Giro 2013

Sluderno 24 – 26 maggio

Il Giro senza Giro

 

 

Ozioso preludio

 

Nella natura delle cose o delle persone siamo abituati a concepire attributi essenziali e accessori, sostanze e accidenti in senso aristotelico, in virtù dei quali i nostri comuni mezzi cognitivi ci impediscono d'immaginare un uomo senz'anima, un cielo senza stelle, un'estate senza sole, una bici senza telaio o un Caparrini senza fascia frontale in salita. La privazione dell'essenza non sempre implica l'impossibilità ma solo l'inconcepibilità dell'oggetto. È impossibile scalare lo Stelvio da Trafoi senza passare da Trafoi, ma è solo inconcepibile vedere il presidente dell'Empolitour che pedala con casco e zaino, o andare al Giro d'Italia senza assistere nemmeno ad una tappa. Tralasciando le disquisizioni ontologiche sull'ousia o l'entelechia delle cose, il nostro ventennale empirismo aveva finora sperimentato altrettanti Giri in cui la sostanza fosse la tappa da visionare e gli accidenti fossero i passi limitrofi da scalare senza tappa. Questo fine o terminus ad quem ha sempre giustificato i mezzi, ultimamente imponenti, per conseguirlo. Altrimenti esistono tanti Monti Serra o Pizzorne che possono soddisfare le bramosie scalatorie di una quarantina di ciclisti senza scomodare un autobus, un furgone, due autisti e un hotel a sei ore di viaggio.

La sostanza del programma presidenziale antico e accettato era la diciannovesima tappa della Val Martello seguita come attributi accidentali da un giro tri-nazionale e una scalata di Stelvio. Il richiamo delle masse era già assicurato dall'arrivo in salita di un tappone e dall'arrivo senza tappa in una salitona, ma i giorni che precedettero la partenza furono forieri di sinistri presagi. Il venti per cento degli iscritti rinunciò infatti per indisposizione o motivi familiari, tradizionali giustificazioni firmate in caso di forca scolastica. Anche se in nome del pathos letterario si cerca sempre di non incentivare gli allenamenti, qualcuno degli assenti avrà forse accusato davvero il peso dell'impreparazione ma il supremo professore capì subito che la maggior parte delle defezioni era dovuta al pavor meteoricus. Quando il massimo della tecnologia meteorologica consisteva nell'osservazione del cielo o di Bernacca non esistevano queste malattie da ipercognizione proprie di coloro che dagli oracoli portatili vogliono sapere il clima di Sluderno in un tal giorno o vedere quanta neve c'è sullo Stelvio a una tal ora. Prima le incertezze generavano desiderio d'esplorazione, ora le presunte certezze inducono all'inazione. Così è stato anche nell'Empolitour. L'eccesso di previsione ha prima dissuaso i pavidi, poi il realismo della visione ha sconfitto anche gli impavidi. Ma a quel punto la storia era già cominciata, con lunghi titoli di testa: la lista dei partecipanti definitivi copiata dalla pergamena presidenziale e incollata con lo stesso criterio semialfabetico che dà precedenza ai tesserati.

Baglioni, Bagnoli L, Bagnoli M, Bertelli, Caparrini, Chiarugi, Cianetti, Cocchetti, Cordero, Giunti, Maltana, Malucchi, Martini, Muritano, Nucci Ri, Nucci Ro, Rinaldi, Salani, Tempestini, Traversari, Alotto, Bartoli, Buglione A, Buglione F, Corsinovi, Cucinotta, De Rienzo, Gelli, Lupi, Mancini, Mazzanti, Pisaturo, Scardigli, Selmi, Seripa e Vezzosi.

