ANNO 2002

 

22/12/2002 Adeste fideles

 

A guardarla da lontano sembrava una lunga carovana di dromedari curvi e gibbosi, guidata da un mastodontico cammelliere col turbante giallo, ma le schiene bianche, i fianchi azzurri e le sole zampe posteriori motrici tradivano la loro vera natura di ciclisti in pellegrinaggio.

In una calda grotta del villaggio pedemontano di Ruota, anni or sono avevano depositato un’icona votiva che li rappresentava belli e corruschi nel più fulgido istante della loro vita terrena. Quella foto era molto più di un semplice quadretto commemorativo, perché era dotata di proprietà che ad occhi profani potrebbero sembrare magiche. Si trattava infatti di una matrice iconica a congelamento spazio-temporale con incorporato generatore materializzante di ologrammi. Una foto, si dice, immortala; quella lo faceva alla lettera. Era stata creata con una macchina capace di sospendere le esistenze in uno stato di ibernazione digitale. Gli uomini, cioè, erano conservati dentro quell’immagine in una forma di vita eterna e incorruttibile, mentre i loro ologrammi, caduchi e mortali, si distaccavano dalla matrice per condurre, come proiezioni discrete, l’esistenza mondana e corruttibile che agli occhi degli altri appariva indistinguibile da una normale esistenza biologica. Sennonché i privilegiati ciclisti avevano la possibilità di ricaricarsi di tanto in tanto, semplicemente ricongiungendo i loro ologrammi a quella matrice ontologica, e così facendo avrebbero rigenerato le loro vite nell’attimo reso perpetuo dalla macchina infernale posseduta da uno di loro.

Semplicemente si fa per dire, perché per guadagnarsi questo bizzarro dono d’immortalità avrebbero dovuto ripresentarsi al cospetto dell’icona votiva con le stesse bici e gli stessi abiti originali, sobbarcandosi una scalata di 4,4 chilometri che a detta degli esperti non era molto socievole. Non si poteva barare, che so, arrivando in macchina vestiti da messa, perché sarebbe mancato l’indispensabile riconoscimento fra il nucleo immortalato e la sua proiezione terrena. La tattica dei nostri ciclisti era perciò quella di tornare periodicamente a Ruota in bici rivestiti dalle stesse e spesse livree con cui erano rimasti impressi quel dì; ed era necessario farlo piuttosto frequentemente, un po’ come quelli che si tingono i capelli, perché sennò i mortali si sarebbero insospettiti da cambiamenti improvvisi e radicali, e poi, lasciando trascorrere troppo tempo tra un ritorno e l’altro, gli ologrammi e le loro bici si sarebbero eccessivamente deteriorati, col rischio di non essere riconosciuti, o peggio, di non essere più nemmeno capaci di superare l’ostica e decisiva salita.

Fin qui l’aspetto scientifico della leggenda. Poi si sa come vanno le cose, gli uomini non si accontentano dei fenomeni troppo razionali della natura e tendono ad invocare comunque la superstizione in soccorso alla loro ignoranza. Pertanto attorno a quell’icona s’era creata un’aura di misteriosa taumaturgia che in breve tempo la rese un frequentatissimo oggetto di culto. Il popolino di Ruota aveva sparso voci incontrollate su questi baldi ciclisti che, come angeli piovuti dalla terra, venivano a ringiovanirsi nel loro locale centrale ed unico, dove solevano rifocillarsi con le offerte e i sacrifici dolciari lasciati nella grotta dai fedeli laeti triumphantes. Fedeli, che lusingati da questo mito della foto dell’eterna giovinezza, accorrevano a adorarla sempre più numerosi. Naturalmente il meccanismo di ringiovanimento funzionava soltanto coi dodici semidei in posa nel quadretto, ma questo la gente non lo sapeva, o se lo sapeva faceva finta di non sapere, per non privarsi almeno di una fonte di speranzoso misticismo.

Ruota era diventata la Lourdes del Monte Serra e nella grotta della visitazione era sorto un angusto bar governato da una bionda pia donna, l’unico essere aciclistico che era stato immortalato nella fatal posa e che non aveva nemmeno bisogno di durare fatica per godere dell’azzeramento spazio-temporale; le bastava non cambiare mai abito, trucco o pettinatura davanti alla reliquia, tenuta in bella mostra sopra una mensola dove bottigliette mignon di Stock 84 e Sambuca Sarti l’adornavano come lampade votive.

Si vociferava però che la grotta fosse destinata al cambio di gestione perché la bionda pia donna si sentiva ormai disposta ad accontentarsi del prezioso sistema anti-invecchiamento ed a cedere il business dei fedeli ad una compaesana cui velatamente aveva fatto credere che la coabitazione con l’icona, alla lunga le avrebbe permesso di eliminare dagli occhi le borse e le zampe di gallina.

Ad Empoli i ciclisti vennero a sapere di questo ritiro all’eterna vita privata della barista e vollero organizzare un pellegrinaggio speciale a Ruota, non solo per l’annuale ricarica degli ologrammi, ma anche per un doveroso tributo alla donna insieme con la quale avrebbero attraversato migliaia di generazioni future. E tanto era forte il richiamo mistagogico, che si aggregarono alla santa carovana anche altri ciclisti che nella foto non comparivano e che quindi avrebbero scalato invano il colle di Ruota , tornando a casa più vecchi e più stanchi che pria. Probabilmente anche fra gli stessi semidei la conoscenza del meccanismo funzionale selettivo della matrice era stata soppiantata da una più irrazionale credenza pluralistica.

Gibbosi come dromedari tredici ciclisti sfilavano dunque nell’aria brumosa d’inverno nascente. Guidava la spedizione il mercante arabo Al-Caparh che svettava su tutti con un immane turbante giallo fosforescente, antisudore e antinebbia, necessario perché col suo respiro talmente possente e tempestoso sollevava banchi impenetrabili di densissimo vapore. Pare che Al-Caparh commerciasse proprio in aria. Vendeva cioè alle città inquinate l’aria salubre delle alte quote che raggiungeva con la sua statura ed immagazzinava negli smisurati polmoni. Suoi collaboratori fidati erano due cavalieri bizantini, Kiarukgeco, detto geco per la sua predilezione a scalare muri come la tarantola, e il pungente e velenoso Nuxur detto Nux, come la nux vomica da cui si estrae la stricnina. Della fortunata schiera degli ologrammi facevano parte anche il lord inglese Boldrake detto Ufo Robot, perché si diceva che non fosse un ciclista umano ma un razzo missile con circuiti di mille valvole, e tre filosofi greci della scuola eleatica, Tempestinocles, Barikides e Borectos, il ciclista erectus poiché per le sue poco evolute capacità atletiche non era classificabile come ciclista sapiens. Essi erano rigorosi sostenitori del principio riduzionistico e metonimico di non commensurabilità dello spazio, secondo cui l’infinito è uguale al finito, l’insieme al sottoinsieme, il tutto alla sua parte e quindi un percorso ridotto è perfettamente identico ad uno intero. C’erano anche il menestrello germanico Günther, dotato di occhiali costruiti con le lenti del telescopio spaziale Hubble, la bella pastorella Bertella Bretella, così detta per le caratteristiche bretelle a lunghezza regolabile da due spilloni da balia, e sua santità Papa Magnus, detto Pagnus con la crasi, un opulento magnate, anzi màgnate alla romanesca, perché era onnivoro ed insaziabile, ed approfittava di queste opportunità di ringiovanimento corporeo per abbandonarsi fra un pellegrinaggio e l’altro all’ingrasso più dissoluto.

Venuto a conoscenza di questa processione, il patrizio romano Borculus si era voluto aggregare con due famigli al seguito, poiché Al-Caparh gli aveva promesso l’esecuzione di un’altra foto a raggi cronostatici, senza però confessargli che la prodigiosa macchinetta era in possesso di Pagnus, le cui probabilità d’arrivo in cima a Ruota, con la stazza ultimamente conseguita, erano minime. Borculus era comunque interessato a sfilare in carovana per sfoggiare le sue pregiate stoffe. Possedeva infatti un campionario d’indumenti talmente vasto che per provare un abito almeno una volta nella vita ne indossava cinque o sei uno sopra l’altro fino ad apparire grasso quasi quanto Pagnus. I suoi servitori erano l’implume Puccinus o Pulcinus, data la sua inesperienza ciclistica e il glabro Avunculuspuccini, un altro homo novus di Ruota nonché zio del giovine Puccinus cui aveva trasmesso l’antico mestiere di schiavo.

La salita di Ruota si avvicinava come un’entità sovrumana, ma pochi la temevano perché, se anche vi si fosse pedalato fino a morirne, lassù nella grotta i corpi sarebbero resuscitati davanti alla loro immagine generatrice. I tre filosofi discettarono a lungo sulla consistenza della salita. Ammettendo, dicevano, che la sua pendenza sia del 10%, noi possiamo supporre di ridurla di una quantità infinitesima senza modificarla. Per esempio, possiamo portarla al 9,99% senza che nessun ciclista noti la differenza fra 10% e 9,99%. Ma così è vero anche fra 9,99% e 9,98%, fra 9,98% e 9,97% e così via fino ad arrivare allo 0,01% che è indistinguibile dallo 0,00%, cioè la pianura. Pertanto la salita è uguale alla pianura e con lo stesso metodo possiamo dimostrare che qualsiasi distanza è uguale a zero, che il lontano è uguale al vicino e il pedalare al non pedalare. La foto dunque è già stata raggiunta senza arrivare lassù nella grotta. Insomma, Borectos, Barikides e Tempestinocles tornarono indietro a dieci chilometri da Ruota senza ringiovanire ma fortificati assai dalla coerenza del loro ragionamento.

Eliminata la nota infingardaggine di Borectos, il problema a questo punto non era arrivare in cima, ma farci arrivare Pagnus che si muoveva con preoccupante inerzia fin dal primo cavalcavia. Al-Caparh decise allora di scortarlo ininterrottamente respirandogli alle spalle, che dal punto di vista di Pagnus era come pedalare con un vento a favore di cento nodi. I ciclisti arrivarono nella grotta della visitazione in condizioni pietose perché ognuno, con la scusa di poter riportare il corpo allo status quo ante, s’impegnò a duellare col prossimo suo in maniera cruenta. E così Boldrake fu avvelenato da Nux, Borculus attaccò furbescamente Al-Caparh e Bretella, e Al-Caparh, distratto da tutti questi attacchi, si dimenticò di Pagnus che per non affondare gettò via tutta la zavorra di dosso, compresa la preziosa macchinetta cronostatica. Arrivarono nella grotta talmente sfigurati dalla fatica che i fedeli seduti a pregare sui tavolini neanche li riconobbero, e sulle prime non li riconobbe neppure la pia barista, anche se poi fu insospettita dal fatto che questi dieci madidi ciclisti, appena entrati si misero a saccheggiare le dolci offerte votive conservate sotto una teca di vetro.

