Anno 2000


 

La favola di Natale

 

C’era una volta un gruppo di ciclisti che all’inizio dell’inverno si ritrovò senza legna da ardere. Il gelo era arrivato all’improvviso nel silenzio della notte e aveva colto tutti di sorpresa. I caminetti aspettavano invano d’essere accesi: neanche un misero ceppo, neanche un po’ di carbonella, e il bosco era troppo lontano. Ma il fuoco di un camino non è caldo come il sole del mattino e nessuna fiamma è durevole quanto il calore umano, così i ciclisti non si persero d’animo e decisero di riscaldarsi pedalando all’alba fino a quando il clima non si fosse mitigato.

Cominciarono in sette il lungo cammino: c’era il gigante buono, l’ippogrifo, il principino, la fatina, l’orso bruno, il cavalier tempesta e l’orco gentile. Il gigante guidava i pellegrini con la sua mole smisurata. Un rivestimento di prezioso e abbondante tessuto adiposo lo rendeva invincibile d’inverno. Il freddo sembrava anzi ingagliardirlo e la sua voce risuonava ancor più stentorea nelle campagne ammantate di brina. L’ippogrifo era invece ridotto pelle ed ossa dalle lunghe cavalcate quotidiane. Lanciato al galoppo era imprendibile e gli bastavano pochi colpi d’ala per involarsi col suo corpo leggero, una leggerezza facile a spiegarsi perché nessuno lo aveva mai visto mangiare o bere. Il principino aveva un aspetto minuto e compito. Sotto la corona indossava un pregiato copricapo che soltanto i papi avevano il diritto di sfoggiare ed un vezzoso foulard che recava i fregi di qualche conquista in battaglia. I numerosi banchetti di corte gli avevano conferito un inizio di pinguedine addominale ed una certa bolsaggine. La fatina era solita apparire per incanto quando tutti erano già schierati sul piede di partenza affinché nessuno sguardo potesse perdere la visione celestiale del suo arrivo. Con un portentoso incantesimo aveva trasformato un secchio di fango in una bicicletta che a dire il vero presentava ancora chiarissimi segni della sua originaria natura. L’orso era un pacifico pachiderma con una folta pelliccia scura, goloso ed onnivoro come i suoi simili ma in senso ancor più letterale. Mangiava proprio tutto, prediligendo gli alimenti che molti altri animali non ritenevano commestibili. D’inverno non andava in letargo ma le sue prestazioni erano comunque piuttosto sonnolenti. Il cavalier tempesta era armigero e vivandiere. Portava la spada a sinistra ed era molto lesto a sguainarla per trafiggere chiunque lo affiancasse da quel lato. In salita pertanto chi poteva lo staccava, chi non poteva si lasciava staccare senza osare alcun sorpasso. Infine c’era l’orco, denominato così per la sua spaventevole fisionomia ma garbato nell’animo quanto sgraziato nella voce e nella pedalata. Con gli occhi grifagni e le innaturali zampe posteriori aveva poco di umano. Forse si trattava del primo esempio nella storia di uomo transgenico.

Il primo giorno partirono per un paese chiamato Castelfalfi. Non c’erano stelle da inseguire e un’esile falce luminosa stava lentamente svanendo nel cristallo celeste che diffondeva a pieno orizzonte un sole radioso ma infreddolito. Il freddo si misurava col colore delle poche parti esposte dei ciclisti: il volto cereo del principino, le labbra cianotiche dell’ippogrifo, gli occhiacci lucidi dell’orco e le orecchie della fatina simili al naso di mastro Ciliegia. Il gigante troneggiava; sembrava che il suo corpo colossale assorbisse da solo tutto il poco calore che stava sorgendo ad oriente. Le sue parole erano un sottofondo baritonale al passaggio del gruppo, ma più che parole erano suoni incomprensibili come quelli di Nembrot sulle sponde del Cocito dantesco. Rigore, fuorigioco, fallo, ammonizione, espulsione: una confusione babelica di espressioni gergali che tutti per rispetto e timore facevano finta di capire. Anche la voce dell’orco riecheggiava aspra e chioccia e svegliava di soprassalto i contadini nelle fattorie provocando il fuggi fuggi disordinato e rumoroso degli animali da cortile. La fatina aveva ovviamente una voce melodiosa che inteneriva e infervorava i cuori dei cavalieri rallentati dal gelo, taceva solo alla vista di una salita anche modesta per assumere l’aspetto di spiritello irrequieto. Così sulle ombrose curve di Palaia cominciò a pedalare in silenziosa lena e decise in cima alla collina di compiere un sortilegio scomparendo nel nulla insieme al cavalier tempesta che tanto onore si meritò nonostante avesse tentato d’infilzare al fianco il principino con uno dei suoi soliti tiri mancini. In realtà ella non scomparve ma si trasformò in un raggio di sole più luminoso degli altri che finalmente permise ai cinque ciclisti rimanenti di gustare lo splendore del paesaggio e di restituire anche ai corpi più ossuti una temperatura compatibile con la vita.

Il secondo giorno partirono in nove. Mancava il cavalier tempesta, che forse la fatina si era dimenticata di ritrasformare in ciclista, ma arrivarono altri tre: il grillo saggio, il barone rosso ed un inedito cavalier servente. Il grillo saggio era la voce della coscienza di tutte le biciclette, ammoniva di tenerle pulite e di non usare componenti meccaniche eterodosse, ma in pochi gli davano retta anche se in molti lo invocavano quando qualcosa non funzionava. Quel giorno apparve e scomparve come sul muro della casa di Pinocchio. Qualcuno riuscì ad intravedere le guance paffute e la bicicletta luccicante che denotavano una sua recente attività ciclistica piuttosto statica e speculativa. Il barone rosso era abilissimo nei voli bassi e radenti. Le alte quote gli davano alla testa, preferiva virate, imbardate e beccheggi eseguiti in spazi brevi con accelerazioni brusche. Talvolta era stato convinto anche a compiere trasvolate piuttosto lunghe ma nessuno era mai riuscito a fargli indossare una tenuta da aviatore consona e ordinaria. C’era poi questo cavalier servente, un giovane ambasciatore inviato da un opulento e gaudente sovrano di un paese limitrofo. Era venuto per apprendere i primi rudimenti del ciclismo ed almeno in pianura riusciva a seguire da vicino le lezioni dei maestri. In salita mostrava uno strenuo e lodevole impegno ondeggiando e divincolandosi con moto vermicolare dai pedali al manubrio per non perdere di vista il faro di riferimento costituito dall’immane schiena, anch’essa ondeggiante, del gigante buono.

Quel giorno l’inverno aveva mutato colore, era più triste ma non abbastanza per penetrare nello scudo di letizia che si era creato attorno al gruppo. La fatina pedalava in foggia di dono natalizio con un fiocco sulla fronte ed era decisa a regalarsi ai compagni per l’intero tragitto, ma la caducità e l’imperscrutabilità meccanica della bicicletta prevalsero su ogni desiderio. A Lungagnana un fragile nervo si sfibrò irreparabilmente ed a nulla valsero le cure d’emergenza dell’orco e dell’orso. Il grillo saggio si era già smaterializzato ma sarebbe forse intervenuto con riluttanza giacché quell’organo lesionato era geneticamente non conforme ai propri principi morali. Così la dolce incantatrice finì per sparire un’altra volta scegliendo come compagno di svanimento il barone rosso che non si tirava mai indietro quando c’era da accorciare il percorso. Rimasero sei ciclisti ed una sola voce, quella dell’orco che svegliò tutti gli abitanti del silenzioso borgo di Ulignano creando scompiglio fra i cani legati alle catene. Arrivarono ai piedi della salita di Cipressino con animi differenti. L’apprendista aveva uno sguardo curioso e timoroso al tempo stesso. L’orso era troppo concentrato sull’imminente consumazione delle provviste natalizie e decise di adeguarsi all’andatura risparmiatrice del gigante. Il principino volle partire con un handicap di qualche centinaio di metri per dimostrare che l’antico valor nell’eroico suo cor non era ancor morto (o forse perché si era fermato a raccogliere il suo prezioso copricapo papale). L’orco cominciò a mazzolare i pedali con la solita brutalità. L’ippogrifo non volava anche perché era imbacuccato dagli zoccoli alla criniera con una zavorra di vestimenti protettivi. Il principino annullò ben presto lo svantaggio e i tre cominciarono a guardarsi in cagnesco mentre il culmine di Barberino si avvicinava. L’ippogrifo diede allora due colpi d’ala che gli parvero decisivi. Si sbagliava. Alle sue spalle sbucò l’orco che, con meraviglia di tutti gli astanti, lo sorpassò e scollinò per primo. Fu in quel momento che avvenne il miracolo. Quel corpo deforme fu pervaso da una gioia luminosa che ne provocò una trasmutazione radicale. Il volto assunse i lineamenti di un giovane leggiadro e raggiante e le sue gambe divennero snelle, tornite e belle. Ora pareva insomma un ciclista umano. L’orco era diventato principe azzurro anche senza l’intervento della fata, gli era bastato prevalere con le proprie forze su quei due denigratori che in salita gli avevano procurato non poche umiliazioni. Ma non tutte le metamorfosi riescono fino in fondo. Così chi percorse con lui i rimanenti chilometri, notò che la sua loquacità stridente e scomposta era rimasta immutata.

L’orco non poteva però immaginare che questo suo atto di mirabolante vigoria avrebbe avuto ripercussioni negative sull’intera umanità. Si dà il caso infatti che l’ippogrifo e il principino godessero di numerose e influenti simpatie nella cerchia degli dei dell’Olimpo i quali si prodigavano spesso con manovre sovrannaturali, al limite dell’illecito sportivo, per garantire la loro supremazia atletica. Quando Giove Pluvio venne a sapere che i suoi prediletti erano stati sopravanzati da un orco qualsiasi, sfogò sulla terra la sua collera a base, ovviamente, di tuoni e fulmini. A Natale un diluvio di proporzioni bibliche si abbatté sulle strade che divennero fiumi, e i fiumi mari, e i mari oceani. Tutte le biciclette annegarono e chi osò riscaldarsi con movimenti alternativi finì in breve frustrato. Il gigante non si scompose, sia perché l’acqua gli arrivava a mala pena alle ginocchia, sia perché aveva già preventivato un giorno in cui il riscaldamento sarebbe stato unicamente il frutto di frenetica attività masticatoria. Inutile dire che quasi tutti lo imitarono.

Il giorno dopo l’ira divina sembrò placarsi per un momento ma fu solo una fugace speranza. Evidentemente l’orco col suo gesto tracotante l’aveva proprio combinata grossa. Il problema fu che la vendetta dei numi tutelari si stava ritorcendo anche contro i due che avrebbero dovuto essere vendicati e che invece rischiavano di rimanere in astinenza da bici per due giorni consecutivi. Ma qui intervenne la fata con la sua arte prodigiosa: tre colpi di bacchetta magica e dalle acque risorsero tre bici più robuste e tenaci che prima. Con questi mezzi portentosi che non temevano acqua o fango ella, vestita a guisa di lucertola, guidò l’ippogrifo e il principino verso le colline dell’ignoto all’inseguimento degli arcobaleni. Giunone, ingelosita, non tollerava però che i due semidei frequentassero tali terrene e leggiadre compagnie e ordinò alla pioggia di cadere a singhiozzo in modo da illudere e disilludere in mutevolissima alternanza la marcia dei tre superbi ciclisti. Non paga, chiese alla nebbia di ottenebrare le loro visuali e un po’ anche le loro menti tanto che essi vagarono a lungo intorno a sé stessi con un tempo complessivo di sosta assai superiore a quello di movimento. Soffriva soprattutto il principino che con l’acqua aveva lo stesso rapporto di un micetto schifiltoso e ogni volta che sentiva una goccia sulla sua delicata peluria si fermava a chiedere ospitalità in stalle o casolari. Gli dei, che erano anche buontemponi, lo punirono perciò nel modo a lui più ripugnante ribattezzandolo da capo a piedi in una profonda pozzanghera che egli pensava di poter sorvolare, come se avesse posseduto le ali dell’ippogrifo, e dove pure la fatina, che faceva miracoli ma non sapeva camminare sulle acque, era sul punto di annegare.

Degli altri si ebbero scarne notizie. I sismografi registrarono per novanta minuti ripetute scosse sussultorie e ondulatorie del quinto grado Mercalli. Si seppe poi che in quel lasso di tempo il gigante si riscaldava correndo con il sovrano opulento e gaudente del paese limitrofo. L’orco era rimasto in castigo statico per due giorni. Giustizia fu fatta.

Naturalmente alla fine tutti vissero felici, caldi e contenti.  