E questo è uno degli innumerevoli tentativi di classificazione. Ventennali o patriarcali: Caparrini, Chiarugi, Nucci Ro. Redivivi patriarcali: Bagnoli L. Decennali o ultradecennali: Bertelli, Cocchetti, Giunti, Malucchi, Muritano, Rinaldi, Salani, Tempestini, Traversari, Seripa, Vezzosi. Redivivi decennali: Martini, Bartoli, Lupi. Redivivi promossi: Alotto, Cucinotta. Recidivi annuali: Bagnoli M, Cordero, Maltana, Nucci Ri, Buglione A, Buglione F, Corsinovi, De Rienzo, Gelli. Scardigli. Esordienti con referenze: Baglioni, Cianetti, Mancini, Pisaturo. Esordienti senza referenze: Mazzanti, Selmi.

Breve notazione su questi neofiti. I referenziati hanno già superato prove d'ammissione domenicali, Baglioni e Pisaturo addirittura l'ordalia gastrociclistica del Tinti. Dei non referenziati si può solo dire di primo acchito che Mazzanti somiglia a Telly Savalas e Selmi a Marco Giallini. La comunione di viaggi e di mense permetterà di constatare che in questo composito gruppo, se esistono ciclisti spacciati per attori, non mancano attori e cabarettisti spacciati per ciclisti.

 

 

L'ira glaciale

 

Il pavor meteoricus colpisce anche i partenti che da Empoli sembrano diretti a Sluderno per la settimana bianca. Gli unici imperterriti sono Caparrini in bermuda, Chiarugi a maniche corte e Bagnoli L che, evidentemente fiducioso nelle magnifiche sorti della prima tappa, è già vestito da ciclista estivo. Ma l'ottimismo climatico non è molto contagioso. In autobus sono in costante attività i cacciatori di notizie con svariati congegni telematici. A Modena, nota località montana, l'autogrill è squassato da un poco promettente vento antartico. Ma il timore d'una glaciale immolazione nella Marteltal dura poco. A Bolzano i bollettini hanno già sancito l'annullamento della diciannovesima tappa del Giro d'Italia, nonché prima ed unica dell'Empolitour. A questo punto inizia la ridda dei piani alternativi, circa uno per ogni occupante l'autobus, per semplicità raggruppabili in sei categorie.

1.      Inflessibili. Scalare lo stesso la Val Martello come lezione morale per i professionisti.

2.      Provocatori. Anticipare la scalata dello Stelvio a scopo dimostrativo.

3.      Minimalisti. Pranzare senza pedalare.

4.      Sibaritici. Cazzeggiare con sauna e massaggi nella spa di cui è dotato l'hotel Gufler.

5.      Inverecondi. Pedalare su e giù per la ciclabile della Val Venosta.

6.      Sensati. Scalare il passo Resia circumpedalando l'omonimo lago.

Alla fine, dopo avere appurato la presenza nella Marteltal di sbarramenti di neve e di milizie, e dopo avere inibito la fazione sibaritica dei Buglione, prevale la sensata mozione presidenziale. "Es regnet nicht und es wird nicht regnen." È il bollettino meteorologico emanato telefonicamente dal signor Gufler che rassicura Caparrini e che consente di recuperare la dignità dopo avere perduto l'ortodossia. Nessuno obietta sul fatto che il bollettino parli di pioggia e non di neve e che il Resia, pur essendo una di quelle salite che non sale, supererebbe di molto la quota d'innevamento visibile anche a spanne. Così con questi bei proponimenti, scansato il pericolo della pioggia e della sauna, tutti e trentasei i ciclisti discendono nell'arengo di Schluderns con le bici in resta. Li guidano Bagnoli L, che non recede dall'abbigliamento indossato a Empoli, e Caparrini che non può essere da meno. Per adeguamento patriacale anche Chiarugi si presenta con gambe e braccia ignude, già pensando alla prima occasione buona per coprirsele. Nel resto del gruppo si respira l'aria del monte Senario a capodanno. Ciascuna individualità si afferma nell'abito perché non ce ne è uno uguale all'altro. Fatte eccezioni per Rinaldi e Giunti che lasciano scoperti rispettivamente mezzo polpaccio e una caviglia, dei restanti trentuno corpi s'intravedono solo nasi arrossati e guance intirizzite, a parte quelle di Gelli con la barba e di Muritano col passamontagna. Con accurata osservazione si distinguono le chiomate Bertelli e Maltana, e gli incogniti Mazzanti che è nero e Selmi che è, guarda caso, giallino. Tempestini si distingue perché è sempre in testa, la Cucinotta perché è sempre in coda. A mala pena si nota la differenza fra i canuti Lupi e Scardigli mentre le orecchie di Mancini facilitano il compito, così come il completo da puffo di De Rienzo o il fez di Cocchetti. Per il resto bisogna districarsi in un coacervo  di calzamaglie, gambali, sciarpe, guantoni e maglioni asociali o sociali ma diversificati.