In alto campeggiava la sacra icona, bella e portentosa, piena d’impronte di dita e di labbra, soprattutto sulla zucca lucida di Boldrake che si diceva portasse fortuna toccare e baciare. Tutti allora fissarono intensamente la foto, poi si fissarono l’un con l’altro per apprezzare l’effetto della metamorfosi. Fissarono in particolare Pagnus, loffio e manducante, per assistere al suo dimagrimento, ma qualcosa andò storto. Pagnus era troppo più grasso dell’originale e non fu identificato dalla matrice, Günther indossava un’avveniristica tuta spaziale che non compariva nella foto, Kiarukgeco aveva usato una bici troppo più lussuosa, mentre Al-Caparh, Nux e Boldrake, che alla partenza si erano vantati di pedalare nel solstizio d’inverno con la maglietta primaverile, si accorsero troppo tardi che nella foto posavano col giubbino invernale. Morale della favola, nessuno ringiovanì. Anzi no, solo per Bretella il meccanismo funzionò ma ebbe effetti impercettibili perché la sua bellezza terrena non era soggetta al benché minimo degrado. Dovette soltanto aggiustarsi le spille delle bretelle perché il mutamento le aveva fatto ricrescere e sollevare un po’ le tette. Gli altri, invecchiati ma non afflitti perché comunque c’era ancora la possibilità di scattare altre foto magiche, quando seppero che Pagnus aveva gettato l’ordigno in un fosso, si frenarono dalla tentazione di divorarlo solo perché erano già satolli di dolciumi. Andò a finire che posarono in una normale foto cartacea prima che arrivasse l’arcangelo Trasachele che se li portò via tutti nella sua nube bionica. Ma prima ricevettero dal sindaco di Ruota una scrittura per il presepe vivente del 26 dicembre. Puccinus ottenne la parte di Gesù Bambino, Avunculuspuccini quella di San Giuseppe e Bretella ovviamente quella della Madonna. Pagnus avrebbe impersonato il bue e Boldrake l’asino; Borculus il centurione romano, Günther il suonatore di cornamusa. Il ruolo dei Magi toccò ad Al-Caparh con l’oro, a Nux con l’incenso e la mirra a Kiarukgeco che finalmente dopo 37 anni capì che roba fosse.


15/12/2002 Principe o Re Travicello?

 

Sarebbe stato meglio tacere l’accaduto, per rispetto della fama di carismatico condottiero e moderatore meritatamente acquisita dal nostro presidente Caparrini sui decennali campi di ciclismo, ma crediamo che un insuccesso marginale, come quello che ha dovuto oggi sopportare, possa servire d’illuminante lezione per i futuri e più importanti appuntamenti. Ed è per questo che lo invitiamo alla lettura del seguente brano tratto dal Principe di Machiavelli.

“Resta ora a vedere quali debbano essere e’ modi e governi di uno principe con li sudditi e con li amici allorquando sieno partiti con li velocipedi per un itinere primieramente scritto et accettato da tutti… Se adunque, per malaugurato accidente l’aere comincia a perdere una pioviggine leggiera tosto che lo cammino s’è da pauche milia intrapreso, uno principe bisogna che abbi uno animo disposto a volgersi secondo ch’e’ venti e le variazioni della fortuna li comandano e non partirsi dal bene, potendo, ma sapere intrare nel male, necessitato. Et etiam si curi di non incorrere in periculosi tentennamenti, mettendo in discussione con li sudditi ciclisti, proponimenti et ordini che alla partenza essi iudicarono buoni.

Quanto sia laudabile in uno principe mantenere la fede nello percorso dato e perseguirlo con integrità non ostante lo volubilissimo et instabile umore de li sudditi, ciascuno lo intende; non di manco si vede per esperienza, ne’ nostri tempi, quelli principi che della fede hanno tenuto poco conto e che hanno ceduto a’ lamenti delli uomini, et alla fine sono tornati indrieto da’ loro disegni, e per volerne contentare alcuni, non ne contentarono niuno, sicché lentamente ruinorono trascinando seco nella ruina anche li sudditi virtuosi. Perché, oltra alle cose dette, la natura de’ ciclisti è varia, et è facile a persuadere loro con lo benigno tempo, ma è difficile a comandarli nelle intemperie, massime se la milizia è composita da un intiero branco di lavativi che si lascia intimorire da paulule gocciole d’aqua.”

Era uno dei peggiori incubi che angustiava le notti del presidente: avere alla partenza un copiosissimo stuolo di proseliti ciclisti e vederseli portare via, uno dopo l’altro ad ogni bivio, dalla neghittosità loro e del clima. Nella sua crudeltà il destino è stato compassionevole perché ha sì avverato l’incubo, ma lo ha fatto in una fase stagnante della stagione, quando le mete sono deprezzate e le perdite di chilometri non feriscono la competitività della squadra, che rasentando la nullità, difficilmente può peggiorare per un banale allenamento mancato o ridotto.

Eppure alle 8.40 il cielo e la copiosa milizia non promettevano una giornata così uggiosa e abortiva. Ce n’erano tanti e di ogni estrazione atletica. Caparrini era riuscito a combinare alcune presenze che simultaneamente sono rare quanto le congiunzioni astrali, vedasi il quintetto Bagnoli L., Boretti, Giunti, Pagni, Pucci la cui probabilità d’incontro è stimata circa 1/5! (0,008333); era riuscito a convincere ancora due ospiti già collaudati come Borchi e Ziodipucci ed aveva riconfermato il quintetto dei più stabili, Bertelli, Boldrini, Chiarugi, Nucci, Tempestini.

Sembrava tutto così normale fino alle prime gocce sugli occhiali del presidente, che hanno cominciato ad appannargli le lenti insieme con la mente. S’è visto subito un Caparrini stranamente inquieto vagare con lo sguardo fra il grigiore delle nubi e le facce già rinunciatarie di alcuni sudditi, e nondimeno vagare con la bici, in cerca di vane opinioni concordanti e confortanti, da una parte all’altra del gruppo che si stava pericolosamente frammentando secondo le varie fazioni decisionali, oscillanti fra gli irrevocabili del “tirem innanzi” e i nichilisti del “torniam a casa”. Nel mezzo stava un’indeterminata sfumatura di “cambiam percorso” o “decidet voi”, che si sarebbe potuto facilmente plasmare con la volontà incontrovertibile d’un condottiero forte e astuto. In quel momento il gruppo aveva bisogna di un principe machiavellico e s’è ritrovato invece un re travicello, sballottato di qua e di là dal ghiribizzo dei singoli e dall’illusorio inseguimento di sprazzi celesti che si trasformavano ben presto nelle nubi imbrifere che si volevano fuggire.

In breve, Caparrini ha terminato un macchinoso e piovigginoso inviluppo sul Montalbano con 3 soli sudditi e 60 soli chilometri, tutto questo per venire incontro a quattro o cinque lavativi che alla prima occasione gli sono scappati di sotto il naso per rifugiarsi in una pasticceria del centro. Caparrini è troppo buono, ma dovrebbe imparare qualcosa da Machiavelli. “Ma quando el principe è con li eserciti et ha in governo multitudine di soldati, allora al tutto è necessario non si curare del nome di crudele, perché sanza questo nome non si tenne mai esercito unito né disposto ad alcuna fazione. Intra le mirabili azioni di Annibale si connumera questa, che, sendo alcuni soldati sostati contra el suo volere in una hosteria per manducare et uccellare, elli prese lo capitano de li rebelli sostatori, lo impalò coram populo e poscia cavolli dallo stomaco sventrato tutto lo lardo e li dolciumi ch’el miserrimo aveva ingurgitato.”

Meditate, Pagni e Nucci, meditate.


01/12/2002 Dopo il Giro di Pulcinella

 

Il tracciato del Giro 2003, che tutti già conoscevano, ora lo conoscono anche gli altri. Il segreto di Pulcinella è stato finalmente svelato con la solita teatrale messinscena milanese che ci regala un’unica carnascialesca sorpresa, il monte Zoncolan affrontato dalla parte sbagliata, quella planare ed anodina che sale da Sutrio e si beffa dell’opposta ascensione mistica di Ovaro, dove si sarebbero esaltate le virtù sopranaturali di molti ciclisti, pagati e paganti. Un vero spreco di risorse geografiche. Difficilmente si potrebbero trovare nella letteratura mondiale esempi altrettanto eclatanti di sottoutilizzo di un oggetto pregiato. Ci vengono in mente, tanto per restare in casa Empolitour, la lussuosa Pinarello dell’ipopedalante Boretti, il ciclocomputer pluriaccessoriato dell’insipiente Pagni o le paia di fette biscottate Mulino Bianco consumate da Bitossi nel contesto d’una luculliana colazione a buffet. Li abbiamo citati anche per cominciare da chi non c’era ed entrare subito nell’attualità del nostro ciclismo, evitando ora e per sempre altre fonti d’amarezza che il ciclismo degli altri a volte ci propina.

“Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi”. Lo diceva Neruda senza pensare al fondamentalismo topografico dell’Empolitour che ogni tanto si difende da questa morte lenta inserendo nel suo ripetitivo girovagare qualche effimero bagliore d’estro. Come la piccola salita di Santa Cristina in Salivolpe, così denominata dagli antichi, convinti che soltanto uno snello e astuto animale a quattro zampe potesse percorrerla senza ribaltarsi. Noi non abbiamo lo Zoncolan, ma possiamo pensarlo estendendo con la mente questo impervio tratturo qualche migliaio di metri più in su verso il cielo. In realtà la salita è una misera rappresentazione in due atti intervallati che nella loro fierezza massima non superano i cinquecento metri. Una caratteristica di queste due succulente porzioni è la presenza, a distanza di circa un chilometro l’una dall’altra, delle cosiddette “svolte gemelle”, due rampe curvilinee di nobile pendenza identiche fra di loro, cosicché il ciclista, se viene respinto dalla prima, può subito ridare l’esame sulla seconda ed ottenere la licenza sull’ultimo strappo rettilineo e viscido prima di un cartello di stop che tutti a quel punto sono ben lieti di rispettare ossequiosamente. I duri di comprendonio possono invece ridiscendere a valle da San Pancrazio e ripercorrere la salita con un breve circolo virtuoso finché non la imparano.

Dal punto di osservazione dello stop si può passare in rassegna tutta la scolaresca. Vediamo così Chiarugi torturare la catena con un pesantissimo ventuno, Nucci guaiolare dolorosamente come la volpe di Santa Cristina, Boldrini barrire secernendo bile mentre mazzola crudelmente i pedali, Tempestini biascicare impettito sul sellino, Borchi digrignare disteso sulla canna, Bertelli avvampare con le chiome zampillanti di sudore, Giunti sibilare come un oboe contralto, Bagnoli L. divincolarsi sulla carreggiata con andatura anguillesca che impedisce al retrostante Caparrini di seguire una lineare traiettoria convulsiva accompagnata da un bel fiato di lamentose trombe pentavocaliche (ah, eh, ih, oh, uh).