17/12/2000 Il ciclista interruptus

Sembrava estinto o definitivamente confinato nella sezione bradicinetica dell’Empolitour e invece è tornato nei più dinamici ranghi della prima squadra dopo almeno cinque anni d’assenza. Stiamo parlando di Centola, uno dei tesserati di prima generazione noto per il modo psicopatico di gestire la distribuzione degli sforzi in bicicletta. Si era preparato a quest’evento nell’ombra, spesso con uno sparring-partner d’alta caratura atletica che le cronache locali descrivono come una specie d’uovo pedalante di un metro e sessanta esperto di pitture murarie e di salite percorse mani sul manubrio e piedi a terra. Centola, conscio dei suoi progressi tecnico-tattici, si presenta in sede sociale con propositi ambiziosi; ha una nuova bici tinta di sanguigno, un pizzetto incolto e lo sguardo belluino. Quando pedala tiene le braccia perpendicolari al manubrio e la testa protesa in avanti come un centometrista ai blocchi di partenza ma molto più ingobbito. Sembra volersi saettare da un momento all’altro e tutti aspettano con impazienza qualche sua performance anche perché ha dichiarato di essere in una condizione fisica uguale o superiore a quella di Bagnoli A. Infatti, quando il rossovestito scattista si esibisce in un’accelerazione sullo strappo di Strozzadonne, Centola lo insegue con un lusinghiero contrattacco. Sarà la sua ultima dimostrazione d’esistenza in gruppo. A Gambassi, dopo l’antipasto di Varna, si ritrova nella rete di Caparrini e Pagni che salgono in amabile duetto al passo dei cercatori di funghi. Centola avverte la sensazione che il suo prorompente atletismo meriti compagnie meno flemmatiche e medita un’inesorabile rimonta, prima sull’abbordabile Bertelli e poi di slancio sul gruppo di testa in fase di sgretolamento. Intanto fra le avanguardie nessuno percepisce il pericolo che incombe. Chiarugi e Nucci si preoccupano esclusivamente di tenere a distanza di sicurezza i virgulti Boldrini e Pelagotti che da un po’ di tempo minacciano pertinacemente gli alti gradi della gerarchia scalatoria nell’Empolitour. Tempestini e Bagnoli A. cedono senza turbamenti dell’animo, ignari che alle loro spalle qualcuno sta ordendo un’insidiosissima contromossa. Centola sferra così l’attacco atteso da un lustro. Dura cento metri. Caparrini e Pagni lo riprendono, lo sorpassano e lo odono bofonchiare. Nelle sue parole miste a sibili e catarri c’è forse un’esplicita dichiarazione di resa ma i due saggi veterani non capiscono e lo incitano a proseguire col suo passo che evidentemente di lì a poco sarà quello dell’inversore ad U. Nessuno da allora lo ha più visto, nemmeno Chiarugi che percorre a ritroso i due chilometri più duri della salita; perché nell’Empolitour non solo vige la regola aurea dell’attesa dei lenti, ma talvolta questa si trasforma in una ancor più umanitaria opzione di assistenza ai malati in salita. La parabola del figliol prodigo non si conclude con l’uccisione del vitello grasso anzi, il redivivo e poi transfuga Centola si addobba di una ricca congerie di mali pensieri e parole. Non fosse altro perché nel frattempo dal solito cielo afflitto sta grondando una pioggerella fine ma costante che non riscalda certo gli animi di chi rimane lì a bagnarsi ancora un po’ aspettando colui che non ritorna. Eppure era una giornata che nasceva col presagio di sole, di poesia celeste, di frizzi e lazzi in piazza della cisterna a San Gimignano, con vassoiate di paste e caffè e unzione di volti caldi e sorridenti fra la folla agghindata e profumata. Si sono salvate a malapena paste e caffè, senza vassoio, in un locale di seconda scelta, su sedie e tavolini asciugati frettolosamente, con abiti intrisi di pozzanghere e con qualche principio d’ipotermia. L’arconte Pagni è riuscito a salvare almeno il sorriso preceduto da uno scatto tachipnoico alle porte di S.Gimignano. La sosta è comunque servita a raffreddare i corpi caldi ed a peggiorare sensibilmente la prognosi di quelli già raffreddati. Se ne sono viste le conseguenze in discesa: quasi tutti frenati a venticinque all’ora, anche la donna proiettile con le polveri bagnate e il piccolo principe pur protetto da un raffinato gilè sociale. E per non dimenticarsi d’essere ciclisti i nove umidi amici si sono messi a tirare in pianura alla velocità del cavallo che sente l’odore della stalla.

Non sono stavolta forniti i dati tecnici del percorso perché falsati dal già descritto aggravio di chilometri e salita che Chiarugi e il suo invidiatissimo ciclocomputer si sono sorbiti.


 

10/12/2000 Il sudore della strada

 Verrebbe voglia di pedalare sulle vie del cielo in giorni come questo, quando le strade dure della terra si risvegliano da una notte lacrimata e si scoprono invece, alzando gli occhi, indefiniti itinerari tersi e asciutti dove le poche nubi che coronano l’orizzonte sembrano collinette da scalare col lungo rapporto. Il contrasto fra il cielo limpido e la strada bagnata offre immagini di luminosità inconsueta. L’asfalto brilla di una luce riflessa che talvolta abbaglia. La viscida pellicola acquosa resiste al tepore solare e si mescola all’unto delle catene per formare un composto colloidale che si appiccica tenacemente ai telai ed ai volti dei ciclisti succhiaruote. Bagnoli L. si accontenterebbe di un cuscinetto d’aria per mantenere la candida Colnago sollevata da terra quel tanto che basta ad evitarle ogni promiscuità coll’immondo suolo. In assenza di tale artifizio il responsabile tecnico preferisce astenersi dai pedali per la quarta volta consecutiva. Tutti ora attendono il suo rientro per assistere ad un’altra magistrale interpretazione della crisi in chiave razionalistica. Caparrini è in giornata d’ispirazione artistica. Prima afferma con intuizione poetica che il sole sta bagnando le strade, poi ammira durante la sosta-Pagni una raccolta iconografica di alto valore culturale e anatomico e alla fine si esibisce in una realistica pantomima dello sgraziato scalatore Escartin. Bagnoli A. sulle brevi salite dissimula elegantemente l’avversione ai dislivelli. È sempre lì coi primi anche quando l’impennata verso Sughera tocca il 14% ma poi il colorito del volto si fa sempre più simile a quello del vermiglio giubbino e la sua baldanza s’affloscia delicatamente insieme alla pendenza della strada fino a scomparire improvvisamente in un bar di S.Vivaldo. Bertelli, la ninfa del Montalbano, dispensa radiosi sorrisi riflettendo il sole dagli zigomi unti di crema. Poi il suo astro si occulta dietro la collina di Moriolo pochi chilometri dopo essere sorto a rischiarare l’animo dei ciclisti più taciturni. Chiarugi cerca di dare requie alle gambe sue dolenti e vittoriose ma anche muscoli spossati e appagati sono sufficienti per seminare ad uno ad uno i compagni nell’oscura faggeta fra Tonda e S.Vivaldo assediata da guerriglieri carnefici in tuta mimetica. Nucci si prodiga per ottemperare alle prescrizioni del suo personaggio. Scatta in salita senza disporre ancora della temprata fibra, accende lo sguardo ferino di fronte alle cremose paste e sfoglia con apparente voluttà la stessa raccolta iconografica sulla quale pure il compassato presidente aveva espresso giudizi di raffinata critica estetica (del tipo: “Manuela Arcuri porta via”, “le sue tette sono naturali” ecc..). Pure Pagni comincia pian pianino a rivestirsi dei panni regali e curiali di sommo pontefice delle soste. Unge il volto, e non solo il suo, con una specie di Vinavil abbronzante proprio quando l’unica nube della giornata aveva oscurato minacciosamente il sole e ammalia la gentile gestrice dell’Alexander Pub di Iano che gli regala due cioccolatini, uno dei quali forzatamente consumato da Chiarugi. Pelagotti dichiara di essere (ed a vederlo in faccia sembrerebbe sincero) in uno stato pietoso di ipoallenamento, eppure quelli che si allenano senza tregua si devono spolmonare per staccarlo di 50 metri. Era comunque simpatico anche quando, su queste stesse strade, esemplificava l’inanità del genere umano di fronte al cedimento fulmineo e inaspettato delle proprie virtù motorie.

Per gli amanti dei dati tecnici i cinque ciclisti rimasti in gara hanno alfine percorso 97 chilometri di cui 19 di salita effettiva con 950 metri di dislivello (pendenza media 5% con punte del 14%), 530 metri di massima altitudine raggiunta, temperatura variabile da 8°C a 19°C (dati gentilmente offerti da Chiarugi e il suo invidiatissimo ciclocomputer).

 

26/11-03/12/2000 La metamorfosi

 Dall’Arno si leva un alito vaporoso mentre il cielo continua a singhiozzare. Le sue lacrime spengono il fervore domenicale, le sue parole che tintinnano e gorgogliano sul manto delle strade deserte sono un incessante monito all’inerzia. Ma nell’aria triste qualcosa si muove, è un’immagine indistinta, evanescente nell’umido grigiore, sembrano tre insetti. Si sono addormentati col pigiama dei ciclisti ed al risveglio hanno scoperto nello specchio i lineamenti selvatici della loro seconda natura. Hanno ali forti che sopportano il peso delle gocce scroscianti e sui loro corpi affusolati la terra lacrimosa disegna coriandoli sporchi. Si sono tolti le anime leggere per indossare quelle di metallo robusto, anime che sfidano i penetrali del suolo terrestre rimbalzando ed assorbendo con temperanza le sue ire spigolose. Gli insetti hanno corazze craniali variopinte ma le loro immagini sono ancora sfumate. Dalla leggiadria del suo profilo e dalle aggraziate movenze del volo, uno sembra una farfalla che scruta itinerari inusuali nei boschi dipinti d’autunno. Gli altri due, rigidi come coleotteri, rumorosi come calabroni, sussultano sui rivoli che scendono dal cuore del monte come arterie tra le pietre levigate. I sentieri sono vie di fuga verso l’indeterminazione. Gli insetti roteano le zampe e tengono salde le ali sulle loro anime recalcitranti. L’unità di misura dello spazio percorso nel bosco è il metro non il chilometro. Le leggi fisiche da imparare sono quelle dell’equilibrio non quelle della velocità. Spesso si vedono i corpi separarsi dalle anime per l’invincibile malignità della terra o per semplice pusillanimità ma l’anima non si abbandona mai anche quando grava come un macigno da trasportare sottobraccio. Gli insetti boschivi bevono solitamente acqua e sali minerali derivati dal naturale scioglimento del terriccio in una specie di organo cavo estraibile che funge da contenitore idrico. Il loro principale nutrimento è rappresentato dalle insipide bacche verrucose dell’arbutus unedo, ma non ne mangiano una sola (unus edo) come vorrebbe l’etimologia. Il fango misto a deiezioni equine semisolide non manca mai sul loro cammino e quando affondano zampe ed anima in sinistre pozzanghere stagnanti non osano studiarne la composizione chimica. Ad un certo punto l’umida opacità dell’aria sembra un po’ diradarsi sull’erto borgo selvaggio di Capraia. Gli insetti ora appaiono nelle originarie sembianze di ciclisti d’asfalto. Cavalcano strane biciclette motose ed affrontano una salita. A ben vedere si tratta di tre ciclisti dell’Empolitour anche se il più aggraziato è rivestito da un’antiestetica cuticola neroverde. I loro volti, ancorché butterati di fanghiglia, sono riconoscibili. Li chiameremo però con lettere fittizie, B, C e N e l’anonimato è un gesto di solidarietà e pietas cristiana. Sì, perché è opinione ciclistica comune che l’appoggio del piede a terra in salita equivalga in termini d’onta e imbarazzo ad un’erezione afflosciatasi ante portam. Ecco la salita ripida ed unta che divora i suoi pretendenti come una mantide: C s’impenna e s’adagia su un provvidenziale muretto, B impone alla bici una rotazione di 90 gradi sull’asse trasversale e compie un’ardita evoluzione circense mantenendo un piede agganciato al pedale, N parte di rincorsa ma dopo pochi metri s’accorge di pedalare su una specie di tapis roulant alquanto inclinato. I tre disarcionati avanzano affranti ma risoluti nel desiderio di rivincita mentre un passante indigeno cerca di consolarli con parole di speranza e alla fine, dopo lacrime fangose e lividi corporei e spirituali, si accorgono che i fanciullini nascosti dietro le recondite barriere della psiche stanno sorridendo.


 

19/11/2000 Il primo sorso di freddo

 L’occhio assonnato del ciclista osserva il primo cielo domenicale e nota all’orizzonte una sfumatura grigioceleste che si confonde con le creste sfocate delle vette appenniniche. Una fila di nembo-strati dal profilo frastagliato sembra una catena aggiuntiva di monti. L’aria indossa i tenui colori del freddo ma il vapore che esce dai polmoni ansanti non acquista ancora quella biancastra e fugace condensazione che segnala l’arrivo dell’inverno. Le venti gambe dell’Empolitour si riscaldano insieme all’atmosfera. Quando il gruppo arriva nei pressi di Pontedera e vede le antenne del monte Serra illuminate dal sereno, qualcuno dentro o fuori di sé si chiede perché in questa parte della stagione siano bandite le salite lunghe. Non certo per incapacità atletica perché tutti, allenati o sedentari, sani o malaticci filano via con la stessa foga dei mesi estivi. Forse il clima raffredda le ambizioni di altitudine e favorisce le consuetudini defatiganti o forse è il richiamo di un ancestrale desiderio di letargo represso nella nostra specie, fatto sta che ci ritocca Peccioli coi suoi blandi clivi. Il tracciato, proposto da Caparrini su ispirazione della coppa Sabatini, riscuote nove adesioni. Tanto è l’entusiasmo e l’ansia di partire che si registrano otto ritardi, da quello misurato in secondi di Bagnoli L. al quarto d’ora accademico della Bertelli che rischia d’essere abbandonata al destino di un’ingrata solitudine. Il puntuale Chiarugi indossa appezzamenti di vestiario che suscitano unanime ironia e finiscono per minimizzare lo sfoggio del fascinoso e inedito casco. Come fortuna va cangiando stile! Mentre per la prima volta la sua calvizie è mascherata dal copricapo protettivo, per la prima volta fluiscono nude le chiome della Bertelli, fra l’altro elettrizzate e inacidite dalla partenza degli impazienti compagni in sua assenza. Anche Bagnoli A. viaggia a testa scoperta mentre Bagnoli L. calza un cappellino molto profondo che pare inamovibile. Tempestini ha un casco minimalista senza elementi aggiuntivi, Nucci lo rinforza con uno zucchetto dotato di paraorecchie tipico dei papi ritratti durante il Concilio di Trento. Pagni e Pelagotti abbinano il casco ad una fascia tergisudore destinata a saturarsi in breve di abbondante salinità. Boldrini usa un copricapo posteriormente sporgente come la cresta occipitale di un triceratopo e ovviamente l’irriducibile Caparrini si limita ad una fascia da salita, oggi meno mastodontica del solito per rispetto all’inconsistenza delle salite stesse. Si va fra i santi senza andare in paradiso. Si comincia col Santo Pietro dove un podista longicrinito visto di schiena è vittima di un equivoco sessuale e si finisce col San Miniato intruppati fra tartufi e pedoni vestiti a festa. Nel mezzo si erge la salita di Peccioli, quei due chilometri e cinque curve che suscitano licenziosi propositi nelle profondità dell’anima e dei carnosi stantuffi di Boldrini. Egli è conscio della sua attuale potenza che ripartisce fra l’abnorme muscolatura e gli stentorei vaniloqui itineranti. Ma sa anche di possedere la particolare dote di stuzzicare negli altri il piacere di staccarlo, amichevolmente sì ma perentoriamente. Pelagotti ci prova con la carta dell’ardimento e compie un agguato premeditato a Terricciola che frantuma il gruppo fino allora per nove decimi compatto nonostante i saliscendi di Morrona tirati a lucido. Ai piedi dell’erta si riunisce un plotone di sei unità e siccome l’abito non fa neanche il ciclista, basta un Chiarugi normale per precedere un Nucci macilento e un Boldrini inconsolabile. Pelagotti arriva in preda a spasmi convulsivi del diaframma ma sembra soddisfatto del suo memento audere semper. Nella piazza in pendenza di Peccioli un bassorilievo di Garibaldi scolpito nel 1910 osserva con occhi anneriti e sporgenti quei dieci corpi che esalano sudore e si adagiano nello stato di quiete. Molti trovano nelle leccornie di una pasticceria la giusta mercede di una piacevole fatica ma l’abbandono dello spirito alla purezza dell’amicizia sui pedali potrebbe bastare da solo a addolcire la giornata.  