Tutto questo brulicame si riversa nella ciclabile della Val Venosta che dovrebbe risalire fino al Resia evitando la coabitazione con autosnodati e autoarticolati. Tale risalita, che nella versione statale sarebbe stata piuttosto statica, acquista insperato dinamismo in questa stradina larga un metro ove sono richieste varie abilità come quella di equilibrismo nelle frenate, di sorpasso sul ciglio, di elusione delle cacche vaccine o degli eterodossi discendenti e di resistenza alle ventate. Le gelide folate movimentano il morale della truppa palesemente delusa dall'assenza di neve. Anche qualche rampa improvvisa contribuisce a risvegliare i ciclisti dall'apatia con effimere illusioni di vera salita, bastevoli comunque per creare indicibili ripartizioni. Non si può parlare di ordine d'arrivo, sia perché non è chiaro dove possa arrivare una salita mai cominciata, sia perché nell'intreccio di bivi e trivi i destini prima si biforcano e poi si triforcano. A un certo punto si generano spontaneamente tre filoni paralleli, uno sulla statale, uno sulla ciclabile lungolago e uno sulla variante rialzata, ognuno spezzettato dal vento in disordinati gruppuscoli che mai più si raggrupperanno. Il plotoncino di riferimento è quello presidenziale che annovera almeno Baglioni, Giunti, Salani e Bagnoli L, nel frattempo rivestito con compromettenti manicotti. Il paese di Resia può essere considerato un traguardo ragionevole dal momento che l'omonimo passo è un'entità teorica che nessuno ha voglia di cercare, nemmeno Muritano noto collezionista di foto ebeti ai cartelli. Caparrini invece, noto collezionista di caffè ai bar, cerca di radunare la greggia per un'affollata sosta contemplativa. Ma invece di rimirare il campanile di Curon che emerge dalle acque, l'ingrata folla se la dà a pedali non appena percepisce il primo anelito di nevischio. Più leggeri dei fiocchi i ciclisti si disperdono giù per la statale sfruttando l'energia eolica ed evitando con maestria il connubio coi TIR che qualche folata trasversale tenderebbe a favorire.

Soltanto in albergo il presidente può stilare il bilancio di questa tappa surrogata che col minimo decoro ha consentito di pedalare più dei professionisti. Senza contare la scampata inverecondia della spa, anche se si vocifera che qualche buontempone l'abbia davvero frequentata per ristorarsi da chissà quale fatica. Quando alle 19 in punto suona la campanella del buffet del Gufler, il supremo custode dell'unanimità può finalmente accertare che non vi sono stati dispersi e iniziare le angosciose consulte per il giro dell'indomani. Continuerà a chiamarlo Giro d'Italia anche senza avere visto le frecce rosa della tappa ed anche se il prossimo tentativo varcherà i confini austro-elvetici.