Caparrini arrivato allo stop parla di salita insensata. Così gli risponde ancora Neruda. “Lentamente muore chi non rischia la certezza per l’incertezza per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati”. Il Salivolpe era un consiglio insensato a cui Caparrini per fortuna non è rimasto sordo. Si è così guadagnato dieci minuti in più di vita da spendere su una di quelle salite lunghe e regolari che gli piacciono tanto. Nell’affrontare questa insensatezza il presidente non temeva per sé. Sa di essere invulnerabile con quell’ampio e rotondo ventinove in mezzo alla ruota, e sotto sotto forse si diverte, anche se non lo ammetterà mai. Temeva per i suoi discepoli più deboli che si sarebbero potuti sdegnare davanti a quelle masochistiche impennate. Invece alla fine li abbiamo visti tutti rosei e arzilli a cominciare dal veterano Borchi (la cui debolezza è però tutta da dimostrare) che ci sta prendendo gusto, con quella maglietta di lana anni settanta nascosta sotto una larghissima casacca giallo-rossa. Pagni è avvertito. Un’altra assenza impropria e perderà il titolo di medico sociale, non quello di arconte eponimo delle soste perché Borchi si è già schermito e non è affatto disposto a nutrirsi di lardo di Colonnata dopo una salita.


17/11/2002 Strane presenze

 

In tale e tanta abbondanza d’odierne presenze, vogliamo cominciare con l’assenza, quella di Nucci il quale, per giustificarla, invece di mandare il certificato medico ha mandato direttamente il medico, l’esimio Borchi nazionale in bici e calzamaglia invernale. Si narra che Nucci la settimana scorsa si sia distinto in due fughe silenziose che aspettano ancora un perché. Il caso, psichiatrico, è stato subito archiviato dai compagni, da tempo adusi agli stati ciclotimici del segretario. L’unico che non l’ha presa bene è stato Boldrini vittima, pare, durante una singolar tenzone sul San Gimignano, di un' annaffiatura a base di maltodestrine sulla nuda capoccia da parte del suo più pungolante avversario. Borchi, non convinto di poter certificare la sanità mentale di Nucci, gli ha così imposto una pausa di riflessione, diplomaticamente sorretta da un presunto ascesso gengivale.

Le stranezze della giornata finiscono poco dopo la partenza, quando Caparrini fa la conta e scopre una maggioranza d’inattesi. In un grigiore smorto e poco promettente i più attesi erano Boretti e Tempestini, molto in sintonia con questi climi, Tempestini perché è corridore da bagnato, Boretti perché è corridore smorto. Dalle premesse si capisce che non si sono visti. Boretti non sorprende poiché, essendo inattendibile, quando è atteso non si presenta. Ma poiché noi sappiamo, in virtù della sua inattendibilità, che quando è atteso non dobbiamo attenderlo, allora diventa automaticamente attendibile, perché basta attenderlo quando non è atteso. Insomma, se è attendibile, è inattendibile; se è inattendibile, è attendibile. È un paradosso logico di autoreferenzialità, come quello del barbiere che rade solo quelli che non si radono da soli e quindi egli stesso, se si rade non può radersi, se non si rade può radersi. L’attesa di Boretti come la rasatura del barbiere porta ad una situazione indecidibile. Tempestini, che a differenza di Nucci, Boretti e dello stesso narratore, è persona normale e ammodo, sicuramente avrà avuto giustificazioni normali e ammodo, come febbre, diarrea o impegni coi figlioletti.

Si diceva dunque di un collegio di presenti insoliti. Oltre alla minuta e tenace sagoma di Borchi, Caparrini vede apparire, in ordine decrescente d’incredibilità, Bagnoli L. su strada bagnata, Boldrini, Giunti (altri due tipi da ciclismo asciutto), Pucci con lo zio e un omino che sembra Peppiniello di Capua da vecchio e il bionico Trasacco nonostante l’inverecondia del percorso. Baricci, Bertelli e Chiarugi che erano invece attesi sono anche venuti, mentre Pelagotti assolutamente inatteso, non è assolutamente comparso come gli succede ormai da mesi.

Tutti quanti bastavano per tirare su un gruppo pachidermico, salutato spesso dai clacson di guidatori riconoscenti; ma può anche darsi che qualche presenza ci sia sfuggita, perché di tanto in tanto, per l’irresistibile lentezza di marcia, s’impaniavano nelle maglie del plotone altri eterodossi, e non era facile capire la differenza fra l’occasionale e lo stabile. Per esempio, uno con fascia paraorecchie e mountain bike a ruote fini s’è aggregato e disgregato con la stessa indifferenza altrui. Un altro dai lineamenti atletici e invernali ha risvegliato Trasacco e la velocità sul Chiesanuova mentre Bagnoli e Caparrini di lì a poco si sarebbero estirpati i manicotti per gigioneggiare beatamente estivi, per giunta Bagnoli coi pantaloncini a giro-vita senza bretelle di cui esistono ancora rari esemplari dimenticati nei bauli di qualche anziano ciclista.

E a proposito di anziano ciclista, per dimostrare la caducità dell’odierna compagine anche Peppiniello di Capua svaniva nel nulla prima di San Donato in Poggio, meta di una sosta Pagni dai risvolti irripetibili, poiché per la solita caducità delle relazioni umane, Bertelli Chiarugi, Borchi e Trasacco decidevano di eluderla filando via col favore dello scirocco e delle zie che attendevano la Bertelli.

Eludere la sosta Pagni con l’Empolitour è come imboccare la corsia d’emergenza in autostrada durante una coda: è un atto considerato delittuoso che ti fa arrivare molto prima e più speditamente a destinazione mentre tutti gli altri fermi ti additano con disdoro. Però è un ebbrezza da provare almeno una volta nella vita.  


03/11/2002 ACLI

 

Atti Ciclistici Liberamente Interpretati. Se dopo due giorni sostituiamo il ciclismo muscoloso di Boldrini e il ciclismo impulsivo di Pucci col ciclismo ridanciano e bulimico di Pagni, è prevedibile che oggi si parlerà poco di ciclismo. Il fatto di aver usato questa parola già quattro volte può bastare, pur ricordando a coloro che soltanto adesso si fossero messi in ascolto o in visione, che i personaggi qui citati, inseriti in un contesto umano più generale di quello strettamente ciclistico, si possono definire a buon diritto atleti, capaci di pedalare su un centinaio di chilometri di ameni colli senza perdere per intero il ben dell’intelletto. Detto dunque della formazione schierata, molto simile ma più godereccia e rilassata di quella d’Ognissanti, veniamo alle riflessioni a ruota libera che si perdono in un altro cielo bigio e asciutto, gli odori e i rumori del quale, senza l’interposizione turbativa di Boldrini, si riescono a percepire nella loro pienezza.

Azzarda Caparrini L’Inseguimento. Ovvero, i paradossi di Zenone. Riuscirà la ruota di Caparrini a raggiungere quella della Bertelli? La domanda è meno paradossale di quanto sembri perché in questo caso Achille Caparrini è più lento della tartaruga Bertelli la quale, oltre a pedalare a scartamento ridotto per scelta viscerale, indossa il sudorifero carapace della maglia a maniche lunghe, nonché il gonfio e penzolante basto da manubrio che vale poco meno di un rimorchio. Sulla salita di Tonda osserviamo la ruota d’Achille dietro a quella della tartaruga guadagnare prima un metro, poi mezzo, poi un quarto, un ottavo, un sedicesimo e così via senza mai raggiungerla. Zenone aveva ragione, fra Caparrini e Bertelli c’è un’incolmabile distanza d’infiniti tratti sempre più brevi, accompagnati da respiri caparriniani sempre più lunghi.

Attrezzo Computerizzato Largamente Inutile. Ovvero la sindrome di Hal. Pagni rinnova orgogliosamente un computerino di bordo che, oltre al banale ruolo di tachimetro, odometro, altimetro, clinometro, contapedalate e cardiofrequenzimetro, offre a personale non specializzato anche le funzioni di defibrillatore, sonar, astrolabio e laser a eccimeri. Inoltre, contrariamente alle teorie di Alan Turing sull’intelligenza artificiale, è dotato di uno speciale programma di autocoscienza che lo porterà, dopo qualche mese di inutilizzo, a ribellarsi all’insipiente acquirente. Il costo dell’oggetto, sommato a quello del corso semestrale d’addestramento all’uso, è dieci volte superiore al valore attuale della spartana bici Daccordi che lo trasporta. Come ama dire icasticamente il presidente, un maiale col fiocco.

Avambraccio Coperto Liberismo Incerto. Ovvero, l’entelechia del manicotto. A parte l’improvvida Bertelli, tutti gli altri in questa mezza stagione si beano di tale sacrosanto indumento, spesso oggetto alla partenza di amletici algoritmi decisionali di tipo dicotomico (manicotti sì, manicotti no). La ratio ontologica del manicotto risiede nella sua estirpabilità secondo la legge del tutto o nulla. Quando è in funzione, il manicotto deve ricoprire l’arto dal processo stiloideo del radio all’articolazione scapolo-omerale, quando è disattivato deve essere estirpato dal braccio e ripiegato nella tasca omolaterale. Questa è la sintesi del dogma secondo Bagnoli L. e il suo adepto Caparrini i quali, una volta denudate le braccia, non tornano mai sui loro manicotti, e questo spesso avviene ante motum, nel senso che i manicotti rimangono a casa. Sono riprovati dai puristi i ripiegamenti volontari a fisarmonica sul polso, come si sono visti fare a Nucci in salita, perché sottintendono indecisione e possibile resipiscenza, e massime, sono considerati dannosissimi i cali involontari della circonferenza elastica prossimale sul bicipite, che creano fra manica e manicotto l’esposizione di carne viva, soggetta così a corrente d’aria detta iperbolicamente bora. Tempestini (nomen omen) è stato l’esempio più palese di effetto-bora coi suoi manicotti neri a barlaia, ma l’effetto era talmente palese che ancora si pensa che fossero erroneamente gambali. Per scongiurare l’effetto-bora, molti, fra cui lo stesso Caparrini, utilizzano il metodo supra manicam anziché l’ortodosso sub manicam. Sulla legittimità di tale variante si attende ancora il giudizio del comitato etico che ha già espresso parere negativo sull’uso a permanenza perpetrato da Chiarugi; perché nell’entelechia del manicotto sta la sua provvisorietà e chi lo indossa deve prima o poi estirparlo, altrimenti cade in un reato di pavidità più grave di quello commesso dalla Bertelli con le sue maniche lunghe, poiché col manicotto a permanenza si pecca due volte: una per aver coperto le braccia, una per non averle poi scoperte pur essendo possibile.