01/11/2000 Risanato tra le torri

 All’inizio Empoli è sovrastata da un mosaico di nubi in chiaroscuro con qualche tessera celestina che alimenta la voglia di partire. Le ali dei gabbiani che svolazzano sopra la discarica risaltano nitidamente su uno sfondo nereggiante. Planano egregi nel vento, il grande purificatore del cielo che comincia a muoversi insieme ai ciclisti dell’Empolitour. Sono nove, incuranti di qualche lacrima del triste cielo che umidifica l’asfalto quanto basta per spruzzare un po’ di sporcizia sui telai e tenere a casa Bagnoli L. col suo principio incrollabile di non pedalabilità sul bagnato. Compare invece il Pagni risanato, coi guanti invernali a protezione della tribolata mano che ora avidamente ghermisce il manubrio dopo quattro mesi d’inattività. Caparrini lo protegge dall’insidia delle alte velocità col suo passo da premuroso pastore che sempre si adegua al più lento del gregge. Pagni sembra un uccellino nidiace ansioso di spiccare il volo ma costretto a rimanere ancora custodito sotto l’ala dell’imponente chioccia. Per infondere nelle sue gambe ipotoniche una specie d’energia metafisica, che compensi la carenza di quella fisica, è stata scelta la riconquista di San Gimignano, debitamente arricchita da variopinti saliscendi preliminari. Le vesti mutano d’espressione insieme al cielo che lascia intravedere una radiosa sosta tra le torri. I ciclisti filano via irregolari come il moto delle nubi: Bagnoli A. solitamente scattante sull’ondulato tracciato, Bertelli insolitamente silenziosa con insolito abbigliamento castigato, Boretti svestito e asociale con intenti prematuramente temerari, Chiarugi solitamente silenzioso ma in forma atletica assai loquace, Nucci in perdurante fase di eterea letargia agonistica , Pelagotti solitamente coriaceo coi polpacci glabri semicoperti, Tempestini coperto da giallognolo e sventagliante k-way. Completano il quadro Caparrini che adempie all’abituale ufficio di foratura e Pagni che ringrazia per l’imprevista (si fa per dire) e convenevole sosta. C’è voglia di lentezza nel gruppo quando riparte, una lentezza silenziosa perché in bici il silenzio non è imbarazzante come in un gruppo di commensali, non c’è bisogno di parlare del tempo così per fiatare perché il fiato è gelosamente amministrato e il tempo, quello fisico e quello atmosferico, è intensamente e pienamente vissuto da chi pedala. Il vento, per esempio, non è motivo di conversazione ma un’entità viva che atterra e suscita, che affanna e che consola. Sfidarlo è un atto di superbia ma Chiarugi oggi si sente tracotante e si lancia fiero contro il muro di cielo in movimento trascinando i compagni in una fila affannata fintantoché non ode il supplice invito al rallentamento da parte del presidente che si erge dal plotone in qualità di apprezzato portavoce. Chiarugi allora maramaldeggia sulla salita di San Gimignano poi cede lo scettro a Pagni in piazza della Cisterna. Il pontefice massimo delle soste ritrova negli occhi il sole di un tempo e con esso il sorriso ma l’emozione forse lo frena. Si limita infatti ad esibire parzialmente il torso vestito di inusuale maglietta di salute, ad ungere moderatamente il naso con un’irrisoria porzione di crema ed a consumare al pari degli altri una pasta sfoglia che, stretta in mano, tende a scomparire per metà della sua massa in forma di pulviscolo atmosferico. L’importante comunque non è l’atto in sé ma il suo valore simbolico. L’importante è ritornare ai semplici gesti di una felice consuetudine come quella di pedalare in compagnia che ci porta a meditare instancabilmente; che ci porta a riscoprire i preziosi dettagli del mondo, i suoi colori e la loro temperatura soggettiva, perché il mondo, come ha scritto Schopenhauer, è volontà e rappresentazione ed ognuno lo vive e lo interpreta secondo un proprio complicato filtro sensoriale; che ci porta ad andare lontano senza allontanarsi mai, come lo scrivente che alla fine del viaggio ha percorso 125 chilometri rimanendo in un raggio di 20 da casa.


 

10/09/2000 Il filosofo con l’anima argentata

 Un volgo disperso repente si desta: intende l’orecchio, solleva la testa, percosso da novo crescente romor.

Appena si è sparsa la voce che l’Empolitour ha abbassato la mira ai lunghi tragitti e le alte quote, tosto la schiera si è infoltita. Tornano tutti i sette della domenica precedente, tornano gli esuli agonisti, le venuste forme della Bertelli sotto un’aderente livrea asociale e il volto sempre più esangue e macilento di Nucci, torna la nutrita corporeità di Pelagotti con pantaloncini incanutiti dall’usura, tornano i larghi lombi di Boretti che compare solo quand’è inatteso ma soprattutto torna la multilustre saggezza di Lambruschini con l’argenteo velocipede esibito sulle vette alpestri. Le sue gambe, ingentilite dal sole e da un’accurata spoliazione dell’antico pelo, dimostrano eleganza e vigore che non sfigurano in mezzo agli altri più giovani polpacci e non sembrano temere distanza e asperità. Poche asperità a dire il vero, ma vissute intensamente. I garzoncelli scherzosi si scatenano subito sul Chiesanuova pungolati da due velleitari ciclisti eterodossi che ben presto s’inabissano. Il gruppo si sgretola e Caparrini da buon pastore rimane guardingo nelle retrovie per ricompattarlo e non perdere nessuna pecorella lusingata da abbreviazioni di percorso. Il cielo è tersissimo e il sole settembrino si riflette sulla nuda cotenna di Boldrini mentre lavora alacremente di cavafascione e pompa in occasione di due pause per foratura che la maggior parte dei compagni interpreta con umore salottiero ristoratore o defatigante. La discontinua salita di S.Polo in Chianti ha due anime, quella battagliera di Pelagotti, Tempestini e Boldrini e quella pensierosa di Lambruschini che appare degno di tanta reverenza in vista mentre tenta di contenere le smorfie della fatica. Lo custodiscono, volando in cerchio attorno alla sua ombra un po’ scomposta, i quattro angeli del Tour che egli nel delirio della sofferenza scambia per avvoltoi pronti dal loro sinistro girotondo ad avventarsi sulla sua carcassa. Tenta in tutti modi di scacciarli e vi riesce per un breve tratto di strada ma poi s’accorge che la fine della salita è molto più vicina della sua fine corporale e così riacquista il sorriso e le forze per ricongiungersi a loro. A Strada in Chianti si celebra la sosta-Secci in onore del glorioso ciclista dell’era bartaliana che pareva lì nel circolo ARCI ad attendere da sette mesi la venuta dell’Empolitour. Quando racconta delle sue 49 vittorie da dilettante il suo volto ritorna per pochi istanti a somigliare a quello ormai irriconoscibile di una cartolina con autografo appesa alla parete del bar. Prima di congedarsi dai suoi figliocci li ammonisce a non passare dalla strada in rifacimento di Ferrone, ma il loro desiderio di brevità è più forte del timore dello sterrato e così si ritrovano in una pietraia che soltanto i tre reduci dai vibranti spiriti della mountain bike percorrono speditamente coi piedi sui pedali. Gli abili equilibristi si fermano sul limitar della sassosa via ad ascoltare il tip tap di sedici tacchetti che calpestano un terreno non congeniale al loro ruolo. Tacciono soltanto le scarpe di Bagnoli L. che avanza flemmaticamente scalzo. Sul ritrovato asfalto l’andatura si ravviva immediatamente grazie al sacrificio di Boretti in pianura fino a Falciani dove sono di scena sane scaramucce fra Boldrini, Chiarugi, Nucci e Pelagotti. Le straripanti progressioni di Boldrini prima e di Chiarugi poi, non scongiurano l’agguato finale di Nucci che per primo posa gli ossuti glutei sul prato della piazza centrale di S.Casciano. Lambruschini arriva col ponderato passo del filosofo e trova ad aspettarlo un’angelica scorta ancora numerosa nonostante le fughe più o meno giustificate di alcuni frettolosi. La schiera dei cherubini lo attornia credendo di doverlo trascinare con somma pena nei venti chilometri finali ma il distinto veterano è ben lungi dalle visioni di crisi e può permettersi anche qualche orgogliosa tirata giungendo alle soglie di casa con l’auspicabile consapevolezza che nell’Empolitour dei granfondisti, dei salitomani, delle maglie tricolori, degli ipertrofici quadricipiti e dei sette allenamenti la settimana, ci sia sempre posto anche per chi si sente bradicinetico.


 

03/09/2000 La salita del ghibellino

A poco a poco la schiera s’infoltisce, il richiamo del pedale si spande per le contrade e attrae qualche membro disperso dell’Empolitour. Il pastore Caparrini, reduce da tre transumanze infrasettimanali, ritrova il puntuale Chiarugi e il risanato Boldrini, in più si rivedono i fianchi gommosi di Tempestini, le gambe lanose e nigricanti di Traversari, la sagoma asciutta ed elegante, ma asociale, di Bagnoli A. e l’aria riflessiva di Bagnoli L. sotto un berrettino non aderente ma flosciamente adagiato sulla calotta cranica. Caparrini ritiene adatta a tutte le taglie di allenamento la salita di Massa e Cozzile che propone come salita di Macchino tanto per conferirgli un certo non so che di inedito. La partenza coincide con la fine della consueta vana attesa dell’inattendibile Boretti poi un cicaleccio a sette voci si diffonde nell’aria spostandosi lentamente fino a Lamporecchio. A Larciano si compie il rituale ufficio del traguardo volante con una progressione aerobica di Chiarugi che impensierisce la potenza istantanea di Bagnoli A. vincitore per sola mezza bicicletta. Siccome nessuno crede che Chiarugi, solitamente perdente in volata per distacco, sia diventato anche sprinter, bisogna arguire che Bagnoli A. accusi ancora le ambasce di allenamenti con gruppi eterodossi ipercinetici. Chiarugi comincia a scrutare gli abominevoli arti inferiori di Boldrini che considera l’unico avversario in grado di solleticarlo in salita ma spera anche nell’inserimento di qualche outsider per vivacizzare un’ascensione predestinata alla monotonia. Tempestini sembra desiderare questo ruolo di guastatore e, munito di fascia-turbante ad imitazione caparrriniana, al primo vagito di salita sferra uno scatto di venti metri che funge da slancio per Boldrini e Chiarugi. Lungo le vie che Castruccio Castracani percorreva a cavallo i due proseguono appaiati lasciando Tempestini ad agognare per quattro chilometri il ricongiungimento. Fino a Cozzile il soccorso di qualche falsopiano può alimentare ardite ambizioni anche nei non appartenenti al ceto degli scalatori ma gli ultimi quattro chilometri di arrampicata genuina ristabiliscono le gerarchie sociali. Chiarugi infatti resta solo e Caparrini, che aveva precauzionalmente dichiarato di voler affrontare questi otto chilometri come se dovesse arrivare sull’Iseran, accumula un distacco effettivamente consono ad un colle di trenta chilometri. È comunque accudito dalla fedele scorta di Traversari e dell’anelante Bagnoli A. A Vellano è tempo di sosta-Pagni con l’augurio di un pronto ritorno in gruppo del suo alto fattore che consacrò ab aeterno questa domenicale liturgia. Chiarugi rimane fuori a meditare sulla vetusta stele dedicata a Bartolomeo Tognetti che nel MDCCCLXXXIII superando le avversità della montagna dotò Vellano di questa strada rotabile. Sul volgere di mezzogiorno nell’hinterland pesciatino la gente che è lì richiamata da esibizioni floreali osserva con curiosità un trenino di sei vagoni trainato da una locomotiva che ha le sembianze di un losco figuro col cranio glabro. La singolarità della scena sta nel fatto che alcuni vagoni sembrano sbuffare assai più della locomotiva che però una volta tanto riesce ad arrivare a destinazione con tutto il convoglio.


