sentire tutti,
indistintamente, la loro presenza.
Grazie di cuore a tutti quanti

 

PS
Ho mandato a Sabrina il seguente messaggio
"Uno dei momenti più belli è stato il nostro abbraccio sul Giau.
Punto. Condivisione! Grazie Sabrina.
Fulminea risponde
"stavo per piangere con te ma non avrebbe aiutato la causa: tu hai
vinto, punto!!!!! Un abbraccio

Maurizio mi ha scritto
" Il momento più bello... Le tua nascoste lacrime sul Giau
penso di gioia"

 

 

 

17/08/2016 Cannes-Briançon

 

 

Roberto ha ideato la Cannes Briançon tre anni fa ma solo quest'anno è stato possibile tentare l'impresa.

Il primo anno ha avuto problemi di prostatite e l'idea è stata abbandonata immediatamente. L'anno successivo il menisco del mio ginocchio dx ha iniziato a fare il bischero ad Aprile e abbiamo di nuovo rimesso il sogno nel cassetto.

Quest'anno, dopo un inverno dedicato ai miei seri problemi di salute ci siamo detti: "Proviamo la Cannes-Briançon"

La preparazione atletica per la lunga pedalata è stata piuttosto seria e ci ha visti più volta fare uscite di ‪130/150/170 km.

Tornavamo tutte le volte sempre più caricati e vogliosi di provare l'avventura di quel percorso che ha visto il grande Gino Bartali vittorioso nel Tour de France del 1948.

Per dire la verità Ginettaccio ne ha vinte ben tre di tappe della Cannes Briançon, ma noi abbiamo scelto il,percorso che è riportato fedelmente sulle pagine della Gazzetta dello sport del giorno dopo la sua impresa.

Quindi non solo preparazione fisica è stata la nostra, ma anche documentazione minuziosa fatta naturalmente a Ponte a Ema nel museo dedicato al grande ciclista toscano.

Lo studio fatto di carte geografiche con calcolo di km parziali, totali, altimetrie, pendenze di tutti i colli da scalare, divisione del percorso in base alle località da raggiungere, previsioni dell'orario di arrivo di dette località e molto altro ancora, è stato molto preciso e anche divertente. Negli ultimi giorni andavo a letto e mi contornavo di vari fogli dove avevo segnato tutto e mi ripassavo mentalmente il percorso:

 

CANNES

Mougins

Mouans Sartoux

Grasse

Col du Pilon

Saint Vallier de Thiey

Pas de la Faye

La Collette

Val Ferrière

Col de Luens

Castellane

Saint Juillet du Verdon

Saint André les Alpes

Beauvezer

Colmar

Col d'Allos

Barcelonnette

Le Condomine Chateland

Saint Paul sur Ubaye

Col de Vars

Vars

Guillestre

Arvieux

Col d'Izoard

BRIANÇON

 

E ogni sera mi assalivano dubbi atroci: " È da ciucchi-mi ripetevo-non ce la faremo mai" . Poi con Roberto guardavo il percorso e, solo seguendo con il dito, sulla mappa, la distanza che separa Cannes da Briançon, ripetevamo insieme "È da ciucchi , non ce la faremo mai".

La data di partenza per il lungo viaggio, previsto per la seconda metà di Giugno, si avvicinava sempre più e sono iniziati i contatti con Giovanni, un nostro amico che abita a Cannes, che si è prestato al martirio, seguendo con l'auto, per ben 274 km, du' grulli come noi.

Giovanni ha fatto un ottimo lavoro e la sua presenza è stata fondamentale per la riuscita del tutto. In auto aveva, oltre ai rifornimenti alimentari, le ruote e indumenti di ricambio nel caso di pioggia ( che abbiamo preso lungo la discesa del col del Vars) e tanta, infinita pazienza.

Decidiamo, insieme a Giovanni, la data della pedalata e la segniamo sul calendario: sabato 18 Giugno, con arrivo a casa sua, a Cannes, venerdì sera.