Assai Copiosa Libagione Interciclistica. Ovvero, il compromesso storico. Laddove non riuscì Berlinguer, è riuscita l’Empolitour. Il primo cambio di bar nella storia delle soste Pagni è avvenuto a Villamagna, tra il Circolo ARCI, privo di paste, e il Circolo ACLI, fornito di un curioso manufatto battezzato sul momento pesca doppia. A vederlo sembra una specie di scroto d’elefante zuccherato in superficie. È simmetrico e molliccio, costituito da due sferoidi appiccicati insieme da un budello interno. Separandoli, ma soprattutto addentandone il fine involucro, rimaniamo stupefatti da una ridondanza di crema mai vista prima. Lo stesso Pagni, titubante sulle sue capacità di consumazione integrale del pezzo e deciso così inizialmente a spartire i due sferoidi, dopo il primo morso di crema decide per un compromesso storico: non uno scroto intero ma due sferoidi di due scroti diversi, sviscerati per il resto anche da Nucci e Bertelli.

Che dire della salita finale di Bosco Tondo? Atleti Corpulenti Lentamente Incedono. Ma comunque Abbiamo Corso Lietamente Insieme.


01/11/2002 Fenomeni periodici

 

Passano gli anni, i mesi e se li conti anche i minuti. Nella tavola dei fenomeni periodici dell’Empolitour la costante di tempo ha come unità di misura la settimana. Ci sono due cicli ciclistici isocroni e sfasati di un giorno: quello della domenica che tutti conoscono e quello del sabato che rientra fra le regole non scritte e che Caparrini non ha mai voluto istituzionalizzare per timore di trasmettere un’immagine troppo allenata della sua squadra. Questa impermutabile ciclicità conforta assai l’indole circolare del presidente e il suo amore per i ricorsi e per un ciclismo armonico semplice, quello che prima o poi ripassa sempre dai punti fissi. Può compiere un’orbita lunga come una cometa, ma ripassa.

La festa infrasettimanale è però un turbamento temporale che mette a dura prova le riserve geografiche del presidente, costringendolo a piccole deviazioni dal rito antico ed accettato, per dimostrare al pubblico di non essere affetto da quella perniciosa sindrome detta leblanchismo, dal nome dell’organizzatore del Tour che ogni anno ci stupisce col suo spirito d’innovazione degno di fotocopiatrice.

Era dai tempi remoti dell’esistenza in bici del ciclista interruptus Centola, che non si passava da San Gervasio, una variante studiata per presentare sotto nuova luce località come Palaia, Peccioli e Montefoscoli ed annesse insipide salite. Senza contare il primum movens di tanta ardimentosa riproposizione, e cioè l’Orangina-unovirgolazerotre di Montefoscoli.

San Gervasio è un paese che nessuno vede ed una strada che conserva inalterate le stesse buche di dieci anni fa. Passano gli anni, i mesi e se li conti anche i minuti. È triste trovarsi adulti senza essere cresciuti. Ormai non cresceremo più. Allora c’erano Caparrini, Bagnoli L., Nucci e Chiarugi. Oggi c’erano Caparrini, Bagnoli L., Nucci e Chiarugi. Accompagnati da Bertelli, Boldrini, Pucci e Tempestini che a quei tempi non erano nemmeno nati.

Sì, oggi c’era proprio Bagnoli L., non è una finzione letteraria. Era proprio lui, in carne (molta), ossa (molto coperte) e completino estivo (molto alleggerito). Anche lui è un fenomeno periodico e la sua unità di misura è il quadrimestre. Si rivede in qualche sessione d’esame per l’ammissione al Giro, poi trascorre lunghe pause aciclistiche, concedendosi, si dice, fra un innesto e una potatura, qualche frettoloso studio del Pietramarina. È un esempio paradigmatico del principio di conservazione della massa. Dopo dieci anni ha riassaporato le buche di San Gervasio con la stessa bici Colnago, gli stessi copertoncini Vittoria, e gli stessi pantaloncini neri fuori corso. Stupisce semmai la sua evoluzione toracica. Per la prima volta ha infatti abbandonato la primordiale maglietta-lenzuolo con scollatura decimetrica, per l’evoluto modello con incernieratura bisecante. Continua però ad esibire cappellini flosci e rigonfi come i medievali cappucci a foggia, che si premura di aggiornare ai cromatismi di squadre professionistiche in attività, giustificando così le sue tormentate partecipazioni al Giro.

Di solito la presenza di Bagnoli L. dà fomento alla narrativa grazie alle sue proverbiali crisi cartesiane, quelle in cui la res cogitans rimane separata dalla res extensa (nel suo caso molto extensa) mentre assiste indifferente al suo collasso probabilistico. Qui il discorso si fa complicato. Come le particelle elementari che secondo la meccanica quantistica esibiscono complementariamente proprietà di onda e di corpuscolo, allo stesso modo anche Bagnoli L. può definirsi un fenomeno quantistico. Egli pedala in una sovrapposizione di stati, mentale e materiale, e può prevedere in anticipo quando il mondo esterno, sotto forma di salita, decreterà il collasso della funzione d’onda fisica, lasciandolo pienamente estrinsecato nella sola funzione mentale. In altre parole, è la strada che decide, come un osservatore sperimentale, quale aspetto di Bagnoli L. sia misurabile, ed in genere è quello mentale in salita e quello corporeo in pianura ma soprattutto in discesa, dove si riconduce ad un fenomeno di meccanica classica e la sua speditezza è spiegabile banalmente dalla fisica newtoniana col concetto di massa gravitazionale.

È innegabile che tutti oggi aspettassero una bella crisi prosaica di Bagnoli L., ma qualcosa non ha funzionato. La capacità di prevedere la crisi dipende dallo sviluppo di un sistema di equazioni differenziali che tiene conto del suo stato di allenamento tendente a zero e dei dislivelli del percorso, anch’essi oggi tendenti a zero. Quando Caparrini ha annunciato la cassazione dell’ultima salita di San Miniato, in favore d’un annacquamento pianeggiante della minestra risultata troppo corta a causa dei calcoli errati del topografo Chiarugi, si è subito capito, da una serie di atteggiamenti fin troppo espliciti di Bagnoli L., che quello sarebbe dovuto essere il cruciale punto di collasso. Non si spiegano altrimenti i suoi attacchi liberatori in pianura insieme allo psicopatico Nucci, i piegamenti ritmati delle braccia coi pugni staccati dal manubrio ed i saltelli sulla ruota posteriore come un gioioso fanciullo. È questa un’altra dimostrazione del fenomeno di complementarietà quantistica fra mente e corpo: quando il corpo diventa l’essenza predominante, è la mente che collassa.


20/10/2002 Chianti non fermentato

 

Prepariamoci a declamare un ennesimo carme bucolico, nel nome di un ciclismo agreste, leggero, rarefatto, discreto e misurato come quello che l’Empolitour sta cercando di teorizzare e divulgare alle masse. C’erano ospiti illustri ad osservarci, addirittura il bionico Trasacco, infusore di potenza e celerità in tutti i gruppi visitati, addirittura Cerri, direttamente maturato dal recente indimenticabile Tour, addirittura il nobile Seripa de Roma, migrato apposta insieme alla squadra di calcio per l’importanza dell’evento.

Non potevamo sfigurare davanti a tanti autorevoli occhi e non l’abbiamo fatto. L’Empolitour ha dato il meglio di se stessa: ha imposto un’iniziale andatura podistica, ha sfoggiato una caotica garrulità multidisciplinare, si è scorporata su ogni rilievo, ha prodotto una bella dimostrazione di riduzionismo di massa, si è superata nelle esemplari lungaggini della sosta-Pagni, dotata di ogni regolare attributo ontologico, paste ridondanti, tramezzini viscidi, bibite imbevute, unzioni appuzzanti, mescolanza catartica coi degenti del bar Italia di Castellina, fra i quali è stato estratto il malcapitato fotografo per l’esecuzione del risibile doppione iconografico, e per finire, di fronte all’incolmabile cumulo orario, ha sfoderato una salva d’accelerazioni di ritorno ad ogni pensiero di familiari in ansiosa attesa prandiale.

Non abbiamo sfigurato. Trasacco e Cerri sono rimasti fino in fondo, resistendo alle innumerevoli tentazioni di fuga a velocità ciclistica. Seripa, pedalando silenzioso dentro pantaloni color topo, incamerava altri tasselli di bel mondo da appendere nella sua già ricca pinacoteca della memoria ciclistica. Perché questo era il Giro del Chianti, che è il giro bucolico per eccellenza, dedicato quest’anno al dio Pan, protettore delle campagne e dei pastori; e noi infatti abbiamo pedalato come un mansueto gregge che transuma, raccolto intorno al vigile e lento incedere di Caparrini, lungo l’immodificabile sentiero luminoso della Classica di Chiusura.

Un cammino ritenuto troppo audace da una quaterna di riduzionisti, Baricci, Boldrini, Boretti e Tempestini che si ormeggiavano nella rada di Greve, privando la storia, chi di sobillazioni e intrighi tattici, chi di deflagrazioni e disfacimenti fisici. Un cammino contemplativo per tutti gli altri che si sono inebriati nel Chianti al ritmo di un saporoso livellamento, in un impegno strenuo per la causa di anonimato comune da cui siamo riusciti ugualmente ad estrarre alcuni interessanti, seppur non inediti, dettagli.

Il ponzamento di Caparrini. A noi che lo conosciamo non fa più paura, ma per un ospite ignaro è un’esperienza stupefacente udire, come scriveva Annibal Caro “il fiato ansio scotendo le gravi membra e l’affannata lena”. Chi cerca d’imitarlo per burla rischia l’alcalosi respiratoria.

La metamorfosi della Bertelli. Chi la vedesse per la prima volta stenterebbe a scorgere in lei l’ascetica donna proiettile dei tempi andati. Ha consumato una razione epicurea di viscido tramezzino, pasticcini, bibita e caffè non inferiore a quella del pontefice massimo Pagni. In discesa è rimasta incollata alla ruota di Caparrini, che equivale a viaggiare in autostrada dietro un’Ape, una suora o un omino col cappello.

Il giubbino di Busoni. Questo infrequente partecipante ha nell’Empolitour solo un’interiorità di riserva. La vera sua essenza è esteriore, nel casco e nel giubbino rossonero gonfiabile dove si legge GUMASIO MTB, il gruppo che nell’empolese insegna l’applicazione alla mountain-bike della filosofia eroico-godereccia propugnata sull’asfalto dall’Empolitour.

I calzini di Pagni. Si cade in basso ma era superfluo parlare della sua voracità o delle sue carenze atletiche. Mentre è rimarcabile che, dopo la lana merino, il filo di Scozia ed i collant, egli sia riuscito finalmente ad approdare ad un paio confacente all’attività ciclistica.

L’attendismo di Nucci. È lì che vivacchia fra l’incudine del valente scalatore e il martello degli agenti patogeni, di cui ogni anno è insuperabile collezionista. A Radda prova a misurarsi con Trasacco eseguendo un’imitazione molto veritiera di respirazione caparriniana.

Il fuoco di Pucci. Scalcia come un puledro sulle prime rampette e fa bene, perché vivacizza una corsa altrimenti stagnante nel grigiore della mediocrità. Ma quando va in crisi lo scoprono subito perché non fa in tempo a sentire la fatica nelle gambe che il suo volto s’attizza di vampe. Cosa che avviene puntualmente a Radda.