 

27/08/2000 Il ritorno del pastore errante

Il pastore errante Caparrini dopo l’esilio sui lidi oziosi dell’Elba torna imbolsito a radunar la greggia ma tre sole pecorelle (Boldrini, Chiarugi e Pelagotti) rispondono al richiamo del pedale. I paventati venti giorni di vacatio velocipedis sono stati portati a buon fine e i chilogrammi di tara acquisiti rientrano, a suo dire, nei limiti della norma. Chi avesse visto pedalare il presidente nei momenti di massimo splendore non noterebbe però sostanziali differenze. L’andatura caracollante e i rantoli sibilanti in salita sono immutati, soltanto la velocità di marcia cala mediamente di 5 km/h su ogni terreno, in parte per l’abbassamento della soglia di precauzione all’affaticamento, in parte per l’aumento compensatorio delle attività conviviali itineranti dopo l’assenza. Si può affermare che Caparrini disponga di una condizione atletica oscillante attorno ad un punto omeostatico in maniera casuale e indipendente dall’allenamento con un coefficiente di variazione tendente allo zero. In altri termini, poiché durante l’anno si allena poco, il passaggio da poco a nulla incide sul suo fisico meno delle normali fluttuazioni stocastiche dei parametri fisiologici. Queste però sono considerazioni dottrinali che non modificano la ritualità stagionale degli eventi. Il rientro dell’esule pastore richiede infatti per consuetudine un giro inderogabilmente consacrato alla mitezza ed anche le tre pecorelle sono concordi con quest’intenzione di mansuetudine. Boldrini dichiara un’assunzione di antibiotici che avrebbe svigorito l’ipertrofia delle sue carni, Chiarugi appare eroso dal tedio di migliaia di chilometri pianeggianti e Pelagotti arricchito di adiposa zavorra nonché di setole incolte sulle bronzine gambe una delle quali marchiata da fatuo tatuaggio. Il risultato di quest’incontro di blandi ciclisti è un percorso all’insegna dell’improvvisazione. Seguendo un complicato albero decisionale si finisce per affrontare il San Baronto da Lamporecchio dove Caparrini riceve dal cronometro l’oggettivo responso del suo stato atletico rallentato e dove Chiarugi ostenta con malcelata vanagloria la catena tesa stabilmente sul 53, mostrando invero curvature patologiche del corpo per imporre alle pedivelle un minimo impeto rotatorio. La lenta transumanza prosegue sul Seano dove le orride narrazioni gastronomiche di Pelagotti prevalgono sull’interesse del gruppo per la salita. E così di clivo in clivo e di favella in favella si giunge a compimento dell’opera quando il calore ancora non avvampa e tutti azzerano frettolosamente il contachilometri prima di leggere l’imbarazzante risultato della velocità media.


 

20/08/2000 La salita dei desideri repressi

La bramosia di giacere con leggiadra pulzella da lungi desiata tradì sovente i cavalieri più virili durante la tenzone. È un fenomeno noto come ansia di prestazione e può colpire anche i ciclisti che agognano con eccessiva voluttà una salita a loro negata per troppo tempo. La salita di Tobbiana, che un mese prima aveva rischiato di creare un epocale scisma nell’Empolitour, viene riproposta in pieno agosto ad una ristretta cerchia di cultori (Chiarugi, Nucci e Trasacco) con la rassegnata constatazione dell’ineluttabilità del veto caparriniano. I tre ciclisti irredenti lasciano un’Empoli evacuata per dirigersi sulle curve assonnate del Pietramarina. Nucci ode ancora nella testa lo stentoreo stridore di un concerto rock e si lascia flaccidamente staccare mentre ogni tanto Chiarugi e Trasacco volgono sulla sua sagoma dolente gli sguardi compassionevoli, badando però a non infierire troppo sul suo tormento interiore. Essi ritengono che la pietas cristiana sia dovuta anche a chi commette le più perverse nefandezze, come l’ascolto dal vivo di Ligabue, e pertanto si fanno quasi raggiungere in prossimità del valico del Pinone. L’esperienza insegna che quando Trasacco gode di libero arbitrio sulla gestione topografica del percorso bisogna pedalare in continuo stato di all’erta. E così anche stavolta, invece di considerare la via più ovvia, egli guida a valle i due discepoli attraverso un singolare inviluppo di stradine anguste, tortuose, dirupate e accidentate dove Nucci, confortato dall’espiazione dei propri peccati, ritrova la voglia di vivere e comincia a battagliare con Trasacco ad ogni accenno di rampa abbandonando Chiarugi alla saggezza del suo lento declinare. Quando la strada riprende le lineari fattezze Trasacco diventa tiratore scelto e rapidamente avvicina ai piedi della montagna il resto del plotone minimamente risentito per l’esenzione dai cambi. Finalmente arriva per Chiarugi la molti mesi lacrimata salita di Tobbiana. Egli si ferma ad osservarne le prime aspre curve mentre gli altri si abbeverano smodatamente. La sua sete non è d’acqua ma di pendenza. Si avventa allora sulla donna dal corpo sinuoso per afferrarla e domarla con mascolina baldanza ma si accorge subito di sentirsi rifiutato. Spinge perciò con più vigore per celare il sentore d’inadeguatezza ma quando lei si distende nel bosco per un attimo di riposo, il suo amante ha già raggiunto con largo anticipo il punto di non ritorno e non è più in grado di soddisfarla come la sua straripante sensualità avrebbe meritato. Chiarugi rimane inizialmente pervaso da un senso di naturale vergogna mentre Nucci e Trasacco si allontanano, poi si consola immaginando i pensieri di Caparrini in questi momenti di solitudine quando più nessuno può mirare la tua rorida schiena. E in questi momenti di apparente mestizia si scopre l’effetto benefico della rassegnazione che oblia le trepide e pungenti angosce del corpo e dell’anima. Svanisce per incanto ogni affanno anche se la salita continua a desiderare il soddisfacimento delle proprie voglie. La consapevolezza di essere atteso da qualcuno alla meta infonde nel ritardatario oltre al giusto viatico anche un senso di smisurato potere che invoglia a dilatare ancor più il ritardo. Per questo, quando ad un certo punto la strada si china su se stessa, Chiarugi si ferma a vuotare gli umori ingombranti e a meditare sull’alterna onnipotenza delle umane sorti. Nella discesa dell’Acquerino rimarrà di nuovo solo ad interrogarsi sull’immensità dell’universo e sul perché Nucci non abbia imposto la solita sosta-Pagni al troteificio secondo un copione recitato tutto l'anno senza sbavature. Si finisce comunque in banchetto presso un ubertoso rovo di Fornello a piluccar more ed a pargoleggiar con l’acqua di una rovente fontana di Vinci.


 

13/08/2000 L’ora di Barga

Cinque fanciulli venuti dal sopore estivo empolese giocano con membrute biciclette sulle creste di quei monti antichi e smussati che due regioni si contendono. Giocano a chi arriva primo alla croce, a chi sta più a lungo in equilibrio sui sentieri minati di pietre, a chi meglio scansa la pozza fangosa che il cavallo ha arricchito di personali ornamenti, a chi inghiotte più mirtilli in un sol boccone e a chi trova il lampone più grosso. Tra mountain bike e bici da corsa la differenza salta agli occhi. La bici da corsa ha la strada segnata, la mountain bike può scartare di lato e cadere. La mountain bike ha l’ossatura robusta, ondeggia, pencola, urta e sbalza. Non teme la rudezza del suolo terrestre ma lo aggredisce con prepotenza, quasi violentando l’animo silente della natura che attraversa. I cinque bambini gioiscono in simbiosi coi taciturni sterrati nonostante la sella si riverberi in maniera ossessiva e contundente sulle più profonde intimità e nonostante il manubrio dia sovente la vivida sensazione di martello pneumatico. Trasacco è il mentore delle spedizione, Bhoss il fornitore di mezzi agli sprovveduti, Bertelli la madrina temprata da tanti passati cimenti che coinvolge due implumi stradisti, Nucci, dotato di mezzo d’avanguardia già collaudato e Chiarugi con residuato dell’era primordiale della mountain bike che inforca per la prima volta al momento della partenza. Siamo in località Renaio, raggiunta attraverso i luoghi della Garfagnana che ispirarono Pascoli e dopo aver ontosamente scalato in pulmino una tortuosa e ripida salita. In mountain bike il tempo si dilata e lo spazio si contrae. La velocità è in certi tratti quella di un podista ben allenato, in altri quella di uno scout con lo zaino ma il gesto atletico predominante, almeno nei primi venti chilometri, è quello della pedalata. In discesa la mountain bike diventa un altro sport. Bhoss, che sale come il sunnominato scout zavorrato, scende con l’irruenza di un motocrossista. Chiarugi rampica con gaudio e perizia e cala a valle come corpo morto cade rischiando il disarcionamento ad ogni sussulto del terreno. Nucci, discesista d’asfalto, sembra più titubante sulle infide declivi pietraie mentre Trasacco e Bertelli sfoggiano la loro navigata abilità di danzatori sui ciottoli. Nessuno rimpiange la soperchieria dei veicoli a motore ma c’è chi è perplesso di fronte ai cavalli che emettono scarichi biodegradabili ma sono lenti e imprevedibili come gli automobilisti che guidano col cappello. Le soste sono frequenti e gradite da tutti perché consentono di ammirare da vicino un mondo sommerso, degustare i frutti di bosco e dare pace alle gambe e agli organi genitali percossi dal sellino. L’atmosfera è arcadica fino al rifugio Battisti, dopo escursioni con foto sui cocuzzoli delle montagne e lunghe contemplazioni estatiche del cielo stesi sui verdi silenzi dei pascoli appenninici. Si valica quindi un romito giogo per una via lastricata di tenaci ronchioni che inibiscono la marcia anche alle ruote possenti. I ciclisti diventano così scarpinatori intralciati dalle inerti ferraglie e si sentono disarmati e ansimanti ma le loro labbra, che sembrano cianotiche per asfissia, sono in realtà dipinte dalla polpa dei numerosi mirtilli piluccati sul sentiero. Trasacco prende atto dello stato d’animo accidioso di Bhoss nei confronti d’ogni futura salita e decide di sperimentare una presunta scorciatoia interamente discendente. Si rivela invece un sentiero da funghicoltori che inizia con un soffice tappeto di natura morta e progressivamente esibisce tutte le principali molestie che possono tormentare seriamente il passaggio di un ciclista. Le pietre sporgenti diventano il cruccio minore di fronte al terreno paludoso, i tronchi d’albero da scavalcare, i dirupi franosi da attraversare e le piccanti carezze delle foglie d’ortica. Bhoss, che si sente imputato di tale improvvida deviazione, tenta di portare la chioma paglierina lontano dalla vista dei compagni mentre riecheggiano nella selva scoscesa gli strali della sua più rinomata cliente che minaccia vendetta cruenta. È anche necessario trarre in salvo con ardite peripezie Nucci che sprofonda a mezzo busto in un precipizio ornato da melliflue piante di lamponi. L’ultimo ostacolo è un torrente da guadare ove per sfinimento le gambe più livide, fangose e vescicolose finiscono per immergersi. Si apre finalmente un quadretto di quiete leopardiana in cui spicca l’immagine della Bertelli in déshabillé che si bagna in una polla d’acqua sorgiva, come Anita Ekberg nella fontana di Trevi, mentre uno sciame di mosche dai gusti raffinati le danza attorno con frenesia evitando tutti gli altri che pur avrebbero offerto sudore e ferite sanguinolente in abbondanza. Un rapido scivolamento sull’asfalto pone fine ad un affannosa ricerca della retta via e chiude un’esperienza di quasi dieci ore a quei corpi ormai abbattuti che custodiscono però animi lieti e sollevati. I corpi di tre infermi pargoletti si adagiano allora mollemente su una catasta di legna in attesa del ritorno e Chiarugi suona l’arpa pizzicando le selvagge chiome della Bertelli che diffondono una rilassante melodia. E mentre scocca l’ora di Barga egli finisce per pensare coi versi di Pascoli: "Tu vuoi che pensi dunque al ritorno, voce che cadi blanda dal cielo! Ma bello è questo poco di giorno, che mi traluce come da un velo. Lo so ch’è l’ora lo so ch’è tardi; ma un poco ancora lascia che guardi."


 

06/08/2000 L’anatroccolo rosa

Piove sui simulacri alpini. Piove sul Serchio che porta il silenzio alla foce. Piove sulle ruote ovattate di gomma che spruzzano l’acqua d’asfalto sui volti silvani. Piove sui vestimenti leggeri, sui velocipedi fieri, sui freschi pensieri di quattro ciclisti che attesero invano il risveglio del sole d’agosto. Sono i tre irriducibili (Bertelli, Chiarugi e Nucci) di un Empolitour ancipite e dispersa nell’aere vacanziero e una Sabrina Raggiante, come il sole novello che lascia sulle scogliere del mare etrusco per avventurarsi verso le nubi versiliane chiamate a raccolta sulle aride vette di madreperla. Piccola e fragile ella sembra mentre si dispiegano le tortuose traiettorie del passo del Vestito, prima fra le conifere perenni spettatrici di immagini marine, poi nella roccia di cui l’uomo vorace si ciba. Il suo corpicino, che il sole ha temprato d’ebano e il pedale ha scolpito con discrezione, reca ancora le ferite incruente di un recente agone. Bertelli la scorta con premura dopo un’irrequieta ricerca della velocità più consona alla sua anima ripetutamente sgusciante dal corpo di vigorosa silfide. Nucci e Chiarugi inseguono un ciclista con le fattezze di bagnino che pare inviolabile prima di scomparire alle loro spalle inghiottito dalle tenebre ansimanti di una galleria. La vetta marmorea conquistata stuzzica in Nucci quello stereotipo di appetito vizioso e teatrale per le vivande incommestibili. L’odore del lardo di Colonnata s’insinua oniricamente nelle sue narici e in quelle innocenti della Bertelli quando si scopre la vicinanza del paesino di Arni. Ma nemmeno quest’adiposo miraggio placa la foga genetica dei due discesisti che ignorano il fatal bivio e si fermano quando ormai il peccaminoso desio può essere soltanto procrastinato a valle. Il destino è però ingeneroso. In discesa le Apuane tramontano dietro un cielo plumbeo e con esse la speranza di lardo. A Torrite l’arresto di marcia è imposto dalla vista di un’indicazione di panini caldi. Trattasi di frusti raffermi, ad onor del vero riscaldati, inzeppati con prosciutto stantio e bagnati da coca cola anch’essa calda. Il produttore è un gioviale barista con addome batraciano che cerca di favorire la consumazione degli avventori tripartendo i tranci gommosi in porzioni deglutibili senza masticazione. Le nubi non stanno però ad aspettare le lente manovre alimentari e cominciano ad innaffiare la Garfagnana in maniera che ai più sensati sembrerebbe accomodata per tutto il pomeriggio. Nucci è invece convinto della temporaneità dell’evento e trascina i compagni in nove partite di briscola in attesa del momento più propizio per la ripartenza che alla fine coincide col periodo di massima intensità pluviale. A Castelnuovo di Garfagnana, dopo due chilometri ed a cinquanta dalla meta, l’acqua è già penetrata in ogni orifizio corporeo e meccanico. Raggiante senza mantellina è un anatroccolo roseo che mulina intirizzito le muscolose zampette scuotendo ogni tanto le piume arruffate e fradice. Bertelli col sostitutivo gonfiato dal vento sembra invece giganteggiare con l’armatura, la lancia in resta e l’elmo senza cimiero che le dà sicurezza sulla strada viscida e le protegge le nobili chiome. Solo un perfido pruno interrompe la sua imperiosa giostra cavalleresca e Chiarugi, che si offre come palafreniere per il cambio di camera d’aria, riceve la mercede di un prezioso bacio a labbra bagnate. Negli ultimi chilometri asciutti il bell’anatroccolo roseo dalle indocili piume estrae lo spirto guerrier ch’entro le rugge e tira il gruppo a quaranta all’ora riassaporando così il calore perduto al risveglio sul lido natio. A Lucca si conclude questo scorcio autunnale di mezza estate. I corpi ancora aspersi d’umidità residua e le biciclette smembrate e maculate da tenue fanghiglia rientrano nei roventi veicoli. Ognuno è consapevole di aver vissuto un piccolo epos ciclistico fuori stagione e di aver acquisito una discreta dimestichezza con le carte effigiate di bastoni, coppe denari e spade.