 

 

L'ora glaciale

 

Anche il soggiorno a Schluderns non corrobora molto l'italianità del Giro. Caparrini però confida nell'edicolante italofono che gestisce un esercizio commerciale multifunzionale ove oltre a generi alimentari e letterari si producono anche ottime previsioni del tempo. Il presidente ha atteso il suo responso per sciogliere la prognosi sull'abbigliamento e quando il meteorologo gli ha confidato che sul Fuorn a duemila metri farà freddo, egli ha estratto dalla valigia i gambali e la maglia a maniche lunghe portati giusto per scaramanzia. Poi ha rassicurato sull'affidabilità del suo oracolo anche i tecnologici ciclisti che con iPad, iPhone e Smartphone stavano leggendo di abbondanti nevicate lungo il percorso. Poi ha zittito il provocatore Chiarugi che, neve per neve, proponeva le Tre Cime della tappa vera al posto delle Tre Nazioni della tappa finta. Poi ha dissuaso i pavidi che sulla ciclabile della Val Venosta si sarebbero recati a Silandro, partenza della tappa vera, per salvare le apparenze. E infine ha convinto il viceautista Sabatini a fungere da direttore sportivo col furgone ammiraglia, come deposito di panni invernali di ricambio e all'occorrenza di ambulanza. Con questa soluzione finale riesce ad ottenere l'unanimità dei consensi ma non quella delle partenze: donne, vecchi e bubboni sono autorizzati all'anticipo di mezz'ora. Ma nella frenesia dei preparativi pochi si accorgono che insieme alle donzelle Bertelli, Cucinotta e Maltana, al cavalier Seripa, agli atavici Mancini e Rinaldi, al lavativo Malucchi, al revisionato Alotto e all'inane De Rienzo si sono subdolamente infiltrati anche l'atletico Cocchetti e il competitivo Bartoli col pretestuoso ruolo di soccorritori e rianimatori. Vezzosi invece s'è infiltrato direttamente in ammiraglia, però in vesti ciclistiche. Ci sono altresì atleti che avrebbero meritato di diritto un posto fra gli anticipatori e che invece si mescolano orgogliosamente ai forti con sprezzo del distacco e dell'abbandono. Buglione A, noto ciclista interruptus, spera di ripetere alcune prestazioni sospette durante le prove di qualificazione domenicale, Bagnoli L spera di essere aspettato. Tutti sperano che Sabatini non sbagli strada perché nel suo furgone sono riposte le uniche possibilità di sopravvivenza sotto forma di zaini pieni di roba pesante. Pare che anche i due ignudi patriarchi abbiano ceduto a queste mollizie assistenziali mentre Chiarugi, più per diffidenza che per autarchia, è l'unico che ostenta un inelegante basto.

Col pensiero fisso del freddo la salita sembrerebbe trascurabile, e in effetti lo è. Il Fuorn scalato nel 1995 dai padri fondatori, quando il maggio era odoroso e le mucche pascolavano gaie nelle assolate malghe, era risibile. Quello di oggi, nella trasposizione italiana di Passo del Forno, ha l'aria d'una freddura. La strada sale gaia fra le malghe ma le mucche sono chiuse nelle stalle a farsi riscaldare col fiato dai contadini svizzeri. I più veloci potrebbero beneficiare della maggiore energia cinetica prodotta ma a ben vedere Cordero è l'unico che sa sudare, il belligero Corsinovi sale al passo dei pupazzi di neve e Tempestini che stacca tutti, anticipatori compresi, riceve in premio per la conquista del Fuorn un bella attesa di furgone sotto la nivea tormenta. Perché, se non lo si fosse ancora capito, l'edicolante aveva ragione e in cima al Fuorn fa proprio freddo. La vettura di conforto rimane attardata per seguire gli ultimi che però nel frattempo si fondono coi primi. Così tra i fiocchi si vedono arrivare gruppetti ibridi da cui si potrebbe evincere, per esempio, che il feroce Malucci e il mansueto Bagnoli M siano paritetici a Pisaturo e Cordero che invece hanno faticato non poco per sfuggire al fiato presidenziale. Caparrini che in salita non si è mai tolto né i manicotti dagli avambracci, nè Buglione A dalla ruota, sull'innevato valico dovrebbe ora affrontare vari problemi urgenti riguardanti il destino della tappa e quello di Bagnoli L. Ma nel turbinio di nevischio, di pensieri e di vestizioni nessun ciclista, tranne i già paghi Cucinotta e Seripa, decide di rimpatriare, e qualcuno ha pure il coraggio d'aspettare il naufrago.

