Giro 2009

San Pellegrino Terme 16 –18 maggio

Il Giro del misticismo

 

 

“Poi Dio creò la bicicletta perché l’uomo ne facesse strumento di fatica e di esaltazione nell’arduo itinerario della vita.”

La devozione al Grande Spirito Caparrini è dogmatica e illimitata. Quando la sua mente programmatica creò il diciassettesimo Giro d’Italia dell’Empolitour, plasmandolo da una costola del Giro del centenario, tutti s’accorsero dell’anomalia ma nessuno protestò. Al centro della trinità dei giorni non c’era una tappa rosa da perseguire con fedele ortodossia ma una chiesa e un museo: misticismo e turismo al posto dell’agonismo, relegato all’imbelle prologo di Bergamo alta. I ciclisti in veste di adepti accorsero comunque numerosi, forse anche perché dopo gli anni passati in lunghe, fradice e gelide attese di campioni adulterati, sentivano forte il desiderio di sole e libertà pur nella carenza di altitudine. Così il presidente si affidò ai servigi di alcuni santi, come Pellegrino protettore dei viandanti e delle aranciate, ed invocò la grazia della Madonna del Ghisallo per permettere ad alcuni iscritti in odore di crisi mistiche di giungere sani ed esaltati al termine dell’arduo itinerario delle tre tappe.

Umile ed ardua missione sarà quella di trasformarle in tre storie di ciclismo vissuto nel sudore e nell’amicizia, scherzando senza indulgenza sia coi fanti che coi santi.

 

 

La vita segreta dell’apicoltore

 

Il fedele auriga biancocrinito deposita in tarda mattinata il carico del suo torpedone presso il cimitero di Tagliuno durante una tumulazione. Ne escono ciclisti in preda a fremiti pedalatori che cominciano a ricomporre i loro ferrei destrieri orinando all’ombra dei cipressi e dentro l’urne. Confortati da un sole che sfida i meteorologi, venti fanti del generale Caparrini si schierano in posa per farsi riconoscere. Ad un rapido scrutinio le facce sono note e l’uniforme è difforme. Si rivedono gli onnipresenti (Bertelli, Chiarugi, Giunti, Nucci), gli assidui (Bitossi, Muritano, Tempestini, Traversari), gli affezionati (Cocchetti, Rinaldi, Lupi, Vezzosi), i recidivi (Malucchi, Martini, Marconcini, Borchi senior, De Rienzo), i redivivi (Bagnoli L, Goti), il convertito (Borchi junior) e il novizio (Ulivieri), tralasciando nell’universo degli iscritti soltanto i noti autonomi Marforio, Seripa e Cucinotta. Passati in rassegna i fanti, Caparrini suona la carica e l’autobus riparte per San Pellegrino con alcuni imboscati (un Goti e due Borchi). Nell’esercito il più adocchiato sembra la recluta Ulivieri, subito denominato il marsupiale per l’uso di una cinta pelvica costituita da pingue tascapane a due scomparti rinforzato da girovita di k-way annodato per le maniche. Anche Malucchi cerca di essere competitivo nel campo del ridicolo sfoggiando una tenuta beige in stile vintage, ma quando arriva il vero protagonista di questa storia ogni modello deviante di abbigliamento passa in secondo piano.

Piombava sulle sponde del lago d’Iseo un presunto ciclista con tuta e casco integrale da motociclista. Sulle prime si pensa che voglia scippare la borsa di Ulivieri, poi una più approfondita analisi morfologica appura che la tuta è un originale modello costituito da gambali e maglie a maniche lunghe in triplice strato, coperte da una specie di clamide a scollatura trasversale, e il casco integrale è un artigianale manufatto assemblato con nastro adesivo che cela i connotati e lo rende simile ad un alieno di Star Trek. Similitudine che non recede neanche quando abbozza un dialogo poiché il dialetto bergamasco suona come quello dei vulcaniani.

In gruppo cominciano a circolare bisbigli che lo denotano come l’apicoltore, il palombaro o Elephant Man, perché tra le varie ipotesi ontologiche su tale copricapo c’è quella dell’occultamento di qualche spaventosa deformità cranica. Sostiene il già accaldato Caparrini che in caso di perseveranza dello scafandro anche sull’imminente salita l’ipotesi dell’origine extraterrestre sarebbe quella più plausibile, ma in cima a Solto Collina avviene l’agnizione: tolti il casco e i gambali l’alieno si palesa come ciclista d’annata ma non terrifico, sebbene piuttosto loquace. Egli cordialmente saluta e sembra finita lì.