 

30/07/2000  Giro da Pontito

Fatte salve le iniziative personali o quelle di gruppuscoli casualmente assemblati, l’attività ciclistica dell’Empolitour subisce la consueta pausa agostana in concomitanza con l’esilio balneare del presidente Caparrini. Anche nell’ultimo raduno prima di questa vacatio velocipedis, la sindrome del dopo Tour non ha decimato i partecipanti ma li ha resi semplicemente abulici. Non è bastato infatti l’instancabile Trasacco a scuotere Bagnoli A., Bertelli, Boldrini, Caparrini, Chiarugi, Nucci e Tempestini da uno stato stuporoso evidente e duraturo. È difficile stabilire in ciascun ciclista quale sia stato il confine fra sensazioni reali e simulate. L’unico a mostrare serietà d’intenti era Boldrini che mazzolava pesantemente le pedivelle ad ogni apparir di salita. Già, ma quale salita? Il San Baronto da Vinci è ormai diventato un gradevole vestigio d’ascensione più consono ad intavolare conversazioni socializzanti che a creare affannose tenzoni. Il Momigno, che è noto come salita consigliata dai geriatri, svelava tutta la sua abituale clientela di ultrasettantenni accompagnati da qualche giovine plantigrado. Sul crinale della montagna pistoiese Bagnoli e Tempestini, vinti dal pavor longinquitatis, lasciavano Caparrini solo in mezzo a cinque ipercinetici ma per il presidente non v’era alcuna occasione di solitudine. Fino a Calamecca un’autobotte fungeva da apripista insorpassabile. Da Calamecca a Pontito la quiete esistenziale continuava a prevalere sulla volontà di fatica. Lo scarso impegno polmonare favoriva qualche improvvisazione canora della Bertelli mentre Trasacco, sostando ad ogni fontana incontrata sulla via, sembrava voler bere più per dimenticare che per reintegrare un’improbabile sudorazione. A Pontito i sei ciclisti incrementavano del 10% la popolazione locale, oggi tutta assorta a rimirar gli allegri ludi di tanti garzoncelli in piazza, e del 20% il consumo giornaliero di pane e prosciutto. Il tuffo nei trenta gradi di Pescia riproponeva una serie di deja vu stagionali: Boldrini che tira a 40 Km/h assillato dall’automobilismo televisivo, Caparrini che si stacca sul primo cavalcavia, Boldrini che progressivamente svanisce all’orizzonte e gli altri che attendono il ritardatario rassegnato ormai al suo neghittoso destino di villeggiante.


 

23/07/2000  Serra da Buti

La sindrome del dopo Tour è nota da almeno dieci anni e si manifesta con profonda anoressia ciclistica, depressione psichica da privazione di montagna, forte repulsione verso il sellino e grave ipotonia muscolare fino alla sensazione di gambe poltacee o gambe in pappa. Colpisce con la massima intensità i sopravvissuti ai cinque giorni di Tour ma ha una rapida diffusione epidemica attaccando anche tutti gli altri dispensati che subiscono un’attrazione irrefrenabile verso le località balneari. Come conseguenza più evidente di questo fenomeno si osservano, nelle settimane a cavallo fra luglio e agosto, uscite domenicali con due o tre partenti. Quest’anno la sindrome ha verosimilmente colpito l’Empolitour nella sua forma più attenuata perché al raduno di partenza si sono ripresentati non solo i quattro reduci (Bertelli, Caparrini, Chiarugi, Nucci) ma anche quattro redivivi (Bagnoli A., Boldrini, Boretti, Tempestini) uno dei quali (Tempestini) uscito indenne da una vacanza stile allevamento avicolo in batteria con rifornimento alimentare ad libitum. Considerate le condizioni psicofisiche mediamente pietose, Caparrini impone al gruppo il monte Serra da Buti e si dimostra inflessibile ad ogni proposta di rinforzo. Da Empoli a Buti l’andatura è quella dei partecipanti ai talk-show. Le lingue girano infatti molto più speditamente delle ruote. In certi momenti il gruppo sembra aspettare di essere sospinto da una mano divina o da un soffio della provvidenza pur di non ridestare le gambe da un torpore incurabile. Sulla salita si spera che qualche provocatore asociale inneschi un po’ di bagarre ma l’unico che ci prova dura un chilometro scarso prima di vedersi abbandonato da Nucci, Chiarugi e Boldrini e quest’ultimo non vende abbastanza anima a Lucifero per potersi garantire un bramato arrivo coi primi. Chiarugi riesce addirittura a staccare Nucci che si giustifica con l’acido lattico versato il giorno prima in una sfida con Casagrande. Bertelli sale col passo dell’indossatrice in passerella beandosi nelle sinuose e provocanti fattezze del body sociale mentre Bagnoli e Tempestini trascinano Caparrini all’ennesima amputazione di un record assoluto di scalata. Chiude le fila Boretti che come suo solito aggredisce la salita alla maniera che fu di Centola o Zulle. Gli otto entrano quindi nella magione di Walter il lento per la rituale dilatazione temporale addolcita ma le fette di torta sono servite stavolta con preoccupante sollecitudine tanto che occorre visitare anche il mausoleo dei marinai caduti per dare un’adeguata consistenza alla sosta. È consentito qualche minuto di raccoglimento su una rupe per figurare l’immensità dell’universo osservando dall’alto tutta la provincia di Pisa con l’Arno che pare un sottile rigagnolo. Dopo un po’ bisogna anche tornare a casa e, a giudicare dall’avanzamento panciuto del gruppo, dalle fughe blande di Boldrini e dai tentativi di percorrere stradine devianti, non sembra che la voglia di farlo sia eccessiva.


 

Domenica 02/07/00 * Giro della foresta dell'Acquerino * Km.128

Percorso: Empoli - Vinci - S.Baronto - Casalguidi - Pistoia - Passo della Collina - Foresta dell'Acquerino (Sosta Pagni al bar "La Trota d'oro") - Candeglia - Pistoia - Casalguidi - S.Baronto - Vinci - Empoli.

La ragione umana ha bisogno per sua natura di espandersi e spaziare liberamente senza ostacoli né vincoli di tipo dogmatico. Poiché il ciclista è anche un animale razionale e non solo un bruto meccanismo produttore di lavoro fisico, egli non tollera le verità rivelate ed i confini imposti alla sua libertà di espressione da un retrivo tradizionalismo. Un tempo, quando nell’Empolitour ancora non esisteva un rigido corpus iuris civilis, i percorsi domenicali erano decisi in sede di partenza sulla base di proposte democraticamente vagliate e discusse ed il criterio dell’innovazione e dell’inedito costituiva il principale elemento decisionale anche se alla fine prevaleva solitamente la mozione più blanda. Con questo modus operandi è stato possibile esplorare nei dettagli diverse province toscane e lo spirito d’avventura ha sempre animato le menti illuminate dei ciclisti basti pensare alle spedizioni mai ripetute sul Foce a Giovo, il Croce Arcana, il monte Falco, la Faggeta o la Montagnola di Siena. Poi sono arrivati i calendari, le preparazioni mirate e gli obblighi di sosta ai santuari della ristorazione, così la fantasia ha perduto il potere in favore dell’immutabilità programmatica. A tutela della tradizione si erge il presidente Caparrini che a spada tratta difende il dogmatismo dei percorsi predefiniti e mostra nei confronti delle varianti topografiche una tolleranza simile a quella dell’Inquisizione di Torquemada nei confronti delle dottrine eterodosse. Le sacre scritture oggi prevedevano il rinfrescante giro della foresta dell’Acquerino per il quale si sono presentati oltre al Presidente anche Nucci, Chiarugi, Bagnoli A. (sociale ma preventivamente riduzionista), Boldrini, Bertelli (che indossava una maglia a nudità ascellare con strani disegni di foggia ovulare) e l’ospite Trasacco che è solito aggregarsi all’Empolitour nei giorni di riposo e che è noto per la fertilità geografica dovuta ad una certa intimità coi sentieri da mountain bike. La sua presenza evoca come piacevole diversivo la salita di Tobbiana che per Caparrini sarebbe la prima inedita del secolo, a parte un Montefioralle scalato il 2 gennaio in un momento di debolezza. Ma il Grande Inquisitore, nonostante una maggioranza bulgara di sei settimi, pone un veto insormontabile e con un’astuta manovra apparentemente liberale offre la possibilità dei percorsi differenziati ben sapendo che tale istituto è praticamente caduto in prescrizione dal 1996 quando venne concessa la libertà di scalata del Serra per mancanza di unanimità sull’accettazione del versante sterrato di Ruota. Così bisogna rassegnarsi al passo della Collina detto anche passo dei bubboni pistoiesi. Caparrini cerca di distrarre i pensieri rivoltosi dell’opposizione fingendo l’instabilità di un tacchetto sul pedale che determina venti minuti di circolo vizioso fra Empoli e Sovigliana cui fa seguito il cambio delle calzature. Si percorre la tratta Empoli-Pistoia dal fantasioso versante vinciano del valico di S.Baronto dove Bertelli irretisce un filiforme ciclista dall’aria professionale (anche se indossa un commiserevole k-way per la discesa). Da Casalguidi inizia la rinomata statale di Bonelle nota per l’asfalto butterato che facilita le contusioni prostatiche e per la presenza di quella specie non rara di guidatori di veicoli che ama lambire millimetricamente la peluria dei ciclisti. Per il principio di conservazione della parità, che prevede uguali fenomeni fisici fra lato destro e sinistro, tale rinomata strada sarà percorsa anche in senso inverso al ritorno. Grazie alla guida di Trasacco e del ciclista filiforme, Pistoia è attraversata insolitamente per la via più breve. Quindi inizia la mirabile ascesa al passo della Collina dove Caparrini si lascia subito staccare per godersi in solitudine il suo incessante serpeggiare fra i paracarri. In realtà il concetto di solitudine è assai contraddittorio. Si contano in sei chilometri più di sessanta autoveicoli sorpassanti, molti dei quali guidati dai membri della stessa specie di Bonelle. I medesimi sessanta si ritrovano incolonnati ad un passaggio a livello in attesa dell’unico treno domenicale della porrettana e ciò implica altri sessanta sorpassi con le stesse modalità del contropelo ma con alcune migliorie come la strombazzata spettinante e la sgassata asfissiante. Quando s’entra nella bramata foresta dell’Acquerino alcuni parlano di paradiso. Si accede effettivamente in una silenziosa galleria nel verde ma i santi potrebbero almeno migliorarne il manto stradale che non giova alle prostate già messe a dura prova presso Bonelle. In questo caso c’è un elemento di suspense in più perché le buche in quell’arborea oscurità non si vedono proprio e le biciclette o si rassegnano al loro destino sussultorio o le scansano pedissequamente procedendo a velocità podistica. Il tutto serve a dilatare enormemente i tempi d’attesa. Infatti Nucci e Trasacco sfrecciano rimbalzando come entità gommose. La povera Bertelli, braccata dal filiforme, teme ad un certo punto di aver smarrito la diritta via nella selva oscura ed è costretta a tornare sui propri passi disseminando per strada oggetti personali. Caparrini, che del falco non ha né le doti di discesista né l’acuità visiva, dopo aver preso venti minuti di distacco in salita ne prende altrettanti nella breve discesa fino ad Acquerino ed è l’unico che si ferma ad abbeverarsi alla fonte dalle quattro stelle insinuandosi in una lunga fila d’imbottigliatori. Per farla breve, dopo altri venti minuti di sosta al famoso troteificio (vedi medio fondo del Fossato), il gruppo riparte quando sono già le 11.30 e si lancia per la discesa panoramica di Candeglia verso una Pistoia piuttosto rovente con la netta sensazione di non aver affrontato nessuna salita. Al termine di questo che sarà ricordato come il giorno del gran rifiuto di Tobbiana, il regime assolutistico del Presidente è in odore di crisi. Pare che il partito degli stoici capeggiato da Chiarugi sia intenzionato a chiedere una mozione di sfiducia mentre si vocifera che Pagni, leader della fazione epicurea, stia da tempo tramando nell’ombra della convalescenza. C’è chi parla addirittura di un possibile golpe prima del Tour ritenuto dai due partiti o troppo lasso o troppo duro.


Domenica 18/06/2000 * GIRO DI CALAMECCA e PONTITO Km 124

Percorso: Empoli - Vinci - S.Baronto - Casalguidi - Momigno - Femminamorta - Calamecca - Pontito (Sosta Pagni alla "Buca del Grillo") - Pescia - Vedute - Empoli.

 Per i non partecipanti all’ Empoli-Roma si prospetta uno weekend decisamente impegnativo.

L’antipasto è costituito dalla scalata del Monte Serra da Buti nel giorno di sabato 17, con alla partenza Caparrini, Boretti e Pelagotti. La salita viene affrontata a velocità sostenuta in particolare da Pelagotti che si dimostra in grande forma (un peccato la sua non partecipazione al Tour), Caparrini riesce ancora a limare il proprio record assoluto di scalata e anche Boretti si difende egregiamente pur con un certo cedimento nella parte finale. Al consueto bar l’amico lento è assente per rifornimenti ed è sostituito da una gentile signora che, vista l’esasperante lentezza con cui vengono serviti i clienti, viene subito riconosciuta come sua madre. Le fette di torta sono comunque sempre all’altezza della situazione.