L’acqua di Giunti. La regolarità delle sue pisciate è un fenomeno ancora da studiare che sta destando interesse fra gli scienziati. Dai primi dati a nostra disposizione si prefigura un habitus originale rispetto ai precursori Vinicio (pisciatore praecox) e Boldrini (pisciatore esibizionista perseverante). Le ipotesi fisiopatologiche sono ancora svariate e fantasiose (servomeccanismo cronobiologico, feed-back sensoriale con l’ambiente o semplice scusa per fermarsi quando il gruppo va troppo forte).

Il carisma di Chiarugi. Quando ha deciso di svoltare a destra per intraprendere un’imprevista ed estrosa scorciatoia per Radda con punte di pendenza minima del 10%, fidando in un accenno di proselitismo, non solo nessuno l’ha seguito, ma molti nemmeno si sono accorti della sua assenza. Ci meritiamo lo Zoncolan.

Questa era la Classica di Chiusura. Da domenica nuova vita con l’Empoli-Lucca, più piatta del mondiale di Zolder. Ci meritiamo Cipollini.


13/10/2002 La luce dell’est

 

Accade troppo spesso negli ultimi tempi che l’Empolitour pedali come un singolare più che un plurale, come un amalgama di particelle diverse ma coese da una forte attrazione gravitazionale. Vediamo il gruppo modellarsi sulla strada priva d’asperità ed avanzare con movimento ameboide, perdendo raramente qualche propaggine che subito si riaggrega come fanno le gocce d’olio sull’acqua. È il trionfo dell’idillio ecumenico che depura il ciclismo dalla fatica e lo avvicina alle delizie conviviali. Forse non saranno d’accordo quelli come Boretti e Pagni, che anche in questi arcadici frangenti penano di sudori reali, ma il concetto ha comunque valore didattico. Se poi la natura si offre complice agli sguardi di festosa mansuetudine, allora ogni elemento pulsatile di questo coacervo semovente può vivere istanti di silenziosa emozione, riscoprendo con gli occhi del fanciullino le bellezze della semplicità. Si scoprono per esempio mille ragnatele luccicanti di nebbia e pensiamo a quante timide vite di ragno si nascondano fra gli innocenti arbusti. Il ragno non conosce l’esistenza del ciclista come l’insetto. Ad eccezione di qualche esemplare che dimora da mesi negli anfratti della Colnago di Bagnoli L., il ragno non ha occasione di interagire con chi pedala. L’insetto può urtare, pungere, annegare nel sudore o nelle lacrime, perdersi nella maglietta o soffocare in gola. Ecco la differenza fra insetti e aracnidi, che nessuno ci ha mai spiegato alle elementari.

Si sente che mancano i sobillatori Boldrini e Nucci. Al loro posto sono arrivati Battisti e Mogol. La nebbia che respiro ormai si dirada perché davanti a me un sole quasi caldo sale ad est. La luce si diffonde ed io questo odore di funghi faccio mio. Era proprio così. Entrati in Poggibonsi, dopo piatti chilometri freddi e opachi, un venditore ambulante di funghi è apparso insieme alla luce dell’est ed allora un multiforme ciclista collettivo formato da dieci particelle, s’è reso chiaro e distinto. Egli muoveva la testa con la fascia giallo-putrido di Caparrini e il tovagliolo profumato di sebo di Boretti. Stringeva il manubrio con i guanti bianchi da cameriere di Chiarugi. Fendeva la nebbia con gli occhiali anabbaglianti di Giunti. Si proteggeva le cosce dall’umidità coi gambali autoreggenti della Bertelli e i piedi coi copriscarpa da Gatto con gli Stivali di Pucci ma aveva braccia livide e orripilate come quelle ignude di Pagni. Per farsi scorgere nella bruma si era profumato col dopobarba di Bagnoli A. e rumoreggiava con le ganasce masticando la cilingomma di Tempestini. Qualcuno giurò d’aver visto anche la polvere degli sterrati di Busoni miscelarsi al vapore acqueo e poi svanire prima che la luce dell’est potesse dimostrare questa rarità.

Il composito e scomposto ciclista sulla salita di Cipressino si allungò, mettendo avanti la testa di Chiarugi e indietro il culo di Boretti, gli antipodi dell’attuale atletismo, separati sulla vetta di Barberino dal solo spogliarsi di gambali. Divorò quindi otto paste non assortite con la dentiera di Pagni e sorseggiò altrettanti caffè, per intraprendere tonicamente il cammino di redenzione dalla fiacca. Battisti e Mogol rividero la veste dei fantasmi del passato, ovvero la veste bianca del biancocrinito Castiglioni e poi quella di Nucci, che sembrava proprio vero nel cimentarsi con un giovinetto espositore, senza tema d’inverecondia, di una suppellettile a foggia di roseo casco ricevuta in dono durante una manifestazione ciclobubbonica denominata Pedalata Rosa. Sembrava tutto così vero che i due sprintarono pure con Tempestini per la conquista dello storico traguardo volante di Montelupo Sud. E il viso di Nucci, dopo questo sforzo sovrumano, arse come un sole rosso acceso, quello che aspettavamo da ore.


06/10/2002 Uno virgola zero tre

 

“Così dai distrutti sentieri e foschi prese nome il paese di Montefoscoli”. L’insegna davanti ad un tabernacolo chiamato “La Figuretta”, nei pressi del Tempio di Minerva Medica, offriva sul ciglio della strada una lunga storia etimologica da cui abbiamo estratto la conclusione, mentre la Bertelli era intenta a trafugare polline e il gruppo s’allontanava verso Palaia dopo una lauta sosta. A Montefoscoli non esistevano finora esperienze d’approdo. Qualche rotta di bassa stagione tutt’al più poteva lambire i suoi rilievi. Non come Palaia, dove sono conservate tracce d’Empolitour risalenti al periodo fetale. Palaia ha una fama extraterritoriale. Non solo per le ciliegie. Mia mamma di fronte ad una richiesta o ad un evento inaspettatamente esorbitante, suole esclamare con ironica costernazione “Meglio Palaia!”, come per dire, “Ci mancava anche questa!”, e non ne ho mai capito il perché. L’espressione è abbastanza diffusa in Alta Valdelsa ma non compare nel Piccolo Vocabolario Empolese curato dal nostro Lambruschini.

Abbiamo così scoperto che Montefoscoli deve il nome ad una giornata come quella in cui l’abbiamo conosciuto, fosca appunto, bisognosa di manicotti (Caparrini, Chiarugi, Giunti), di maniche lunghe (Bertelli, Boldrini), di gambali (Tempestini) o di braccia ignude (Pagni). Doveva toccare a Castelfalfi la mezzora di raccoglimento con sfilata intra moenia per abbeveraggio, ma con stupore e disappunto apprendiamo che pure gli spettatori di rally sono organismi eterotrofi, che cioè abbisognano di nutrimento dall’esterno per la loro attività contemplativa di rombi e polveroni. Si pensava ragionevolmente che coloro che stanno fermi a guardare le macchine campassero di fotosintesi clorofilliana non di pane e salame acquistato nei bar. E invece è grazie all’invadenza di una di queste mandrie pascolanti nell’unico bar di Castelfalfi che si è scoperto Montefoscoli. Un ripiego folgorante, una rampa di lancio pungente prima del paese arroccato ed incognito nel quale molti nutrivano dubbi sull’esistenza di un bar o esercizio equipollente per soste-Pagni.

Cominciamo bene. Affisso alla saracinesca sprangata del circolo ARCI c’è un foglio bollato dell’Ufficio Igiene della Provincia di Pisa. Ma niente paura, paese che vai Bar Sport che trovi, e questo si trova in Piazza del Gelso, dieci metri quadri densi d’umanità fra Via del Prunalbo e Largo del Corbezzolo. A Montefoscoli non devono vivere molti ciclisti, a giudicare dagli sguardi degli astanti quando atterra la pattuglia dell’Empolitour, cicliste men che meno, poiché gli stessi sguardi scivolano repentinamente dalle Gazzette e i Corrieri al culo della Bertelli. Il brusio s’infittisce mentre quelli che sembrano principi azzurri si tolgono i regali copricapo ed entrano a ritmo di tip-tap nel locale. Ma un prolungato vocalizzo di Caparrini mette a tacere la platea. È lei. Nell’inconfondibile bottiglietta a pera da 33 cc, 30 di vetro più 3 di liquido, si materializza l’Orangina. Il gestore la utilizzava come motivo ornamentale accanto alla frutta d’alabastro, con identici fini alimentari. A volte riusciva ad infilarvi uno stelo di tulipano finto, perché aveva notato che quelli veri col succo a disposizione, sebbene dolce ed energetico, seccavano dopo pochi minuti. Quando il presidente gli spiega che nel cuore di tanto vetro smerigliato alberga una bevanda d’elevatissimo valore affettivo e commerciale, acquistabile in Francia a non meno di 2,5 € a flacone, e quando gli comunica di volerne ordinare svariati pezzi, l’attonito barista corre in un vicino rifugio antiatomico, dove ricorda di aver depositato alcune casse di tali preziose bottigliette da usare contro il nemico al posto delle granate, e poi riemerge con le armi in mano per distribuirle ai già dissetati ciclisti, che bevono per voluttà non per sete, poiché l’Orangina per definizione asseta i dissetati, i quali nell’attesa spasmodica di un sorso di tale decantata bibita salivano copiosamente come i cani di Pavlov, perdendo dalla bocca ingenti quantità di liquidi che naturalmente non saranno mai reintegrati da quei 3 cc d’aranciata.

Quando escono in piazza i ciclisti trovano tutta la popolazione desta di Montefoscoli ad attenderli, e cioè una quindicina di unità fra cui cinque opinionisti stanziali, che danno un rapido ripasso al culo della Bertelli, quattro comari accorse all’uopo, il fotografo ufficiale che presta subito servizio, la direttrice del museo della civiltà contadina, un espositore con la stadera arrugginita ed una mamma con un cinquenne, l’ultimo nato nel popoloso borgo che, Caparrini ha giurato, sarà oggetto di numerose altre visitazioni. L’Orangina ha potere chemiotattico sull’Empolitour. E il titolo? Siccome il barista non aveva idea di quanto potesse costare una bottiglietta per assoluta mancanza di precedenti vendite, ha dovuto improvvisare un prezzo equilibrato di uno virgola zero tre: un euro per il vetro e tre centesimi per l’aranciata.