Questa curiosa epifania attenua la constatazione che l’estensione temporale del gruppo già su questa collinetta sia piuttosto dilatata. Sul Colle del Gallo, nonostante la modesta qualità ascensionale, tale dilatazione assume proporzioni relativistiche. Fra i soliti Chiarugi, Nucci e Bitossi e il cosciuto ma cocciuto De Rienzo passano lunghe conversazioni sotto lo striscione del GPM, tanto per non dimenticare che siamo dentro una tappa del Giro d’Italia. Qui avviene la seconda epifania. L’alieno, più veloce di De Rienzo, ricompare a testa nuda, con le tre maniche lunghe arrotolate e la clamide in disordine. Si scopre che non si chiama Mork ma Rocco e la sua natura terrena seppur bizzarra attrae i più socievoli che lo invitano a leggere quello che ora stiamo scrivendo. Egli cordialmente saluta e sembra finita lì.

All’arrivo di Bergamo mancano ventisette chilometri che bastano all’Empolitour per consumare due prodotti tipici, la delocalizzazione di Bitossi e la diaspora: l’inspiegabile Bitossi annuncia di deviare per Selvino (ma tutti sanno che ricomparirà dove meno te lo aspetti) e una fuga al semaforo capitanata da Giunti e Muritano dissolve l’insperata armonia. E così a Berghem de Sota, con la prevista epifania del ventitreesimo fante Marforio, i destini si biforcano. I fuggitivi si godono tutte le frecce rosa mentre Caparrini e plotone sono fuorviati da un argine poliziesco e soltanto grazie alla terza epifania di Rocco tornano sul percorso di tappa per vicoli traversi. A Berghem de Sura l’Empolitour cerca di adottare l’apicoltore, che conversa amabilmente in italiano e dà una spiegazione poco convincente del suo copricapo, ma le caotiche vicende legate all’alimentazione, la calata sulla boutique del Giro e l’attesa della corsa lo separano di nuovo. Egli cordialmente saluta e sembra finita lì.

La visione della tappa conferisce a questa diciassettesima edizione il crisma d’ortodossia caparriniana, così possiamo chiamarla Giro d’Italia e vivere di rendita nei giorni successivi. Il bielorusso Siutsou entra nell’albo dei carneadi che l’Empolitour ha visto e non riconosciuto, e Bergamo sarà ricordata come il punto più basso di tutte le diciassette visioni. Basso in senso geodetico, poiché i contenuti della storia sono ancora altamente palpitanti. Quando Caparrini cominciava ad impaniarsi nelle congetture topografiche per uscire da Bergamo ed arrivare a San Pellegrino, ecco che si compie come una cometa la quarta epifania di Rocco. Folgorante in sella ed ancora redimito di ottenebrante casco egli guida il gregge disperso in una discesa sconosciuta fino all’imbocco della Val Brembana. Qui Rocco saluta cordialmente i suoi fratelli e finisce davvero lì (forse).

 

 

Non è una salita per vecchi

 

“Su questo colle essa è diventata monumento all’epopea sportiva della nostra gente che sempre è stata aspra nella virtù e dolce nel sacrificio.”

In verità le epifanie di Rocco si concludono con un’appendice telefonica al desco dell’Hotel Bigio di San Pellegrino dove con gli imboscati, gli anticipatori, l’automedonte e le gaie accompagnatrici si raggiunge l’unanimità. Esaurite le fonti ispiratrici del Giro rosa bisogna arrangiarci col materiale di dileggio a disposizione, perché mancano alcuni bersagli dell’ultima edizione (le cosce di Boldrini, l’abito di Forconi, la fame di Pagni…), perché non si può insistere più di tanto sull’inamovibile marsupio di Ulivieri e perché si celebra la tappa mistica della Madonna del Ghisallo e bisogna sforzarsi di essere seri.

Al risveglio si capisce che molta quota di serietà dipende dalle intenzioni del bradipone Goti. Egli si ripresenta al Giro dopo due anni con più anzianità, più inattività e più stazza, ma si vocifera che voglia arrivare al Ghisallo dove il museo del ciclismo è pronto ad esporre le sue spoglie. Un altro cimelio dell’Empolitour, lo storico vicepresidente Bagnoli L, dopo tre anni da Cincinnato, torna al Giro appositamente per il Ghisallo forse per convertire al misticismo le sue famose crisi cartesiane.