Tutto è pronto: le bici sono lucide e controllate, le borse piene di tutto un po', la preparazione atletica al top, gli incoraggiamenti degli amici e l'entusiasmo sono alle stelle. Purtroppo ‪venerdì mattina arriva la telefonata di Giovanni che ci dice che Camille, la moglie, ha avuto problemi di salute ed è ricoverata. "Tranquilli, niente di serio, ci dice, rimanderemo di una settimana il nostro giro".

Eravamo preoccupati per Camille ma anche dispiaciuti per la mancata partenza che purtroppo neppure la settimana successiva c'è stata perché Franco, il babbo di Roberto, è morto lasciando un vuoto enorme e dei ricordi indelebili.

"Basta", abbiamo pensato senza dirci nulla.

La Cannes Briançon, come il matrimonio di Renzo con Lucia, non s'ha da fare.

Però i due alla fine si sposarono!!

Abbiamo partecipato, con i nostri amici ciclisti, alla 27^ spedizione del Tour de France. La preparazione atletica per la tappa bartaliana c'era, eccome se c'era, ma nessuno dei due aveva il serio proposito di proporre "la pedalatona"

E sono arrivate le vacanze e dove andare ancora non lo avevamo deciso. Quasi era indifferente la località ma siamo partiti. Dopo due giorni di girovagare alpino arriviamo a Baden Baden e,mentre ci gustavamo i tepori termali, ci siamo guardati e abbiamo detto  "Ma che ce ne importa di tutto questo? Noi vogliamo fare la Cannes Briançon!" Siamo tornati a casa, avvertendo nel frattempo Giovanni della nostra decisione.

E lui ha detto sì !

 

Se la Cannes Briançon è di per se una mezza pazzia, lo è diventata del tutto pochi giorni fa quando, consapevoli della forma fisica non più al top, come lo era a Giugno, abbiamo deciso di partire lo stesso. I dubbi erano molto consistenti e la consapevolezza di non riuscire era davvero forte.

"Noi ci proviamo lo stesso, vada come vada" ci siamo detti. Ma...

Regola numero uno e unica, per quanto mi riguarda:

l'andatura la tengo io e il primo ciclista che ci passa va semplicemente salutato senza prendergli la scia perché la sua più sostenuta pedalata potrebbe mandarci fuori giri.

 

Mercoledì 17 Agosto, ore 5,25 ( buio pesto!), nella piazza del Comune di Cannes, davanti a un gruppetto di urlanti ubriachi e un tassista che ci guardava incuriosito, un ciclista e una ciclista, seguiti da un'auto con su scritto"Cannes Briançon 1948", partono alla volta di Briançon .

Ci aspettano

274,320 km

‪13 h 10‪' di pedalata

21,1 di media

67 max velocità

5870 kcalorie spese

dislivello approssimativo ( non avevamo strumentazioni sofisticate ma solo "banali" ciclo computerini) ben oltre i 5000 m

 

Descrivere il viaggio per me vuol dire ripescare le sensazioni e le emozioni che ho provato. I profumi e i colori, le persone incontrate e i paesi attraversati, le curve, i tornanti,i panorami bellissimi, i continui litigi con Roberto sempre per un nonnulla, la presenza costante e determinante di Giovanni, i lunghi silenzi pieni di pensieri che mi hanno accompagnato in quella che per me è stata una sfida dentro una sfida.

 

IL VIAGGIO

Cannes, con l'assenza totale di traffico, vista l'ora,è stato un bello spettacolo. La strada è iniziata subito in salita e raggiunta Grasse , famosa per le fabbriche di profumo, abbiamo pedalato per un centinaio di chilometri in un continuo mangia e bevi. Abbiamo fatto il primo tratto della Route Napoleon, con quattro colli che la rendono un mangia e bevi di quasi 100 km. Mi è piaciuta molto per i panorami che ci ha regalato il continuo sali-scendi e per la poca presenza di auto.