29/09/2002 29 Settembre

 

Seduto in quel caffè Pagni non pensava a te. Nel caffè dei Priori a Volterra l’arconte annusava pensieri meno umani. Pensava al ritorno come ad un verdetto e intanto un possente disco pieno di salame si disintegrava nelle sue fauci attonite. Guardava un trentatré giri di schiacciata che girava intorno a sé. Poi d’improvviso lui sorrise e ancora prima di capire si trovò sul valico di Boscotondo, indenne. La sentenza era già stata pronunciata: innocente. Pagni è ancora un ciclista. Scarso, ma ciclista e di quelli orgogliosi. Tacciano ora e per sempre coloro che maliziavano sulla sua presunta estinzione o conversione alla randa. I suoi flaccidi e villosi garetti rivestiti di patetico calzino bianco lanoso continueranno ancora a trasmettere ai pedali la loro stentata esistenza priva d’allenamento e l’Empolitour sarà ben fiera di abbassare la velocità ed alzare la sosta pur di non perdere negli oscuri quartieri della malavita il patriarca del ciclismo epicureo. Bisogna soltanto adeguare i nostri mezzi. La Bertelli ha saputo che per le vie di Londra girano reparti di medici ciclisti col defibrillatore sulla bici. Qualcuno si dovrà attrezzare all’uopo se vogliamo che Pagni partecipi a pari condizioni d’impreparazione atletica al prossimo e più lungo giro del Chianti. Se poi venisse anche Bagnoli L. ne potrebbe approfittare.

Intanto però l’arconte, tomo tomo, quatto quatto, s’è guadagnato questo preludio senza allenamento versare. E in ciò sta un perverso meccanismo d’autocelebrazione, perché egli sapeva ed esigeva che la totale abnegazione al giro lo avrebbe innalzato ai sommi fasti della cronaca dopo mesi di penoso anonimato, dal quale vanamente tentava d’emergere con qualche frusto morso a panini col lardo. Questa citazione letteraria, insomma, è la causa, il movente, non l’effetto della sua impresa che si colloca senza enfasi al confine dello shock cardiogeno. I suoi compagni hanno vissuto di fama riflessa e le loro vicende sono tutte connesse con rigido determinismo alla sua volontà primaria e incontestabile.

Anche la recrudescenza del riduzionismo, pur senza il capostipite Bagnoli L., può essere spiegata secondo questa logica causale. Quando a San Gimignano Pagni si è votato inopinatamente al percorso integrale, tutti hanno capito senza troppi calcoli che il ritorno a casa sarebbe stato posticipato di almeno un’ora. Ed è così che anche tre ciclisti attualmente dignitosi, come Bagnoli A., Baricci e Tempestini, hanno preferito girare un cortometraggio insieme al pingue Pelagotti, il quale umanamente, tanto più lontano non sarebbe potuto andare con quel fagotto anteriore che in posizione arcuata di sforzo sui pedali urta ripetutamente fra la pipa de manubrio e la canna.

Con sobria fierezza Caparrini osserva che il blitz di Pagni fa pendere la bilancia a favore degli integralisti, 5 a 4 grazie all’apporto scontato di Bertelli, Boldrini e Chiarugi. Anzi, 6 a 4 perché compare anche il compare debilitato Nucci in macchina. Boldrini è la solita selvaggina erratica. Impallinato da Chiarugi a San Gimignano, s’invola da solo verso Volterra, conversa con le auto d’epoca parcheggiate in piazza dei Priori, beve il suo inveterato ed invetriato caffè, starnazza, piscia e fugge via per sempre spargendo effluvi d’olio canforato dalle cosce adamantine.

Un sole ingannevole illumina l’agonia di Pagni. Le sue braccia ignude s’increspano nel vento frigido. Già, il vento. Si sale verso Boscotondo a velocità che sarebbero appropriate ad un Mont Ventoux, rimpiangendo però la sua calura, almeno questo brama Chiarugi che non riesce a togliersi i manicotti. La Bertelli scorge in lontananza i soffioni di Larderello, Chiarugi ode in vicinanza i soffioni di Pagni, ma siamo già in cima. Altri trenta chilometri propizi consegneranno Pagni nuovamente al ciclismo che lo stava impazientemente aspettando insieme alla sua bici piena di sporcizia fossile.

Giornale Radio: ieri 29 settembre Pagni ha percorso 127 Km alla media di 22 Km/h, senza farsi mai spingere. Una nuova canzone, un remake ha inizio da oggi e sarà incisa su enormi dischi pieni di salame.


08/09/2002 Gola profonda

 

“Se quattro ore vi sembran poche provate voi ad ascoltar. E capirete la differenza fra pedalare ed ascoltar”.

S’intravede un autunno caldo nell’Empolitour, un autunno di lotte e rivendicazioni sociali. I sindacati hanno infatti giudicato insufficiente il pacchetto di riforme presentato domenica scorsa ed hanno subito presentato altre proposte rivoluzionarie che mirano a tutelare le fasce più deboli. In particolare s’annunciano duri scontri, con comizi, manifestazioni di piazza, girotondi e scioperi selvaggi sulla legge delle quattro ore.

Il totalitarismo dialettico di Boldrini sta portando all’esasperazione le classi uditive meno tolleranti. “Provate voi” dicono i fautori di questa mozione “ad ascoltare per ore ed ore le ininterrotte e stridule orazioni di Boldrini”. Egli è loquace di default, e nessuno lo vuole snaturare, ma ci sono giorni, come oggi, in cui tracima. Un tempo le conversazioni in bici, tanto osteggiate dai clacson impazienti, si svolgevano in coppie o terne con casuale rimescolamento degli interlocutori e degli argomenti. Ora si osserva un unico oratore, Boldrini, che rimbalza da un ascoltatore all’altro senza requie, perché la resistenza uditiva al suo timbro di voce ed alle sue tematiche è limitata a pochi minuti anche nei più allenati, ed è naturale che ognuno tuteli la propria incolumità auricolare fuggendo o defilandosi.

Difficile è spiegare in poche parole i fondamenti della retorica boldriniana. Si sente in lui una forte avversione per i sofisti ed il loro concetto di eloquenza come sterile compiacimento della parola ornata e dissociata dal pensiero. Boldrini dice quel che pensa e lo dice in maniera schietta e disadorna, sottomettendo il lessico alle proprie peculiarità verbali ed emozionali. Se per i sofisti la parola aveva funzione psicagogica, era un rapimento dell’irrazionale, un’estasi metrica, un allettamento melodico, per Boldrini la parola è uno sfollagente, è come uno sparo nel silenzio, un motorino con la marmitta rotta, la frenata di un treno merci, un allarme antiaereo, una nota a squarciagola di Nucci.

Per questo si è resa necessaria la proposta di legge delle quattro ore. Sarà concesso ad ogni ciclista di parlare per non più di quattro ore consecutive col rispetto di due pause sindacali di mezz’ora. Nella fattispecie di Boldrini le due pause dovranno durare due ore ciascuna. Il governo presieduto da Caparrini non può rimanere sordo a questa proposta che ha più l’aria di supplica.

In margine a questo fondamentale disegno legislativo l’odierno giro fra le notissime asperità di Palaia, Villamagna e Iano, frequentato da quasi tutti gli stessi parlamentari della scorsa settimana, ha offerto pochi altri interventi degni di menzione. La Bertelli ha nuovamente proposto il famoso body conturbante, in stato di ormai avanzata lisi posteriore, che perciò lascia nitidamente trasparire due rosee mele. In caso di riproposizione sarà forse opportuno un regolamento sulla turnazione dietro la sua ruota. Pagni, visibilmente provato, ha chiesto una settimana di tregua, non dalle fatiche del pedale ma dal suo personaggio che gli impone di mangiare lardo di Colonnata dopo una salita anche quando sarebbe intimamente desideroso di un digiuno o di un digestivo Antonetto. Bagnoli A. e Boretti, dopo le brillanti dimostrazioni di fedeltà all’integralismo nelle ultime settimane, hanno richiesto come norma transitoria e finale di vietare la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto partito riduzionista. Ma si sa come va la storia di questi partiti disciolti che sono peggio della Fenice. Non per nulla Bagnoli L., ancora una volta annunciato ma assente, dai suoi lidi oziosi pare stia già meditando il progetto di una RR, Rifondazione Riduzionista.


01/09/2002 Riforme istituzionali

 

Tira aria di riformismo in sede Empolitour. Preso atto dell’odierno svolgimento dei fatti ciclistici, il presidente Caparrini pare intenzionato ad apportare sostanziali ritocchi allo statuto sociale, lui che è sempre stato devoto all’usitato, al noto ed al rifatto. Più che di riforme si tratterebbe di un adeguamento del diritto alle cose, in base alla risaputa strategia permissivista di liberalizzare ciò che non si può reprimere.

Il ritorno di Pagni, Boretti e Giunti, i primi due mirabilmente bradicinetici dopo mesi di stasi, al posto dell’indestabile Pelagotti, di una flemma ulteriore ed unanime ha accresciuto il gruppo, già provato dalla pochezza altimetrica di domenica scorsa, ed ha introdotto ex novo o consolidato a duratura memoria alcuni momenti evolutivi che ora il presidente a voce di popolo dovrà tradurre in regole. Questi in sintesi i principali argomenti che passeranno al vaglio del pensiero legiferante di Caparrini per rendere più nuova la stagione ventura.

I crediti fermativi. Per risolvere la spinosa questione dei ritardi alla partenza sarà consentita una gestione individuale bilanciata di anticipi e posticipi. Gli anticipatori godranno di un bonus mensilmente cumulabile, pari ai minuti d’arrivo in anticipo sull’orario tabellare, che potranno spendere in termini di ritardo nelle quattro settimane successive, dopodiché sarà azzerato (altrimenti quelli come Chiarugi potrebbero arrivare a vantare debiti d’attesa di qualche ora). Lo spunto è nato da Pagni che dopo una vita di posticipi ha deciso di presentarsi in sede quindici minuti prima guadagnando un equivalente credito fermativo, nel senso che la prossima settimana potrebbe tenere il gruppo fermo ad aspettarlo per altrettanto tempo, senza che la Bertelli riverberi la sua martellante argomentazione dei favoritismi cronologici concessi all’arconte e non a lei. Piuttosto, per sua fortuna, il corrispondente debito fermativo per ora non verrà sanzionato con nessuna misura d’anticipazione coercitiva.

Il legittimo sospetto. Tutti siamo sfiorati dal legittimo sospetto che Boldrini sia una fava, quando lo vediamo filare via dal gruppo senza voltarsi o attendere nevroticamente e poi fuggire spazientito per la troppa attesa. Ma sappiamo che non è così. Egli è mite ed affabile, forse troppo ingenuo nel credere ancora che con l’Empolitour si pedali per allenamento. La legge sul legittimo sospetto verrà però incontro alle sue straripanti esigenze atletiche. Qualunque ciclista potrà ricusare i compagni di viaggio anche ante motum, se non li riterrà all’altezza delle proprie cosce e potrà andarsene via col proprio superiore passo senza voltamenti o snervanti attese itineranti, con l’obbligo però di percorrere la strada pattuita (perché se gli inferiori compagni dovessero malauguratamente raggiungerlo egli subirebbe la pena del nocchino multiplo sulla nuda zucca) e di fermarsi ad Empoli per un’unica e finale attesa nel bar pattuito per la sosta-Pagni post motum, unica concreta e innovativa riforma fra tutte quelle presentate.