La tappa prima della Madonna valica San Pietro, inteso come Culmine. Qui la caparbietà di Goti deve confrontarsi con la pazienza dei suoi attendenti. Ognuno si organizza come può ma le foto ed i caffè non sono abbastanza lunghi e dopo la spunta di Marforio, Bagnoli L e De Rienzo si cominciano ad opinare per Goti sorti alternative come la foratura, l’errore, la retroversione o la botta. Prorompe invece con l’imperscrutabile Bitossi che si era inglobato in una corsa di cicloamatori. Quando Goti annuncia ufficialmente il voto alla Madonna del Ghisallo la maggior parte dei confratelli è già scesa a Lecco. I più veloci sono Marconcini, Tempestini e Traversari che con connubio di tempismo e dabbenaggine imboccano un tunnel della superstrada. I più lenti sono Caparrini, Chiarugi e Bertelli che devono attendere Goti ad ogni impercettibile incremento di altitudine. Inoltre il gruppo, già abbastanza incomputabile, si arricchisce chilometro dopo chilometro di alcune entità locali che mostrano familiarità col presidente. Una di loro guida il riunito plotone attraverso quel ramo del lago di Como dove viene quasi a un tratto a ristringersi e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra e un’ampia riviera di rincontro.

Sarebbe un bel preambolo di spiritualità che si respira nei luoghi manzoniani ma gli epiteti degli automobilisti rivolti agli invasori della stretta carreggiata non suonano agli orecchi dei ciclisti come preghiere propiziatorie per la scalata. Tecnicamente il Ghisallo non ha misteri perché Caparrini ha imposto in autobus la proiezione della salita metro per metro chiosata in presa diretta dai rantoli di Gimondi. Se ce l’ha fatta lui può farcela anche Goti: è il commento più lusinghiero che circola. E poi c’è sempre l’autobus che può scendere a caricarlo: è quello più pragmatico.

Armati di siffatte consolazioni i ciclisti normali appurano che il Ghisallo, spogliato di mistica epopea, vale poco più di un San Baronto da Lamporecchio che dei ciclisti empolesi è protettore e unità di misura. Per la prima volta nella storia l’arrivo di tappa è in salita e non in albergo giacché gli eroici proclami di ritorno in bici sono morti prima di nascere. Per l’esattezza si arriva in Via Gino Bartali fra il cimitero e la chiesetta con le bici votive, e in mezzo a tanto simbolismo sfilano i nostri eroi gaudiosi e compunti, dimostrandosi aspri nella virtù e dolci nel sacrificio. Scattano tra gli scatti fotografici delle miss plaudenti e poi si posano in atti di raccoglimento oscillanti fra la riflessione spirituale e la rigenerazione materiale. Cominciano Nucci e Bitossi, poi Chiarugi e Tempestini, ed a seguire un elenco indefinibile d’anime sudate che vivono intense storie personali, come la sfida parricida tra i due Borchi o la lotta gemellare fra le Wilier siamesi di Caparrini e Muritano. Ovviamente Goti è ancora ben lungi da questi agoni. Ed ecco che inizia l’appello alle virtù teologali. La fede nell’atletica vigoria del tenace mascellone è subito depennata. Si passa alla speranza, ma il ciclismo è uno sport troppo materialista per lasciarci sperare nelle spinte della Madonna che lo aspetta in cima. Così Nucci e Bitossi misericordi ed impazienti scendono direttamente alla carità delle loro mani propulsive che consentono a Goti di tagliare il traguardo cianotico ma acclamatissimo.

Al postutto anche il canuto tardigrado smentendo titoli e previsioni compie l’intero cammino d’espiazione e può meritarsi l’appendice geriatrica del programma, con la visita al museo e il pranzo in mezzo ai festeggiamenti danzanti di una comunione. Dopotutto il sugo della storia sta nell’interpretazione del monumento che torreggia sul Ghisallo: cadiamo in basso per poi gioire quando ci rialziamo.

 

 

Miracolo a San Marco

 

Malucchi e Muritano svettano per primi sul Passo San Marco spronati da Cocchetti. Sembra un miracolo, più improbabile della sopravvivenza di Rocco nel casco da palombaro, o della sopravvivenza di Goti nella tappa del Ghisallo. Eppure questa è cronaca. Bisogna solo fare qualche passo indietro. I passi precedenti, se così possiamo chiamarli, hanno parecchio esaltato le doti dei lenti e degli strani. Molti ciclisti sono rimasti nell’ombra. Nessuno ha dato lustro all’agguato di Cocchetti sul Solto Collina o quello di Muritano sulle pietre di Bergamo, per esempio. Malucchi si è notato solo per l’abbigliamento e la barba, e Ulivieri solo per il marsupio. L’aurea mediocrità rischia di deprimere il morale della truppa e San Marco è l’ultimo santo a cui appellarsi. È una sacra e rituale scalata palindromica, di quelle molto amate dal presidente perché il giorno della partenza conciliano il desiderio d’elevazione con quello di nutrizione. Ma se l’altitudine è incerta a causa della neve, l’ultimo pranzo all’Hotel Bigio è cosa certa e prenotata, e se si parte con deroghe contrattuali di scalata, è inderogabile ogni riduzione di portata. Così con l’autorizzazione presidenziale all’inversione di marcia in qualsiasi momento, il gruppo parte in variegata compattezza, comprensiva pure di Goti e Cucinotta ai quali nemmeno San Marco in persona può garantire l’intero passo. Per tutti gli altri l’arrivo dovrebbe coincidere con una sbarra o con una muraglia di neve, a seconda dell’ardimento. Perciò sostiene Caparrini che, in assenza di traguardo percepibile, chi vuole eccellere non può aspettare la volata ma deve staccare tutti con un’azione da lontano.