Arrivati a Castellane abbiamo lasciato la Route e, seguendo la destra, siamo entrati nel vivo del percorso. Abbiamo costeggiato dei bellissimi laghi di un colore che ricorda molto quello dei laghi del Nivolet ( ma non l'intoccabile Nivolet!) e siamo arrivati a Saint André les Alpes.

Lì ho "ascoltato"  le mie gambe e per la prima volta ho avuto un pensiero positivo nei riguardi della riuscita della nostra pedalatona: stavano proprio bene!!

Anche Roberto pedalava bene ma rompeva in continuazione. " Soste brevi, non c'è tempo da perdere" . E tutte le volte erano discussioni pallose e interminabili.

Colmars ha preceduto di poco l'inizio della prima cima da domare: il col d'Allos .

Sulla carta la salita non rivelava difficoltà estreme ma...la carta è la carta e la strada a volta è tutt'altra cosa. Gli ultimi tornanti sono davvero impegnativi e proprio lì c'è stato il primo vero momento di difficoltà . Roberto ed io c'eravamo già stati sul col d'Allos ma l'avevano salito dal versante opposto e, come allora, abbiamo trovato un discreto vento. Dopo le foto di rito ci siamo fermati a mangiare un po' e...giù verso Barcelonnette. Ci siamo imposti di non far troppo i bischeri in discesa ma non credo di essere stati di parola perché Giovanni ci ha detto che andavamo forte. Un pensiero è andato al Chiarugi, che alla fine della discesa, già arrivati a Barcelonnette, fece un bel ruzzolone. I continui richiami all'andatura,con conseguenti battibecchi, hanno accompagnato il tratto di strada che porta a Saint Paul sur Ubayne e dunque all'attacco del Vars.

Il mio dubbio sulla riuscita della Cannes Briançon è sempre stato quello del superamento o no di questo tratto del percorso: abbiamo già molti km nelle gambe e l'ultimo tratto della salita è davvero impegnativo, se cediamo ora si compromette tutto.

Puntuale come la domenica dopo il sabato i miei calcoli si sono avverati. Roberto mi pedalava davanti piuttosto regolare e io cercavo di tenere il ritmo ma sono iniziati nell'ordine: male alla schiena, dolore al mio lato B, uggia al ginocchio e fastidio insopportabile a un dente che il giorno prima aveva perso parte di un'otturazione.

Ho avuto davvero paura di non farcela perché sapevo che mi aspettava ben altro oltre al Vars. Mi è venuto allora in mente il dott, Caponi che mi diceva" Signora lei ha un tumore al seno". È stato questo pensiero la chiave di svolta alla nostra impresa perché mi son detta "O che vuoi che sia il Vars, sta' a vede'! E poi non vedo l'ora di fare l'Izoard".

Poche pedalate ancora e anche il Vars è terminato.

Alzo lo sguardo al cielo e solo allora mi rendo conto dei minacciosi nuvoloni che stanno arrivando. Il gusto della inconfondibile, saziante, insostituibile Orangina ci ha dato una carica incredibile e...via verso la discesa. Purtroppo incomincia a piovere e, arrivati a Le Claux , ci dobbiamo arrendere e riparare sotto una tettoia. La paura di vanificare tutta la nostra pedalatona si faceva sempre più forte, non avevamo molte ore di luce come poteva essere se fosse stato giugno. Ho visto Roberto molto preoccupato e questo mi ha allarmato ancor di più. Poiché c'era l'auto al seguito siamo entrati dentro e consultati con Giovanni. Che fare? Proseguire o aspettare che smetta?

"Potremmo fare la discesa in macchina, senza rischiare troppo e a valle proseguire alla volta di Guillestre " dico io.

"Non dire idiozie ( uso un sinonimo ma in realtà ha detto una parolaccia!) perché così si sciuperebbe e vanificherebbe, anche per pochi km l'impresa" risponde acido, come lo yogurt andato a male, i' Nucci.