Quando i due patriarchi si ritrovano in un caloroso abbraccio, tutti gli altri sono disseminati nell'algida discesa e stanno attuando varie manovre empiriche di rivascolarizzazione delle mani non frenanti. È perciò chiaro che il primo locale pubblico e coperto sia preso d'assalto, benché si tratti di pochi metri cubi di sottoscala nel villaggio disabitato di Zernez. I Buglione ed altri ammutinati sono già con le posate in mano quando sopraggiunge il presidente a ricordare il tassativo divieto di pranzo, anche perché su quell'unico tavolino bisognerebbe organizzare otto turni di quattro commensali ciascuno. Il supremo custode della nutrizione riesce però a patteggiare con un imprenditore italofono l'occupazione di due alberghi sfitti per contenere la massa e l'appetito dei 34 ciclisti, con la clausola contenitiva di un panino e una fetta di strudel. Ma se la tavolata dei solleciti, capitanata da Tempestini, può ripartire satolla dopo dieci minuti, in quella dei patriarchi i tempi di scongelamento dello strudel si rivelano analoghi a quelli dei ghiacciai del Similaun. Questa disparità di trattamento genera tra i due gruppi un distacco che nell'amena Engadina non sarà mai colmato. Alcuni pezzi grossi come Bartoli, Cordero, Corsinovi, Nucci Ro e Salani dovranno perciò dire addio ai sogni di gloria sulla prima salita austriaca nella storia dell'Empolitour. Bagnoli L, dopo essere stato staccato anche sulla fetta di strudel, medita rivalsa e dopo il ricongiungimento organizza una fuga sullo strappo di Giarsun col frettoloso Pisaturo e il freddoloso Chiarugi. Non basterà per evitare la cattura sul Nauders da parte degli inseguitori più celeri, ma almeno riuscirà ad approdare sull'altra faccia del Resia insieme a Caparrini, come ai vecchi tempi.

In questo sequenziale passaggio di due confini di stato si torna ad apprezzare tre vecchie conoscenze che in questo Giro sembravano dimenticate: il sole, il sudore e il traffico automobilistico. Il vento gelido che agita il lago è invece di recente memoria, come pure la sosta dei caparriniani davanti al campanile di Curon. Caparrini può finalmente sorseggiare il caffè con visibile soddisfazione, non solo perché in questo lungo giro internazionale è riuscito a portare in salvo tutti, senza ricoveri nel furgone, dal più debole dei sessi deboli al più forte dei sessi forti, ma soprattutto perché in salvo ha portato anche l'ortodossia del programma, unico giorno di questo Giro senza Giro in cui il suo ordinato pensiero ha coinciso con le disordinate azioni dei suoi ciclisti e del cielo. E lo Stelvio può attendere il prossimo disgelo.

 

 

L'ara glaciale

 

Insieme al Giro ormai finito e allo Stelvio ormai rassegnato, sono finora mancate quelle belle immolazioni sugli altari delle salite così care alle muse. Per botte, retroversioni o piedi a terra, tanto per intendersi, c'è però ancora una mattina di speranza. Già in serata Caparrini aveva dovuto sostituire il maestoso Stelvio con l'umile Solda e al risveglio deve fare i conti con le solite varianti decisionali, stavolta soltanto quattro.

1.      Anticipatori. Costituiti dalle tre Grazie coi due palafrenieri Rinaldi e Seripa.

2.      Interruttori. Quelli che a Gomagoi proseguiranno verso un barlume di Stelvio. E qui troviamo gente come Traversari, Bagnoli M, Buglione F o Vezzosi che avevano bisogno di emergere dall'anonimato delle retrovie.