Morae sunt multiplicandae praeter necessitatem. Ovvero, completa liberalizzazione delle soste senza necessità di giustificazione o preallarme. Divide et impera, pensa Caparrini. Bisogna dare a tutti un po’ di potere e di visibilità, la sosta-Pagni istituzionale non basta più. Nucci e Bertelli premono da tempo per farsi intitolare una loro tipologia di sosta, Giunti, dopo il vano tentativo di Boldrini, cerca di sostituire l’estinto Vinicio dalla toponomastica delle soste minzionali. E poi ci sono quelle che nascono d’istinto, come la sosta sepolcrale di Pagni e Boretti al cimitero degli americani, per provare una globale ed antica sintonia col loro status cadaverico insorto già dopo trenta chilometri e un Chiesanuova come massima asperità. Ma poiché i cimiteri non sempre sono aperti, per istituire nuove soste bisogna consolidare quelle già esistenti de facto anche se non ancora de iure, come la sosta post motum in qualche elegante ed affollato locale a degustare aperitivi, vini, orangine et similia. Le sanzioni per gli inadempienti si preannunciano severe, anche al limite della vendetta divina. Chiarugi, per esempio, che si è sottratto con protervia al rito, dopo un chilometro ha forato, constatando in mezz’ora d’imprecazioni l’inanità della minipompa tascabile (moderno artificio molto utile a livello teoretico come conforto illusorio dall’idea d’appiedamento, che nelle moderne biciclette sostituisce l’antiestetica pompa lunga da telaio la quale, a differenza della minipompa, era anche in grado di gonfiare una gomma) e finendo l'avventura sul cerchione.

Il falso in bilancia. Tutte le dichiarazioni mendaci riguardo al proprio peso saranno depenalizzate. Così Caparrini, che dichiara un minimo storico di 87 Kg, non sarà perseguibile. Sulla massa di Boretti bisogna invece intendersi, rispolverando le nozioni di fisica sulla differenza fra massa inerziale e massa gravitazionale. Quella che dichiara la sua bilancia non fa testo, non è la massa pedalante. Chi lo ha spinto per tutta la salita di Luiano, pensando che l’eterea densità della sua Pinarello potesse compensare le dense adiposità dei suoi lombi, ha fatto male i calcoli e si è trovato fra le mani il macigno di Sisifo.

Incentivi per la purezza chilometrica. Alla luce del secondo percorso integrale consecutivo di Bagnoli A. (compiuto tutto a propulsione propria) e di questi nuovi servizi di propulsione impropria elargiti dai più allenati, i riduzionismi non dovrebbero avere più ragione d’esistere. E comunque i percorsi dell’Empolitour continueranno ad essere talmente inverecondi che sarà moralmente molto duro ridurli. Per avere piena applicabilità questa legge dovrà però passare all’esame della commissione brevimirante presieduta dal riduzionista principe Bagnoli L. di cui s’annuncia imminente ritorno.


25/08/2002 Come sono diventati

 

Li abbiamo lasciati liberi un mese o poco più e già sono altri. Sembrano uguali come le strade che sono tornati a solcare insieme, ma sono altri.

Via Baccio si ripopola di ciclisti segnati dal tempo nei corpi o nelle anime, alcuni coperti ancora dalla polvere dell’ozio, altri con colori sociali sbiaditi da tanti recenti sudori, ma nessuno è uguale a come l’avevamo salutato.

Caparrini non è più lui dal triste episodio della pizza irredenta di Carpentras. Un mese di sedute psicanalitiche, tra fritture di totani e blandi ammolli salmastri, non è servito a rimuovere il trauma. Alla partenza s’infervora su banali questioni d’economia calcistica per sviare la propria coscienza dal nocciolo del cruccio, ma si vede che non è più lui.  Con l’ingrasso repentino di Pelagotti ha perduto anche la soddisfazione del primato ponderale. Ma il divario è minimo, non s’affligga, c’è tempo e pizza per rimediare e dimenticare.

Chiarugi pare il solito indefesso. Quel che gli avanza, elargisce a piene spinte a chi i suoi allenamenti agostani stenta ad eguagliare in un anno. Eppure non è solo nel volto corrugato dall’asfalto del Col d’Allos che egli è diverso. Una cert’uggia come quella dell’Innominato lo sta pervadendo. La conversione è forse prematura, ma intanto tolleranza e rassegnazione lo rendono imbelle ed incapace di affermare i suoi anacronistici principi nella squadra ormai sfuggita al suo controllo.

Per Bagnoli A. la presenza è già un cambiamento. Irriconoscibile è stato, se pensiamo che dopo un periodo immemorabile non si è arenato nelle lusinghevoli secche del percorso ridotto. A vederlo così com’è, piuttosto arrotondato e dichiaratamente ipotonico, viene da pensare che non sia stato lui a recuperare i livelli atletici del gruppo, ma il contrario semmai.

Boldrini era la colonna portante del nostro atletismo, perché tutti credevamo che un essere meccanizzato, anche se difettoso in qualche addentellato, non potesse mai indulgere alle debolezze della crisi. Oggi lo ritroviamo apparentemente nell’orrido del suo status abituale, ma in giro si va mormorando che pochi giorni prima mani misericordiose lo abbiano propulso sul Golgota di una salita mugellana, passo Sambuca per la precisione, mentre recitava un mesto ed inatteso de profundis. Se fosse vera quest’esperienza di contrizione, lungi dal mettere in dubbio la natura transgenica di Boldrini, darebbe un risalto benevolo a tutti gli organismi geneticamente modificati, a torto considerati dall’opinione pubblica disumani, nocivi ed indesiderabili.

Su Nucci quando si dice che ha perso il senno è detto tutto. Avvisaglie ce n’erano state da quel dì, ma ora che la carica d’arconte delle soste sembra messa in discussione dall’atteggiamento perennemente vacante del titolare Pagni, l’antico segretario ha completamente deragliato. Chi lo ha seguito nell’ultimo mese può documentare che il suo ciclismo si è ridotto a vagabondaggi fra enoteche e cantine sociali, ossessive scorribande in centri storici impraticabili e ripetuti tuffi nei rovi ubertosi di more. Fin qui niente di nuovo, direte voi. Il bello è che, per chissà quale grave fenomeno allucinatorio, si è pure convinto di saper cantare e qualsiasi malcapitato uditorio sarà un valido testimone della sua follia.

Sulla grazia della Bertelli non tramonterà mai il sole, però scordatevi la bellicosa donna d’agone che irrideva la Canins e il Mortirolo e disdegnava ogni espressione di sosta. Alle prime esperienze con l’Empolitour rimaneva ben distante e un po’ schifata dalla soglia dei bar, ora vi si fionda senza indugio, sgomitando con Nucci per la conquista della prima pasta. A guardar bene, da un po’ di tempo ella ama fare a un dipresso quello che si è scritto per il dissennato Nucci, ma per fortuna è più intonata.

Chi ha spinto in salita l’attuale Pelagotti ha ancora nelle braccia i segni dolorosi del suo mutamento. Per riuscire a battere Caparrini in stazza c’è voluto un matrimonio e una vacanza a Ponza. Ora in salita ponza che è una meraviglia. Nel profondo dell’anima, sotto vari strati di grasso, è ancora intatto quell’impeto di velocista che lo sprona istintivamente allo scatto, almeno finché non subentra la consapevolezza che un enorme orso bruno sui pedali non può scattare un granché.

In quest’atmosfera di metamorfosi Tempestini è l’unico che assicura regolare continuità al suo personaggio. Virtuoso nel mezzo fra i lenti e i veloci, biascicatore patentato di cilingomma, abile invasore della corsia di sinistra e rammaricato per l’assenza di stuzzicadenti nel bar di Tavarnelle, dove per la cronaca si è consumata la sosta-Pagni (o bisognerà chiamarla d’ora in poi sosta-Nucci o sosta-Bertelli?) dopo l’inopinata inagibilità dell’osteria di Badia a Passignano su cui Nucci aveva riposto non poche speranze alcoliche.

Tutto ciò valga come parziale aggiornamento sulla condotta di alcuni alunni dell’Empolitour in attesa di un vero primo giorno di scuola con la classe piena.


23/06/2002 L’isola che c’è

 

Sembra impossibile ma l’Empolitour è riuscita a colonizzare anche l’isola d’Elba, nonostante il boicottaggio del resipiscente presidente e dei suoi più pavidi accoliti. Si deve purtroppo parlare di scisma, ma la forza della squadra si vede anche da queste situazioni di separazione consensuale che, disinibendo le individualità, corroborano i desideri di future riunificazioni. E d’altronde le argomentazioni di resipiscenza addotte da Caparrini erano tutte ben condivisibili: clima intenso, traffico torrido, congiunzioni astrali sfavorevoli, mal di mare, moti di nutazione dell’asse terrestre e flussi di neutrini solari a spin destrogiro.

Dunque, doppia Empolitour e doppio appuntamento: ore 7.30 in Via Baccio per un rifrittissimo giro della montagna pistoiese; ore 6.30 alla stazione di Empoli per un ineditissimo giro dell’Elba, appuntamento questo, direte voi, assai simbolico, perché tutti immaginano che al trio di scapestrati, Bertelli, Chiarugi e Nucci non si aggiunga nessun altro. Alla stazione infatti c’erano tutti, dal commissario al sacrestano, ma nessun ciclista Empolitour oltre al trio. Però ce ne sono due vestiti da Maltinti Lampadari ed hanno facce note. Incredibile visu: sono i due Bitossi, junior e senior, attratti a sorpresa dalla lusinga di questo intrigante periplo. Franco Bitossi, in verità, si rammarica molto per l’assenza del suo principale fan (Caparrini) e tuttavia si rassegna a subire l’attaccamento bottoniero della Bertelli che in fondo è l’unica ciclista italiana a non conoscere la storia del mondiale di Gap. Risultato parziale alla partenza: Elba: 5 – Sammommè: 6. Infatti le argomentazioni rinunciatarie di Caparrini hanno indottrinato anche Boldrini, Boretti, Giunti, Pelagotti e Tempestini. A San Baronto però si ristabilisce la parità perché Pelagotti si ricorda che deve andare a sposarsi. Il pareggio sembra il risultato più equo, senza entrare nel merito se valga di più una celebrità come Franco Bitossi o una calamità come Massimo Boldrini. Ma la vera partita deve ancora cominciare. A San Vincenzo s’incrocia per caso un grosso ciclista Empolitour in mezzo ad un gruppo di bubboni. È Sani detto Vinicio, quello delle soste minzionali per antonomasia, che sta lì in villeggiatura ma l’idea del diversivo sull’isola gli garba subito. Arruolato. L’Elba passa in vantaggio 6 a 5. E poi dilaga. A Piombino sul molo 7 sono pronti per l’imbarco altri tre inattesi ciclisti Ecco Pagni, che del resto era l’ideatore del giro insulare, colto da una resipiscenza della resipiscenza e poi abile ad assoldare di nascosto dalla Versilia anche Bagnoli L. e Lambruschini per un percorso ridotto. Dispiace per Caparrini ma la vittoria è già schiacciante prima del fischio d’inizio: 9 a 5.