Per il bellissimo giro di Calamecca e Pontito il cast dei partecipanti è sempre ridotto e comprende Caparrini, Tempestini, Boretti e Pagni. L’assenza di tutti gli agonisti rende il giro decisamente rilassante e le salite vengono affrontate quasi tutte a gruppo compatto. La più impegnativa è senza dubbio quella di Momigno che termina a Femminamorta, proprio in corrispondenza del bivio per Calamecca. Da questo punto inizia un tratto di strada, per quanto conosciuto, davvero fantastico: gran parte della strada è all’ombra, le salite hanno pendenze umane, di autoveicoli non ci sono tracce, le fontane sono tutte a quattro stelle. Il passo tranquillo, che farebbe infuriare qualche tesserato, abbinato alla bellezza dei posti porta alla riscoperta del vero cicloturismo che troppe gare hanno relegato in secondo piano. La sosta Pagni avviene a Pontito, al consueto Bar del "Grillo" (si è scoperto che il nome è dovuto alle abilità canore del padre dell’attuale proprietario) con doppia razione di panini per Pagni e Boretti, con piacevoli conversazioni con alcuni dei 54 abitanti complessivi del paese e con la promessa del barista di far trovare un piatto di pasta per il prossimo anno. Il ritorno prevede la stupenda e ombreggiata discesa verso Pescia e l’assolato tratto di strada che porta poi a Empoli via Chiesina Uzzanese e Vedute. Il passo tenuto è questa volta piuttosto elevato e consente di concludere il giro ad una media accettabile.


 

Domenica 04/06/2000 * GIRO DELL’AVAGLIO Km 104

 Alla prima uscita post Giro d’Italia dell’Empolitour, il gruppo si presenta estremamente ridotto anche per la concomitanza con appuntamenti agonistici riguardanti gran fondo ciclistiche o corse podistiche. Alla partenza soltanto Caparrini, Tempestini, Boldrini e dopo pochi Km Pagni per il classico giro imperniato sulle salite di Avaglio e San Baronto da Casalguidi. Dopo il freddo sofferto sui passi del Giro d’Italia, è il caldo a caratterizzare la giornata e a condizionare la marcia di avvicinamento alla salita imponendo ritmi più tranquilli del solito. I nove Km di ascensione dell’Avaglio si rivelano impegnativi per tutti tranne Boldrini che continuando a sciogliere sinistri composti nella borraccia, riesce a salire con il 39 x 19 senza apparente fatica. In vetta Pagni si avventa su un imprevisto venditore di fragole acquistandone una quantità sufficiente per almeno 8 persone che poi distribuisce generosamente a tutti gli altri ciclisti. Dopo la sosta Pagni di Femminamorta, la discesa verso Casalguidi, il consueto toboga che porta all’inizio della prossima salita, si scala il San Baronto a buon passo e si ritorna verso Empoli senza particolari sussulti.


 

 Domenica 21/05/2000 * Partenza ore 08,00 * Km. 107

Percorso: Empoli - Fucecchio - Le Vedute - Altopascio - Marlia - Matraia - Pizzorne (sosta Pagni) - Villa Basilica - Collodi - Pescia - Chiesina Uzzanese - Massarella - Poggio Tempesti - Cerreto Guidi - Empoli.

L’imminenza delle montagne del Giro si vede e si sente. I ciclisti dell’Empolitour si presentano a quest’uscita di rifinitura al massimo delle loro condizioni atletiche ed estetiche. Si notano volti scavati, polpacci torniti, abbronzature a gambale e manicotto, chiome premurosamente intrecciate, ed esibizione di lussuoso materiale tecnico. La socialità è praticamente assoluta, urge però un decreto presidenziale per regolamentare l’uso dei pantaloncini di quarta generazione che altrimenti vanificano sempre il raggiungimento della conformità universale d’abbigliamento. Alcuni membri meritano comunque ammonizioni, per ora senza diffida: Boretti per l’anacronistica partenza con sostitutivo, Nucci, Magnani e Castiglioni per l’abuso di manicotti, Pagni per i fascioncini consunti e la Bertelli (che sarà diffidata al prossimo cartellino giallo) per le incrostazioni di fango sul telaio. Completano i quadri Bagnoli L., Boldrini, Caparrini, Chiarugi e Pelagotti, tutti sufficientemente consoni. Il fervore anticipatorio del Giro rende meno monotoni i primi 40 chilometri molti dei quali trascorsi su ampie tangenziali lucchesi ad alta densità veicolare con interruzioni per incroci pericolosi e passaggi a livello chiusi. Ad un certo punto comincia anche la salita, una dignitosa ascesa verso l’altopiano delle Pizzorne passando attraverso il paesino di Matraia. Se al Giro la maggior parte delle fughe serve per farsi conoscere in televisione, nell’Empolitour, con l’avvento di queste cronache a diffusione internazionale, si sta consolidando l’abitudine agli attacchi prematuri e velleitari lanciati per ottenere citazioni. Vi riescono Bagnoli e Pelagotti che negli agevoli primi chilometri marciano con alcune centinaia di metri di vantaggio sulle avanguardie del gruppo. La strada sale senza esagerare e la presenza di numerosi bubboni sembrerebbe un triste presagio, in realtà nei pressi di Matraia i ciclisti inadeguati hanno una via di fuga verso Valgiano mentre la nobiltà pedalatoria deve essere rivelata dopo l’attraversamento del paese. Un breve tratto di inopportuna discesa consente all’ultimo dei fuggitivi (Pelagotti) di assaporare la testa della corsa poi Nucci e Chiarugi cominciano a scandire il loro non proprio implacabile ritmo di 10 Km/h sulla strada che s’inerpica ombrosa e senza requie. Alle loro spalle non si vede nessuno ma si percepisce un vago sentore di inseguitori. Castiglioni, Magnani, Bertelli, Boldrini e Pelagotti arrivano infatti alla spicciolata con ritardi minimi ed anche Pagni, Bagnoli, Caparrini e Boretti si fanno attendere meno del previsto. Anche la sosta-Pagni dura meno del previsto per intercessione di Caparrini che tenta di mantenere l’unità del gruppo trattenendo gli impazienti. L’arconte eponimo è perciò costretto ad un fugace denudamento senza ipercaloriche consumazioni ma Boldrini e Magnani evadono ugualmente. Lungo la mulattiera che declina a Villa Basilica, Caparrini, nell’insolito ruolo di discesista-capo, tira un plotone di sei unità in fila indiana e Pagni svicola furtivamente presso un ubertoso ciliegio dove riconquista i minuti e le calorie perduti. Il ritorno si rivela piuttosto fiammeggiante con il traino inesorabile di Castiglioni, un blitz di Pagni sul muro di Massarella ed un attacco di Pelagotti sulla panoramica salita di Poggio Tempesti.


 

Lunedi 01/05/2000 * Partenza ore 08,00 * Km. 100

Percorso: Empoli - Cerreto Guidi - Larciano - Monsummano - Nievole - Bivio Avaglio - Casore di Monte (sosta Pagni) - Pistoia - Casalguidi - San Baronto - Vinci - Empoli.

È un altro giorno di gaie pedalate in cui vige un tacito senso di appagamento generalizzato. La velocità media dall’inizio alla fine è, a un dipresso, quella degli innamorati sul lungomare. Tutti infatti rimangono amorevolmente in gruppo e le salite affrontate sono risibili tant’è che gli onori della cronaca spettano ai velocisti (Bagnoli A. primo a Larciano), alle discesiste (Bertelli che supera Chiarugi a Casore) ed ai passisti (Boldrini che s’impone a S.Baronto). I partecipanti sono quelli del giorno prima meno Castiglioni (dolorante) e Magnani (precettato) più Bagnoli A. (asociale), Bagnoli L. (tossicoloso) e Pagni (baldanzoso). Il cronista è costretto ad appellarsi alle futilità per rimpolpare la narrazione. C’era per esempio un bel nebbione che ammantava il padule di Fucecchio fino a Montecatini. La Bertelli oggi aveva le chiome morbide sparse sull’affannoso dorso e Pagni sulla salita di Casore tentava di insidiarla con frasi irripetibili. La sosta è stata modesta, col massimo sfoggio alimentare costituito da un minuscolo tortino di Porretta. L’unica emozione era offerta Tempestini capitombolante sul selciato del bar (qui la cronaca tocca il punto più basso). La barista, delusa per la magra consumazione dei suoi clienti abituali, era costretta a caricare il conto di due caffè virtuali. Per risollevare la qualità di questo sunto bisogna citare l’impresa di Caparrini sul S.Baronto. È vero che i suoi miglioramenti non modificano l’entropia dell’universo né tanto meno le gerarchie nell’Empolitour (perché, come dice lui, comunque si migliorano tutti) ma la sua prestazione ha il sapore di evento storico come ogni superamento di un limite sportivo ideale inseguito per tutta la carriera. Egli entra di diritto negli annali dell’Empolitour abbattendo il muro dei 18 minuti e raggiungendo la velocità media di 20 Km/h considerata comunemente la soglia discriminante fra ciclismo e pedalata rosa. E lo fa superando ogni impedimento, il sarcasmo dei colleghi, i bubboni disseminati per la strada e gli incitamenti un po’ assillanti della Bertelli. Alla fine, siccome il software gestionale della velocità boldriniana non funzionava regolarmente (probabilmente per colpa di qualche virus stagionale), la calata su Empoli è risultata placida e finalmente unificata.


 

Domenica 30/04/2000 * Partenza ore 08,00 * Km. 110

Percorso: Empoli - Fucecchio - Ponticelli - S.Maria a Monte - Pieve di Compito - Monte serra (sosta Pagni dall'amico lento) - Buti - Bientina - Quattro strade - Montefalconi - Massarella - Poggio Tempesti - Cerreto Guidi - Empoli.

Ancora una volta incombe il monte Serra, oggi affrontato dall’ostico versante lucchese. Per l’occasione molti si agghindano e si lisciano con cura ostentando i pantaloncini colorati di quarta generazione. I partecipanti si possono distinguere in cinque categorie.

  1. Vezzosi: Pelagotti con gambe che furono ircine, ora levigate e rilucenti come alabastro, Bertelli con gambe abbronzate e crine ornato in tono coi pantaloncini finalmente sociali, Tempestini con impercettibile pizzo labiale di quattro peli.

  2. Essenziali: Caparrini e Boldrini puramente estivi.

  3. Coperti: Magnani con inutili maniche lunghe, Nucci con pantaloni che arrivano ai cerei polpacci.

  4. Stonati: Chiarugi con manicotti riciclati da calzettoni dell’A.C. Castelfiorentino, Boretti con calzini grigi di lana merino.

  5. Asociali: uno solo ma atteso da mesi, il figliol prodigo Castiglioni con ginocchio della lavandaia ma forma fisica verosimilmente ottimale.

C’è fretta d’arrivare a Pieve di Compito. I convenevoli durano fino a Pieve a Ripoli poi cominciano le fughe. Ad Orentano il gruppo si riunifica doverosamente per affrontare a ranghi compatti il ponte sul canal Rogio rinovellato di novella campata. Gli 8,8 Km di salita che seguono lasciano ognuno solo sul cuor della montagna trafitto da un raggio di sole inatteso e da una pendenza attesa ma pur sempre aspra. È un piccolo gioiello di strada che ogni ciclista dovrebbe sfoggiare almeno una volta l’anno. Nucci nonostante l’abbigliamento incongruo è sempre imprendibile. Chiarugi lo bada a debita distanza mentre Castiglioni conferma il detto che "quando c’è è segno che va". Gli altri seguono a poche centinaia di metri l’uno dall’altro. Anche Boretti, dato per disperso, conclude onorevolmente la prova con la sua serafica tenacia. Sulla vetta il protagonista è il solito Walter che non smentisce la definizione di "amico lento" e dispensa gustose fette di torta con le movenze di un bradipo appena uscito dal letargo. I ciclisti attendono il flemmatico servizio esponendo presso i ceppi accesi i loro madidi corpi, tranne Magnani che con Castiglioni e Boldrini segue l’usuale principio del nulla interposita mora. La sosta dura soltanto 29 minuti a cui ne vanno aggiunti 15 di pausa tecnica per la rituale foratura di Caparrini in discesa. Si fa in tempo così a vedere le prime famigliole che salgono sul monte Serra per il picnic (passa anche Cipollini con un gruppo di bubboni). L’Empolitour torna a casa per la tradizionale via delle peripatetiche nigeriane col passo del frequentatore di mercato, in fondo domani è un altro giorno.


 

Martedi 25/04/2000 * Partenza ore 08,00 * Km. 111

Percorso: Empoli - Fucecchio - Cavallaia - Chiesina Uzzanese - Pescia - Collodi - Pariana - Altopiano delle Pizzorne (sosta Pagni) - Villa Basilica - Collodi - Pescia - Chiesina Uzzanese - Le Vedute - Fucecchio - Empoli.

Pur con l’assenza di tutti gli agonisti impegnati in gare di diversi sport in varie regioni, i ciclisti dell’Empolitour si ritrovano alla partenza in discreto numero: Caparrini, Bagnoli Lorenzo, Bagnoli Andrea, l’inaspettato Traversari, Boldrini, Pelagotti e dopo pochi Km Pagni. La salita da affrontare incute giustificati timori che comunque non impediscono di arrivare a Pescia con una media non lontana dai 30 Km/ora, grazie soprattutto alle tirate di Boldrini sui rettilinei che precedono Chiesina Uzzanese. Dopo Collodi la strada comincia lentamente a salire ma il gruppo continua a procedere compatto fino al bivio Pariana. A questo punto Boldrini innesta il suo programma da salita ed agli altri ciclisti non resta che proseguire con le proprie forze non essendo in possesso di tale prezioso strumento. L’ascensione si conferma impegnativa anche se, dosando le forze, tutti riescono a superarla brillantemente; in vetta dopo Boldrini si presentano prima Pagni, poi Pelagotti e successivamente tutti gli altri senza grandi distacchi. Nella sosta al consueto bar Pagni primeggia come al solito effettuando una ordinazione ad personam (schiacciata imbottita di prosciutto toscano) mentre gli altri si accontentano di croissant in scadenza (data 29/04/2000), aranciate, caffè e acqua della fontana a quattro stelle. Al ritorno, dopo la difficile discesa a Villa Basilica, Boldrini innesta il programma da pianura e trascina seco gli imprecanti compagni fino alle porte di Empoli.