Lo so che aveva ragione ma è stato più forte di me ed è partita l'ennesima discussione. Per tutta risposta non ho fatto discorsi, ho inforcato la bici dicendo "Andiamo".

E giù per la seconda discesa. Con molto piacere e un po' di sollievo scopriamo che dopo due km la strada era asciutta e il pericolo scampato ci ha dato una spinta in più per proseguire il nostro viaggio.

Arrivano i primi segnali dell'Izoard perché ai bordi della strada troviamo gli indicatori dell'altimetria e dei km del giro ciclistico intorno a una delle cime più importanti del Tour.

Continuo a meravigliarmi di come le gambe ancora non diano segni di cedimento quando lo sguardo si posa sul contachilometri che segna 210.

Roberto ed io non diciamo niente ma siamo consapevoli del fatto che ce  la possiamo fare anche se gli ultimi km che ci aspettano saranno i più impegnativi e faticosi di tutto il viaggio.

Giovanni ci segue come un segugio e ogni tanto ci precede per scattare qualche foto. Si lasciano alle spalle le varie località e l'Izoard è sempre più vicino.

Ma anche il sole lo è alla linea dell'orizzonte...

E arrivano i temuti dirizzoni di Arvieux, che non finiscono mai, accompagnati da un vento contrario che non aiuta di sicuro l'impresa. Le mie gambe ci sono e non mi stanno tradendo anche se il mal di vita è ritornato come sempre appena la strada si impenna.

. Vorrei godere delle bellezze del panorama ma 240 km nelle gambe cominciano a farsi sentire. I pensieri si affollano e poi spariscono. La strada è quasi spettrale perché, data l'ora, non passano più macchine e i ciclisti sono già tutti tornati a valle. Praticamente sull'Izoard c'eravamo solo Roberto ed io. Seguiti da Giovanni naturalmente.

E poi il tuffo al cuore!

Dopo un tornante,a destra appare un panorama di bellezza indescrivibile: la Casse Deserte. Il sole sta illuminando la parte più alta della parete e il suo arancione colora tutto il resto. Lascio immaginare il risultato.

In quel punto la strada scende un po' e Roberto si perde in uno slancio come se avesse iniziato a pedalare da mezz'ora e raggiunge in un batter d'occhio la stele che ricorda Bobet e il nostro grande airone: Fausto Coppi.

E io lo seguo.

Foto di rito, sorriso per l' impresa riuscita, anche se mancano ancora due km alla cima e 16 a Briançon.

Purtroppo non mi sono goduta il mio terreno preferito, la discesa perché sono entrata in crisi. Il freddo mi ha attanagliato completamente nonostante che io mi fossi vestita in modo adeguato e perfetto. Sarà stata la stanchezza, chissà, ma io non vedevo l'ora di arrivare a Briançon.

L'omaggio alla targa di Gino Bartali è stato doveroso e Roberto, che è stato l'ideatore di questa nostra impresa, si è emozionato e ha salutato Ginettaccio ad alta voce. Io l'avevo già fatto a bassa voce durante il viaggio dicendogli "Riposa in pace".

Ce l'abbiamo fatta! Davvero, non ci crediamo. E non riusciamo neppure ad esprimere la nostra gioia. Ho ancora freddo.

Vorremmo mangiare la Tartiflette , ma i ristoranti di Briançon sono particolari perché già ‪alle 21 non prendono più clienti, con poco senso del commercio come ha più volte detto Giovanni.

Non ci resta che la classica pizza, buona per altro, a rifocillarci un po'. Il freddo ancora non mi è passato.

È l'ora di rientrare a Cannes e il viaggio di ritorno prevede 4 ore e mezzo di auto con Giovanni sempre alla guida, mai domo. Siamo arrivati a Cannes in piena notte, un po' stanchini come Forrest Gump e dopo una notturna doccia, prima di addormentarmi ho pensato:

"Non vedo l'ora di essere a casa e raccontare la nostra pedalatona ai mie cari amici ciclisti e non!"