3.      Indecisi. Quelli che fino al bivio di Solda non sanno a quale gruppo appartenere.

4.      Bagnoli L che rimane in tuta ginnica a pedalare come inverecondo turista.

Nel gruppo dei normali si respira l'aria fresca dello Stelvio mancato, ma senza rimpianti perché la simulazione di Solda può adempiere a svariate funzioni non solo a quella di scaldino per mani e piedi ma a anche quella di digestivo per l'eccesso di colazione e di preparativo per l'immeritato pranzo acquistato dal presidente in cambio di quattro docce. C'è anche una recondita e malcelata funzione agonistica. I forti vorrebbero una volta tanto mostrare la schiena a Tempestini e i caparriniani vorrebbero ammirare i ghiacciai dell'Ortles in religiosa meditazione senza udire i rantoli presidenziali. Ma quando Prato allo Stelvio abbandona il prato per salire allo Stelvio il primo ad accelerare è l'inatteso Nucci Ri. Vissuto sempre all'ombra del più titolato fratello Ro, ora si lancia verso un'impresa mai riuscita a Gaetano Baronchelli o Prudencio Indurain. Forse non sa che la fama di Ro cominciò venti anni or sono con una fuga bidone prima dell'Abetone, ma sa che una muta di bracchi lo sta marcando a vista. Scardigli, Selmi, Salani, Cianetti, Chiarugi, Cordero, Gelli, Lupi e Bartoli non disdegnano accenni bava per non farselo scappare, mentre Tempestini coordina e Nucci Ro tenta di rompere i cambi. L'ardimento di Nucci Ri si disillude a Gomagoi quando anche gli anticipatori sono sorpassati senza parvenza di saluto. Il fuggitivo rischierà la botta nel prosieguo del Solda ma avrà conquistato il suo chilometro di celebrità, ciò che non accade ai più ponderati inseguitori. Infatti, quando la salita comincia ad avvitarsi energicamente attorno al rio omonimo, Tempestini fingendo di ansimare si allontana dalla compagnia con impercettibile irriverenza. Al culmine dell'irridente supremazia e della pendenza torna addirittura indietro imponendo la neutralizzazione della corsa. La faccenda di Solda sembra risolta con l'arrivo di un compatto plotone di indolenti che per aggravare le mollizie di questa spedizione trovano pure il furgone a rivestirli. Li seguono nell'agio i neofiti Pisaturo e Baglioni con soddisfatto anticipo sul presidente. Nella rete caparriniana sono invece caduti i pesci piuttosto grossi di Corsinovi, Giunti e Mazzanti, mentre non v'è traccia del rodomonte Buglione A. Si scoprirà solo in albergo che la sua fama di retroversore non è venuta meno neanche in questo Giro. Sperava di passare inosservato eseguendo l'ignominiosa inversione ad U col favore delle tenebre di una galleria ma è stato smascherato dal rivale, nonché pubblico ufficiale, Muritano e costretto alla confessione. I più lenti ma probi arrivano alla spicciolata per contendersi l'ambito titolo di fine di corsa e di Giro. La pronosticata Maltana grazie alla mezz'ora di abbuono precede l'antico giovine Martini e il soporoso  ma pago Muritano. Il neghittoso ma determinato Malucchi e il pertinace ma lento De Rienzo tirano i freni troppo tardi cosicché l'onore dell'ultimo spetta all'alcolico Mancini che brinderà con grappa Gufler per l'ottima prestazione all'esordio.

Sarà l'unico calice innalzato a questo Giro di sobrietà, di rinunce e di privazioni, perché lo spumante sarebbe stato un extra troppo costoso anche per le oculate finanze sociali. Se però può esistere un Giro senza Giro, possiamo permetterci anche un brindisi senza bicchieri, con l'augurio che mai possa capitarci un ciclismo senza biciclette.

Fotogiro 2013