 

Sabato 22/04/2000 * Partenza ore 08,00 * Km. 112

Percorso: Empoli - San Miniato basso - La Rotta - Pontedera - Calcinaia - San Giovanni alla Vena - Calci - Monte serra (sosta Pagni dall'amico lento) - Buti - Bientina - Quattro strade - Montefalconi - Poggio Adorno - Fucecchio - Empoli.

Alla prima uscita in occasione delle festivita’ pasquali si presentano i seguenti ciclisti: il solito Caparrini, Magnani, Boldrini, Bertelli, Nucci e l’amico Francesco Trasacco, quest’ultimo per farsi perdonare l’assenza di Cavriglia. Tra gli assenti, giustificati e non: Pagni e Tempestini (motivi di lavori), Chiarugi (in ritiro attivo per la preparazione alla maratona di Pisa del 25 aprile), Bagnoli L. (che ha preannunciato telefonicamente al Presidente la propria rinuncia causata da un precario stato di salute, prevedendo un sicuro recupero mediante "sedute quotidiane" fino al 1 Maggio), Bagnoli A. (in fase di riposo passivo con seri dubbi di ripresa dell’attivita’ dopo l’esperienza di Cavriglia). Dopo i canonici 10 minuti di attesa, nella vana speranza di vedere arrivare gli annunciati Pelagotti e Boretti, il gruppo si muove con passo lento alla volta di San Miniato Basso in un’atmosfera umida e nebbiosa, con la serena certezza che di li’ a poco sarebbe apparso un bel sole pieno. Nucci non si e’ ancora tolto il sostitutivo che a Pontedera la Bertelli prende la via del ritorno, motivata da inderogabili impegni familiari e nemmeno la prospettiva di una sosta Pagni dall’amico lento, con crostata di crema e pinoli, riesce a farla recedere dal suo proposito. Dopo aver attraversato la monotona pianura che porta fino a Uliveto, ed aver gettato uno sguardo fugace verso la torre di Caprona, che a un cronista avrebbe offerto l’occasione per una dotta citazione dalla Divina Commedia, ci dirigiamo verso Calci, ed appena giunti alla periferia alcuni ricordano il triste episodio avvenuto in una delle precedenti spedizioni della fuga impietosa e sleale capitanata da Pagni proprio durante una sosta Vinicio di due dei favoriti per l’ascesa finale. All’attacco della salita Caparrini e’ gia’ staccato da un pezzo mentre il quartetto procede con passo moderato, e comunque sufficiente a portare la frequenza cardiaca di Boldrini sui 175 battiti/min. Dopo 4/5 km di salita gradualmente si esce dalla nube di nebbia che avvolge la pianura e lo spettacolo sotto di noi e’ molto suggestivo. Francesco ci indica tutte le stradine sterrate che conosce, sicuro che un giorno ce le fara’ esplorare con la mountain bike, mentre Boldrini, con sforzo veramente encomiabile, si riporta sul gruppetto e cede solo quando il tratto si fa piu’ duro. I tre arrivano sulla vetta insieme ed immediatamente Nucci si precipita verso l’ingresso del mitico bar del nostro amico Walter: CHIUSO! A nulla valgono i reiterati tentativi a base di urla a squarciagola da parte del nostro, che riesce soltanto a provocare sinistri ragli di un asino evidentemente lasciato a guardia dell’azienda e dello zoo. Tra la delusione di alcuni e la malcelata soddisfazione di altri ci si dirige alla fontanina per la doverosa sosta acqua e poi giu’ per la discesa fino a ripiombare nell’umidita’ della piana di Buti. Il ritorno a casa non riserva particolari degni di rilievo: si segnalano le solite trenate di Boldrini a seguito dell’innesto del pilota automatico ed un generoso recupero di Nucci e Caparrini sulla salita di Montefalconi . Infine il passaggio sul finemente ristrutturato Ponte dei Medici, restituito a nuova vita.


 

Domenica 09/04/2000 * Partenza ore 08,30 * Km. 105

Percorso: Empoli - Fucecchio - Cavallaia - Chiesina Uzzanese - Pescia - Vellano - Goraiolo (sosta Pagni) - Le Vigne - Pieve a Nievole - Monsummano - Larciano - Lazzeretto - Cerreto Guidi - Empoli.

Il sole sonnecchia dietro un grigio velame di nubi quando l’Empolitour rinnova l’abituale raduno domenicale con un numero di partecipanti finalmente accettabile. Sei si presentano in sede (Caparrini, Chiarugi, Bagnoli A., Tempestini, Boldrini e Pelagotti) e tre sono raccolti per strada (Magnani, Bagnoli L. e Pagni). La mutevolezza climatica non consente di raggiungere ancora l’uniformità d’abbigliamento. Molti esibiscono gli irsuti o mal rasati polpacci ma nessuno osa partire con la nudità degli omeri, optando tutt’al più per l’estemporaneità dei manicotti. L’itinerario è finalizzato alla salita di Vellano capoluogo della Svizzera Pesciatina. È una di quelle ombrifere e mansuete strade della montagna pistoiese che per l’Empolitour rappresentano il non plus ultra delle asperità locali da sorbire come propedeutica alle montagne del Giro. Durante la calma e placida marcia d’avvicinamento ferve l’attività di confabulazione incrociata. I temi più trattati sono la fuga-bidone di Magnani nella Medio Fondo di Leonardo, ignorata dai mezzi d’informazione, e la trasvolata di Nucci con bicicletta chiusa in un sarcofago da 800.000 lire (vicenda degna di approfondimento in appendice). Tale notizia serve se non altro a movimentare l’andatura grazie allo scatto sdegnoso di Chiarugi nel pre-Cavallaia che provoca una breve fuga con Bagnoli A., Boldrini e Magnani. S’intuisce che la salita è vicina quando Bagnoli A. decide di tornare indietro. La strada s’inerpica in maniera non ufficiale lungo le sponde dell’impetuoso torrente Pescia e questo preambolo consente a Caparrini di disporsi con comodo nel suo laborioso assetto da salita (estirpazione di manicotti, rimozione di occhiali e applicazione di voluminosa fascia frontale). Dopo il via ufficiale Boldrini scandisce il passo con grintoso cipiglio ma la sua velocità non è tale da trattenere a lungo Chiarugi che si allontana dal gruppo senza soverchia difficoltà mentre Magnani preferisce assistere gli inseguitori dispensando premurosi consigli. I distacchi a Goraiolo sono comunque minimi. Il gruppo si riunisce per l’ultima volta a Marliana presso un distributore di benzina poi comincia la diaspora. Pelagotti sbaglia strada e cade in una delle sue solite crisi esplosive. Arriverà da solo ad Empoli con la faccia di chi ha versato vari litri di sangue in battaglia. Boldrini rispetta il suo inesorabile programma di carica interna e trascina Magnani e Tempestini ad un precoce rientro mentre Bagnoli L., Caparrini, Chiarugi e Pagni procedono per vie secondarie col passo del visitatore di museo.

Appendice

Le riunioni dell’Empolitour sono generalmente momenti di aggregazione pacifica e rilassante che riconciliano la mente e il corpo con la bicicletta. Chi voglia andare in cerca di emozioni agonistiche orto- ed eterodosse riceve comunque un tacito permesso utilizzabile per conquistare prosciutti, vestire maglie tricolori, esibire diplomi ecc. Da ciò nasce la vicenda del segretario Nucci ricostruita tramite testimonianze orali attendibili. In preparazione della Gran Fondo della Versilia egli si reca a Taormina col pretesto di un congresso portando seco in aereo la bicicletta smembrata nel già nominato sarcofago da 800.000 lire (ma alcuni sostengono che per un ritardo nel recapito tale prezioso imballaggio non sia stato nemmeno utilizzato). Scala varie volte l’Etna partecipando al congresso soltanto nelle sue sessioni gastronomiche e mondane. Torna anticipatamente ad Empoli alle 2 di notte. Si alza alle 5.15 e affastella la bicicletta smembrata nel vano posteriore del sinistro Toyota della Bertelli (che probabilmente ha un ruolo istigatore non secondario nella vicenda) con la quale raggiunge la sede di partenza. Come compenso a tanto zelo, mentre Bertelli taglierà il traguardo onusta di gloria, Nucci arriverà nell’indifferenza generale e gli sarà negato persino il riconoscimento dell’esistenza in gara.

Nell’Orlando Furioso, Astolfo va sulla luna per recuperare il senno perduto di Orlando. L’Empolitour cerca un volontario per recuperare quello del Nucci prima che sia troppo tardi.


 

Domenica 02/04/2000 * Partenza ore 08,30 * Km. 96

Percorso: Empoli - Fucecchio - Le Vedute - Orentano - Cascine di Buti - Monte Serra (Antenne) (sosta Pagni dall'Amico Lento) - Cascine di Buti - Bientina - Quattro Strade - Montefalconi - Poggio Adorno - Fucecchio - Empoli.

Per il primo appuntamento stagionale con una salita impegnativa l’Empolitour si presenta a ranghi ridottissimi: alla partenza soltanto Caparrini, Tempestini e Boldrini. Tra gli assenti, tutti più o meno giustificati, si distingue Pelagotti che si dice sia impegnato come spettatore (??) in una non ben definita partita di calcio UISP (!!); verrà prossimamente additato al pubblico ludibrio.Durante il percorso di andata si transita da Orentano e successivamente si attraversa il nuovo ponte che porta a Buti, negli anni passati era passaggio obbligato per le spedizioni a Ruota, che risulta finalmente completato (era da tempo interrotto) e di recente asfaltatura; il lungo rettilineo alberato che segue, anche questo con manto stradale rimesso a nuovo, appare davvero suggestivo.La salita da Buti risulta impegnativa già dai primi tornanti e viene affrontata di buon passo dai tre ciclisti. In vetta arriva per primo Boldrini (tempo di scalata 43’57’’) che precede Caparrini (46’05’’ record personale assoluto) e Tempestini giunti appaiati.La sosta Pagni avviene al solito Bar dell’amico lento che per non smentire il suo nome si presenta in immancabile ritardo e incontra le solite difficoltà nel far funzionare il registratore di cassa: almeno dal punto di vista fiscale il nostro amico gestore risulta puntuale per quanto sia da ritenersi improbabile una verifica della Guardia di Finanza alle 10,30 di domenica mattina in cima al Monte Serra. La torta con ricotta e pinoli è comunque pienamente all’altezza della situazione.Il ritorno verso Empoli prevede il consueto passaggio da Montefalconi e viene effettuato ai soliti forsennati ritmi imposti da Boldrini nei ritorni domenicali.

Domenica 26/03/2000 * Uscita saltata per pioggia

I ciclisti dell'Empolitour non si fermano davanti a niente, ma con una giornata così, si rischiava l'annegamento; come dice il Presidente "quando si dice l'oggettività"


 

Domenica 12/03/2000 * GIRO DEL CASORE DI MONTE (dallo Zoo di Pistoia) * Km. 95

Percorso: Empoli - Vinci - San Baronto - Casalguidi - Toboga Chiarugiano - Pontelungo - Zoo di Pistoia - Casore di Monte (sosta Pagni) - Pieve a Nievole - Monsummano - Larciano - Lazzeretto - Cerreto Guidi - Empoli. (La cronaca del giro è stata redatta da due cronisti Caparrini e Bagnoli L.)

(Versione Caparrini) Alla partenza del consueto giro di Casore si presentano in rigoroso ordine di apparizione: Caparrini (estivo rinforzato), Tempestini (con ibrido asociale), Boretti (invernale puro), Boldrini (reduce dalla visione notturna del trionfo ferrarista e vestito con un improbabile completo invernale rinforzato, nonostante la giornata di sole, da inimmaginabili copriscarpa), Pelagotti (ibrido sociale), Bagnoli A. (ibrido asociale) a cui si aggiungono sul ponte di Sovigliana Bagnoli L. (estivo rinforzato da una antiestetica maglia bianca con maniche lunghe non rimovibili e da inguardabili calzettoni bianchi anni ’60) e Pagni (invernale alleggerito). Assenti il podista Chiarugi (alla ricerca di premi che gli consentano una riduzione di spese in vista dei prossimi esborsi per i nuovi costosi capi di abbigliamento Empolitour), Bertelli, impegnata nella festa di compleanno (sic), Magnani e Nucci, impegnati nella Gran Fondo di Montecatini. La prima salita, S. Baronto da Vinci, viene affrontata a passo sostenuto e sul G.P.M. Pelagotti precede allo sprint Tempestini. C’è tempo per assistere al passaggio della Gran Fondo di Montecatini e si attende lungamente lo scollinamento di Magnani e successivamente di Nucci. I due transitano in bello stile ed in buone condizioni fisiche ma in posizione di assoluta retroguardia, probabilmente causata dalla partenza nelle posizioni di coda dovuta alle continue limature di Nucci sugli orari di risveglio. Tra i molti che scollinano prima di loro si notano varie cicliste sovrappeso e non pochi ciclisti ultrasessantenni. I due recupereranno comunque in seguito molte posizioni e concluderanno la prova, in particolare Magnani, in posizione onorevole. A questo punto abbandona il gruppo Bagnoli A., in non perfette condizioni fisiche, ripiegando per un giro più breve pur con altre salite da non sottovalutare. Prima dell’inizio della salita di Casore di Monte, Tempestini resta, per l’ennesima volta, attardato da un salto di catena; nessuno si ferma ad attenderlo e così uno dei favoriti non può partecipare alla lotta per il G.P.M.. Sulla vetta passa per primo Bagnoli L. precedendo di pochi metri Pagni e Boldrini (in preda ad allucinazioni mistiche causate dal caldo prodotto dall’abbigliamento invernale). Il gruppo si riunisce al solito Bar del paese per la consueta sosta nella quale Pagni redarguisce la barista per la mancanza di Orangina (lo scorso anno era disponibile) e la costringe ad impegnarsi a contattare i propri fornitori in modo che gli assetati ciclisti dell’Empolitour possano usufruirne nelle prossime occasioni. Prima del ritorno a casa c’è ancora da scalare il Cerretino: Caparrini, Pagni e Boretti affrontano la salita con tranquillità discettando sui problemi dell’Universo, gli altri ingaggiano la solita battaglia che vede prevalere Tempestini allo sprint su Pelagotti.