Il Brembo rinfresca i ciclisti lungo la pista che lo accompagna fino all’alta sua valle. È un percorso ameno che ispirerebbe idillio e lentezza anche per la conformazione stretta, sinuosa ed irsuta, con antiche gallerie portatrici di addizionale frescura. E invece è proprio in uno di questi cunicoli che si compie l’agguato. Col favore delle tenebre Cocchetti scatta, visto e preso solo da Malucchi e Muritano. Quando la notizia si diffonde dai pochi testimoni oculari fino alla coda del gruppo, la fuga ha già un vantaggio consistente, anche perché il trio abbandona l’amenità della pista ciclabile per accelerare dentro le lunghe e gassose gallerie della statale. A Camerata Cornello l’inseguimento prima ancora di cominciare è già finito, grazie ad una foratura di Borchi senior che ottiene assistenza plenaria e garantisce ai fuggitivi un illimitato margine di sicurezza. A Mezzoldo, che un cartello definisce paese amico, iniziano le rampe nemiche. Il gruppo è già da tempo sgretolato per la naturale forza d’inanità, e Chiarugi con Nucci e Tempestini tenta una disperata marcia riparatrice, alternando lo sguardo fra il basso della ruota faticosa e l’alto di un’ancora non sopita speranza di vedere i tre reprobi arrancare in preda alla crisi o fermi sul ciglio della strada in preda ad una foratura di contrappasso. Invece vede neve sempre più invadente e immagina gli sciagurati pasciuti e ridenti al rifugio.

“Fin qui giungerai e non oltre e qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde.” Al di là della sbarra la strada prosegue tra lingue di neve e roccia. Gli occhi obnubilati dalla delusione si volgono per l’ultima volta verso l’inarrivabile vetta e scorgono tre sagome caracollanti ma lontane. Un’estrema e sconfortata accelerazione non basta però a ricucire l’onta. Cocchetti, Muritano e Malucchi giacciono sfibrati e soddisfatti a 1888 metri di altitudine ove un baluardo nevoso li esime dal proseguire. Chiarugi e Nucci, forse per rivendicare la loro usurpata supremazia, superano anche tale baluardo e si avventurano lungo un cordolo terroso a pochi centimetri dal precipizio coltivando con lo sguardo l’illusione di un miracoloso scollinamento. L’incontro con due sciatori e un cane da valanga dissolve anche questo illusorio residuo riportando i due temerari alla cruda realtà di un passo San Marco interruptus.

Nessun altro condivide questo eroico tentativo di avvicinarsi al Divino valicando i limiti imposti dall’umana negligenza dell’ANAS. Molti infatti sono ben lieti di fermarsi alla sbarra, Borchi senior in primis che vendica l’offesa dell’erede sul Ghisallo, e De Rienzo in ultimis, con silenziosa menzione di tutti gli altri che per raggiungere la cima del Giro hanno intimamente penato ma non abbastanza per meritare la pietas o il dileggio che spetta ai derelitti. In questo clima evangelico si può rammentare il samaritano Lupi che rinuncia a mezzo San Marco per assistere l’infermo Vezzosi o la Bertelli che maternamente e costantemente ha smadonnato contro il cambio difettoso, dal piccolo Solto fino al grande San Marco.

Beati i ciclisti che si esaltano nella fatica perché contempleranno il regno dei cieli dalle vette innevate. Beati gli ultimi perché saranno attesi dai primi. Beati tutti coloro che hanno sudato nel nome del pedale perché potranno lavarsi. Infatti il diplomatico presidente anche quest’anno è riuscito ad inserire l’uso delle docce come controparte del lauto ultimo pranzo in cui benedice, spezza i grissini e distribuisce la polenta taragna in memoria del successo di questo religioso Giro che ha come epilogo un’area verde dell’autostrada dove si brinda, manco a dirlo, col vinsanto.

 

 

Fotogiro