(Versione Bagnoli L.) Presenti alla partenza di una mattina di incipiente primavera: Caparrini con completino estivo quasi puro e, in ordine alfabetico, i due Bagnoli, Boldrini, Boretti, Pagni, Pelagotti e Tempestini con abbigliamento quanto mai vario; si nota l'assenza di tutti i capitani e qualche inestetismo stagionale nel vestiario.Il S. Baronto viene affrontato con impeto dal terzetto Pagni, Tempestini, Pelagotti con quest'ultimo che prevale in volata. Radunato il gruppo si assiste al passaggio di Magnani e Nucci impegnati nella gara di Montecatini; essi sono incredibilmente preceduti sul GPM da donne, ciclisti obesi e in età avanzata: giungeranno rispettivamente al 200 e al 400 posto su 2000 partecipanti. Dopo l'interminabile passaggio del gruppo e l'ennesimo abbandono di Bagnoli A. si decide di affrontare la discesa verso Casalguidi assistendo sbigottiti alla picchiata degli ultimi concorrenti che rischiano la vita per la 1500-esima posizione. Si percorre il toboga quindi si sale verso Casore di Monte, principale salita della giornata dove Bagnoli L., Boldrini e Pagni prendono il largo; Bagnoli si impone con un perentorio allungo sull'ultimo falsopiano. Sosta Pagni classica al bar di Casore dove il Nostro si esibisce nella richiesta di un'improbabile Orangina mandando in confusione la pur volenterosa barista; subito dopo, munito di Fanta e crema abbronzante, si sdraia su una sedia di plastica a godersi il sole già primaverile ostentando tutto il suo disinteresse per la corsa "amatoriale" che passa a pochi metri. Del ritorno si segnalano nell'ordine: 1) la discesa kamikaze di Boretti 2) l'attraversamento di Monsummano a velocità folle 3) lo sprint di Tempestini che brucia Pelagotti sul traguardo volante di Cerreto Guidi.Una frazione dell'Empolitour si ritroverà allo stadio per assistere al derby con la Pistoiese...


 

Domenica 05/03/2000 * Giro del Malocchio * Km. 93

Percorso: Empoli - Fucecchio - Cavallaia - Chiesina Uzzanese - Pescia - Malocchio - Cozzile - Massa (sosta Pagni) - Montecatini - Monsummano - Larciano - Lazzeretto - Cerreto Guidi - Empoli.

Si presentano alla partenza del giro imperniato sulla salita che sovrasta l’abitato di Pescia: Caparrini (invernale alleggerito), Bagnoli L. (invernale alleggerito), Tempestini (con il primo completo estivo della stagione anche se supportato da un mai tolto sostitutivo), Boretti (invernale puro), Traversari (al ritorno dopo varie domeniche di assenza), Nucci, Boldrini, Bagnoli A. (tutti con completi invernali variamente alleggeriti), Bertelli (invernale puro). Nei pressi di Marcignana si aggrega Pagni. Assenti Chiarugi (impegnato in una corsa podistica che concluderà con un brillante quarto posto), Magnani (ormai a disagio con i ritmi cicloturistici dell’Empolitour e alla ricerca di nuovi gruppi con cui misurare il suo attuale stato di forma) e Pelagotti. Si giunge a Pescia con una media di 28,5 e si attacca la salita sparando a tutta. Sul G.P.M. scollina per primo Nucci con pochi metri di vantaggio su un sorprendente Tempestini, poi Boldrini, un Pagni in crescita e alla spicciolata tutti gli altri; il gruppo si riunisce davanti al solito cimitero di Malocchio la cui fontana ha visto per misteriosi motivi incrementare le proprie stelle (da 0 a 2). Si visitano poi i paesi di Cozzile (con sosta contemplativa, 4 stelle per il panorama) e Massa (con sosta Pagni che verrà descritta nell’apposita rubrica). Sulla via del ritorno si riesce a dribblare il centro di Montecatini nonostante i lamenti di Pagni, mai pago di soste omonime, ed in località Pozzarello, tra la sorpresa generale, si unisce al gruppo Pelagotti che giustifica pietosamente la sua assenza appellandosi al non suono della sveglia che lo ha costretto a ripiegare su una indecorosa uscita a tarda ora con scalata del San Baronto, in cui si è distinto per un alterco con un ciclista settantenne, ed un ansimata ascensione dei Papi. Il ritorno ad Empoli viene preceduto dal mangia e bevi tra Lamporecchio e Vinci con scatti continui e riunione generale del gruppo sugli stradoni di Vinci.


 

Domenica 20/02/2000 * Giro di Villamagna Iano * Km. 95

Percorso: Empoli - San miniato Basso - Molin d'Egola - La Serra - Corrazzano - Sughera - Tonda - San Vivaldo - Iano - Villamagna - Salita del Castagno - Gambassi - Castelfiorentino - Dogana - Empoli.

La mattina del dì di festa gli empolesi di Via Baccio da Montelupo sono consapevoli che la loro speranza di sonno sarà frustrata dal palpitante e fragoroso raduno dell’Empolitour. Commetterebbe comunque un sacrilegio chi volesse rimanere sotto coltre alla nascita di un giorno come questo, quando un gelido chiarore si spande nelle piagge ancora dormienti dopo una notte che è servita a dileguare una grigia pioviggine serale. E così dieci ciclisti non si sottraggono a questo dilettoso idillio e si presentano alla spicciolata in quest’ordine: Caparrini, Chiarugi, Bagnoli L., Nucci, Magnani, Bertelli, Tempestini, Pelagotti, Bagnoli A. e Boldrini. Si affronta un percorso disegnato da mano di artista fra le colline che tutto il mondo ci invidia ed è percepibile in circostanze come questa l’assenza dell’anima contemplatrice di Pagni impegnato in guardia notturna. Magnani, reduce da esibizioni di puro atletismo in gruppi eterodossi, tollera un’andatura festosa nei primi cinque chilometri e dopo ripetuti attacchi in pianura obbliga il plotone a percorrere tutta la valle dell’Egola col metodo dell’avanzamento rototraslatorio in doppia fila. Il passaggio di questa duplice schiera di ruote moventesi in armonica sequenza suscita un ammirato stupore negli sparuti abitanti di La Serra e Corrazzano ma ad Alberi di Montaione, quando si comincia a percepire l’acredine della prima salita, il gioioso marchingegno si sfalda. Ognuno resta solo sugli affannosi tornanti di Sughera. Nucci scatta subito. Chiarugi risponde con gli interessi. Magnani parte in sordina, li raggiunge al Castellare germanico di Tonda e, quando la strada si inoltra ascendendo pacatamente in una selva oscura, li abbandona in progressione. La cronaca "agonistica" è tutta qui. L’agevole valico di Bosco Tondo è infatti scalato separatamente dagli adepti della sosta-Pagni, che si fermano a Villamagna, e dai reprobi Magnani, Chiarugi e Bertelli che salgono con il passo di colui che pensa e guata discorrendo in libertà su tematiche di natura ciclistica e geografica. Nelle retrovie il debilitato e denutrito Pelagotti cade in uno stato di crisi esplosiva, anche un magnanimo come Caparrini non riesce ad andare tanto piano da stargli vicino ed è costretto a staccarlo. La pecorella smarrita è comunque scortata amorevolmente da alcuni compagni e ricondotta nel gregge che si era radunato a Castelfiorentino attorno all’inatteso Pagni. Evidentemente nemmeno una notte insonne avrebbe potuto negare ad uno spirito arcadico il godimento, sia pur simbolico, di tanta radiosa serenità.


 

Domenica 13/02/2000 * Giro di Peccioli * Km. 96

Percorso: Empoli - San Miniato Basso - La Rotta - Pontedera - Capannoli - S.Pietro in Belvedere - Terricciola - Peccioli - Villa Saletta - Palaia - S.Miniato - Empoli.

Siamo in quella parte del giovanetto anno quando la brina in su la terra assempra l’imagine di sua sorella bianca e l’Empolitour si raduna per raggiungere Peccioli tramite un contorto tragitto prevalentemente pianeggiante. Partecipanti in ordine di apparizione presso la sede sociale: Caparrini, Chiarugi, Bagnoli Lorenzo, Pelagotti, Pagni, Boretti, Boldrini, Bertelli e in extremis Bagnoli Andrea che viola l'anelata socialità con un rosseggiante giubbino. Nei 50 chilometri iniziali la salita è un’entità teorica. A parte un attacco simulato di Chiarugi sul dosso di S.Romano, finalizzato a preservare le venti dita da un’incipiente ipotermia, l’andatura si mantiene blanda favorendo la generale garrulità. Nella valle del torrente Roglio, Boldrini mette in fila il gruppo finché non viene colto da un incoercibile sovraccarico vescicale che lo costringe alla sosta. Ne farà altre due (a differenza delle codificate soste-Vinicio, le sue avvengono a cielo aperto sul ciglio della strada e non abbisognano di alberi o cespugli). La succinta salita di Santo Pietro in Belvedere crea una partizione in vari tronconi. I due Bagnoli, Bertelli, Chiarugi e Pelagotti si riuniscono sui saliscendi verso Morrona e Terricciola ma una distrazione dovuta all’imperizia geografica della Bertelli consente a Bagnoli L. e Pelagotti di attaccare in discesa e prendere il largo. Bertelli e Chiarugi si controllano, Bagnoli A. da buon velocista non tira e la fuga va a compimento a Peccioli dove la sosta-Pagni non avviene nella solita bettola da angiporto ma in un bar sotto un ameno porticato. Sulla via del ritorno, all’inizio della salita di Palaia, Chiarugi tenta un allungo dimostrativo che viene presto rintuzzato da Bertelli, Boldrini e il sempre più sorprendente Bagnoli L. che però sull’ultima rampa dopo Partino accusa un obnubilamento fisico fulmineo. L’ultima salita, che è il S.Miniato per otto noni del plotone e il Corniano per un nono, non si tinge di vivaci connotazioni agonistiche ed è sentita da molti come un travaglio inevitabile anche perché da un po’ di tempo è più facile emendare un articolo della Costituzione che modificare in itinere un percorso dell’Empolitour.


 

Domenica 06/02/2000 * Giro di Fiesole * Km. 80 * (Blocco auto a Firenze)

Percorso: Empoli - Villanova - Montelupo F.no - La Ginestra - Cerbaia - Chiesanuova - Galluzzo - Firenze -  Poggio Imperiale - Piazzale Michelangelo - Fiesole - Firenze - Scandicci - Lastra a Signa - Montelupo - Empoli.

Alla partenza Caparrini, Nucci e Boretti reduci da influenza, Bagnoli Lorenzo e Andrea, Goti, Beatrice con giubbino asociale, Tempestini e Boldrini. Defezione di Pelagotti influenzato. Al bivio per Villanova si aggiunge Traversari e più avanti anche Lambruschini e Leonardo Mazzantini con una fiammante bici rossa regalo dei cognati. Andatura tranquilla, anche troppo, fino all’attacco della "Vinicola" dove Beatrice allunga con il 53. Il gruppo si ricompatta e procede fino a Cerbaia senza sussulti. La salita del Chiesanuova vede nel primo tratto staccarsi un gruppetto in cui figurano Lambruschini, Traversari e Goti. Nel secondo tratto una Bertelli troppo brillante viene presto fermata da ordini di scuderia. In seguito si affronta la difficile discesa delle Gore in una atmosfera nebbiosa ed umida con la solita Bertelli a precedere la lunga fila indiana. Sosta al Piazzale Michelangelo con visione del panorama e prime preannunciate defezioni (Goti, Lambruschini, Andrea B., Traversari e L. Mazzantini). Gli altri si avventurano verso il centro della Città senza traffico. All’attacco del Fiesole si scatena la solita bagarre a cui non partecipano i più affaticati. La prevista sosta al Blu Bar non ha luogo perché il Bar è chiuso, si decide quindi di scendere ed andare all’arrivo della corsa podistica a Maiano dove un raggiante Paolo Chiarugi ci accoglie dandoci notizia del suo secondo posto alla gara podistica. Alla sosta Pagni partecipano solo quattro ciclisti. Ritorno tranquillo alla stratosferica velocità di 31 – 32 Km/h, unica nota un Massimo Boldrini insolitamente logorroico ed urlante a funestare la marcia di avvicinamento a casa.


 

Domenica 30/01/2000  *  Giro di San Polo  *  Km. 98                                                                                                     
Percorso: Empoli - Villanova - Montelupo F.no - La Ginestra - Cerbaia - Chiesanuova - Galluzzo - Grassina -   S.Polo in chianti - Strada in Chianti - Ferrone - Falciani - San Casciano - Cerbaia - La Ginestra - Montelupo - Empoli.  
                                                      
                                                      
Tempo incerto; clima umido ma non freddo; defezioni classiche per minaccia di pioggia; il gruppo è composto da Bertelli, Caparrini, Chiarugi, Magnani, Pagni, Pelagotti, Tempestini, partenza alle ore 8,45, ormai da quando il Pagni viene da Bassa abbiamo dimenticato uno degli orgogli dell’Empolitour, cioè la precisione negli orari. La prima parte del percorso è svolta ad andatura medio bassa, solo sul Chiesanuova, Magnani e Pelagotti provano l’allungo lasciando il gruppo per strada, mentre gli altri salgono senza grossi strappi. La discesa verso il Galluzzo è scivolosa e umida, solo la Bertelli riesce a scendere ad una andatura normale, il recente volo del Pagni, proprio su questa strada induce quasi a mettere il piede a terra. Non è bello il percorso prima di Grassina, molto transitato, la salita verso San Polo non si dimostra durissima anche se alcuni strappi consentono a Magnani e Chiarugi di prendere un centinaio di metri sugli altri atleti. Sorprende il buono stato di forma di Pelagotti che nonostante riesca a pedalare solo due volte la settimana non si stacca di molto dai due più allenati ciclisti; da segnalare Tempestini che all’inizio della salita fa saltare la catena al suo cancello pregiudicando una buona prova. Il ritorno è senza grosse forzature, solo la salita dei Falciani viene presa a buona andatura, ma il gruppo rimane abbastanza compatto.