Mentre l’aliscafo vola veloce verso il porto di Cavo, giungono notizie sconfortanti da Pistoia. L’aria alle nove del mattino è già ustionante, le ruote s’incollano all’asfalto e l’omino della frutta delle Piastre sta vendendo frullati. A Sammommè scatta l’allarme siccità, per fortuna c’è Caparrini che strizza la fascia tergisudore in un campo e dà un po’ di sollievo alle coltivazioni. Sull’isola tira proprio un’altra aria, ed è fresca. Montagnole di smeraldo immerse nella turchese marina non sono soltanto un belvedere ma soprattutto un miracoloso refrigerio. Appena sbarcati i nove ciclisti sono inebriati da quest’innaturale oasi d’aria condizionata e Bagnoli L. rimpiange subito i negletti manicotti. Sosta-Pagni ante motum per scaldare le membra col caffè e poi acquisto di macchinetta fotografica usa e getta dotata di 30 scatti, che in 115 chilometri previsti equivalgono ad una sosta ogni 3,83. Vinicio osserva con sollievo che per la sua vescica, in questi anni d’assenza divenuta ancor più incontinente, equivalgono ad un numero appropriato di pisciate. Quindi si parte quasi battendo i denti mentre dall’altra parte dell’Empolitour Caparrini e compagni ridiscendono a Pistoia dove stanno sopravvivendo a fatica cactus e piante xerofile.

Nel miraggio dell’Elba Lambruschini propone la variante del monte Volterraio per sudare un po’. Se ci fosse caldo sembrerebbe la crosta calva del Mont Ventoux, invece si vedono ciclisti scendere con guanti e mantelline. Sulla cima il gruppo si fa fotografare più volte affinché Caparrini non pensi che sia tutta una burla. Si devono portare al verosimilmente incredulo presidente il maggior numero di prove fotografiche, così in certi punti di paesaggio caratteristico, dove si vede il mare che prende il colore innaturale del freddo, le soste si susseguono nell’ordine di una ogni centinaia o decina di metri, tanto che Vinicio si trova più volte in seria difficoltà a svuotare la vescica. Anche perché si fa fatica a bere nonostante le fontane siano frequenti, rigogliose e glaciali.

Nei pressi di Biodola si vede una biondina in bicicletta che si sta facendo fotografare da un passante e ci si unisce alla posa scoprendo che costei è una nostra vecchia conoscenza, Zina Stahurskaia, in visita di ricognizione all’Elba dove verrà disputata una tappa del prossimo Giro d’Italia. Decimo gol: anche lei decide di pedalare con l’Empolitour e con Bitossi di cui era accanita tifosa fin da quando giocava a palline sulle spiagge di Sebastopoli. Caparrini intanto, liquefatto sul San Baronto, sente un acutissimo sibilo nelle orecchie.

Fra salitelle ardite e ridiscese verso il blu dipinto di blu, s’arriva al momento topico del programma-Pagni: bagno e frittura a Cavoli. Una baia incontaminata accoglie i ciclisti stupefatti. Non si capisce umanamente perché sia così bella e deserta. Primo a tuffarsi nel gelido mare è l’intrepido Nucci. Pagni ha il suo bel daffare per raggiungerlo e staccarlo nella prova di nuoto ma nella prova di pesce fritto Nucci si prende la rivincita: frittura mista mangiata prima e dopo il gelato che si stava squagliando malgrado la temperatura semifredda. Ma qui si era materializzata un’altra apparizione: Bagnoli A. e Traversari al ristorante con mogli e prole. Sono in vacanza a Cavoli con bici al seguito. Non se lo fanno dire due volte. Arruolati anche loro. È una goleada. Oltre tutto i tre presunti riduttori Pagni, Lambruschini e Bagnoli L. alla fine, estasiati dalla meravigliosa cornice dell’itinerario, non riducono un bel niente. Chi l’avrebbe mai detto: dodici ciclisti felici, campionesse e campioni compresi, a circumpedalare l’Elba sotto il sole più benigno dell’anno, mentre Caparrini sta tornando a casa lesso, credendo di poter leggere il resoconto di una spedizione dei soliti tre gatti.

Ma non è finita. Mentre la Bertelli cerca d’appartarsi all’inizio della salita del Monumento, per effettuare certe oscure operazioni manuali in profondità irripetibili, passa di slancio un folto plotone multicolore, in mezzo al quale ella riconosce Cadel Evans urlando il suo nome con le mani ancora infilate nel basso ventre. Invece era Dario Cioni che si volta lo stesso invitando alla fusione dei due gruppi. Si trattava di una ventina di ciclisti fra professionisti ed ex che, appresa la notizia di quest’isola climaticamente felice in mezzo all’afa italiana, si erano consorziati per un rinfrescante allenamento. Nei pochi chilometri di salita la Bertelli riesce ad intervistarli tutti: l’amico Cassani, Fondriest, Casagrande, Tafi, Fontanelli e Cipollini tanto per citare i più famosi per lei. E senza sapere chi siano conversa amabilmente anche con il grasso Argentin, che qui sfrecciò in una tappa del Giro 1993, e col non meno pingue Hampstein, l’americano vincitore del Giro 1988 che adesso abita a Castagneto Carducci. La strada è ora invasa da parte a parte ma non si creano problemi di viabilità perché siamo al novantesimo chilometro e non si è vista ancora una macchina viva. Nucci, per rendere più credibile l’evento ad un Caparrini, che starà strabuzzando gli occhi, riceve il permesso dal gruppo di andare in fuga a scopo fotografico. La Bertelli riceve da Cioni l’invito alla Vuelta, da Tafi l’invito al Tour, da Hampstein l’invito a fare la cameriera di Armstrong e da Cipollini la personale borraccia zebrata. La fata declina tutti gli inviti, perché è fedele almeno lei ai programmi Empolitour, ma non la borraccia di Cipollini suscitando l’invidia di Chiarugi che tenta di sottrargliela con la forza. Ne nasce un alterco durante il quale l’oggetto del contendere diventa corpo contundente provocando a Chiarugi una frattura composta delle ossa nasali guaribile con vari interventi di chirurgia plastica. Questa piccola cicatrice rimarrà però come sigillo indelebile di un’indimenticabile giornata d’esilarante esilio. Il finale è poi spettacolare: una trentina di preziose e luccicanti bici stese sul bagnasciuga di Cavo mentre i loro insoliti proprietari, riconoscibili fra i normali bagnanti per le variegate abbronzature compartimentali, si beano in fresco ammollo nell’attesa dell’aliscafo che li riporterà stanchi, colorati e appagati sulla terraferma.

Può sembrare una storia inverosimile ma ci sono trenta inconfutabili prove da esibire contro ogni riserva e la trentesima foto dimostra anche quello che potrebbe essere il dubbio più ragionevole, e cioè come abbiano fatto queste trenta bici ad essere traghettate tutte insieme su una navicella tanto agile e snella, senza per altro pagare nemmeno un euro di pedaggio.

 


16/06/2002 Finalmente Tobbiana

 

Va a finire che dopo lunga e penosa gestazione la montagna partorisca un topolino. La montagna è quella pistoiese, quasi pratese, che frescheggia sopra il borghetto di Tobbiana. Il topolino è Caparrini a cui per due anni aveva fatto tremar le vene e i polsi il solo accenno a questo paesello incognito, principio d’una salita dipinta di tenebroso pathos. L’abbiamo aspettata per un biennio di rifritture domenicali e quando è arrivata s’è presto sciolta nell’aridità delle sue cifre: lunghezza undici, dislivello settecento, pendenza media seivirgolatrentasei, massima diciotto. Accontentiamoci di questo diciotto che però dura poco. La spaventevole leggenda di Tobbiana termina dopo un chilometro anche se la sua nomea aveva già messo in fuga i tre riduttori Baricci, Pagni e Tempestini svelando il parziale bluff ai nove impavidi integralisti: Bertelli, Boldrini, Boretti, Caparrini, Chiarugi, Nucci, Pucci, l’ospite asociale ma assiduo Vettori e l’ospite asociale, ma socializzato con maglietta a nolo, Trasacco. Sembra ieri e invece è due anni fa: Trasacco scopritore di Tobbiana fece la proposta e Caparrini fece per viltà il gran rifiuto. Ne nacque un incidente diplomatico sanato solo oggi.

Nell’occhio dell’anticiclone si muovono presto e lenti i dodici ciclisti e si avverte già dal mattutino Pietramarina che la faccenda andrà per le lunghe. Una provvidenziale nebbiolina stende un velo pietoso su Pagni che soffre subito il repentino ritorno da nostromo a ciclista. Biancheggia la sua crema facciale mentre Boldrini, unto di canfora, repelle ogni forma di vita nei pressi delle sue zampe.

Numerosi tifosi sono appostati lungo la discesa di Carmignano per acclamare la sfilata dell’Empolitour che ha già mezz’ora di ritardo sulla tabella di marcia. Caparrini rallenta ancor più le operazioni d’avvicinamento alla salita nel disperato tentativo d’asciugare l’immane fascia tergisudore ormai sovrasatura dopo la prima torpida e fresca ascensione al Pinone. Niente da fare. Quest’inseparabile orpello frontale a Tobbiana è ancora putrido e la salita, iniziata da un chilometro, deve ancora sfogarsi. Ma anche dal punto di pedalata dei forti l’azione diventa molto sudoripara. A parte Trasacco che è bionico e stacca tutti con irrisoria asciuttezza, la profusione corporea è abbondante pure in Chiarugi che più volte è colto nel fallo di bere, in Nucci che così s’illude di sciogliere un po’ d’epa e in Boldrini sulle cui luccicanti cosce aleggiano provvidenzialmente tutti i tafani delle aree boschive limitrofe.

La mulattiera è ripida e silenziosa con molte pause di falsopiano e rumore. Il rumore è quello d’inopportuni gitanti automuniti e quello di Boldrini che sferraglia col cambio sul ventitré e non riesce a reggere nemmeno il passo dell’adiposo Nucci, trovando in questo litigioso rapporto coi rapporti un degno pretesto di forzata sottomissione al ritrovato scalatore munito di pancia e di ventotto.

In medio stat virus et Bertelli che è equidistante dal quartetto di testa e quello di coda e si lamenta per i dolenti lombi e per il fatto che nessuno si sia accorto con la dovuta ammirazione dei brillantini cuciti pazientemente sulla circonferenza della testa dell’uomo-bici effigiato sul retro della maglietta nel punto più occultato dalle sue debordanti e madide chiome. Dietro di lei arriva a passo suonato il Quartetto Cetra, ossia Caparrini, Boretti, Vettori e Pucci. Non ti fidar d’un Caparrini a mezzogiorno, se c’è il sole non ti fidar. Il presidente è sudato perché quando pedala è capace anche di sudare apposta, ma non ha il solito sguardo da fine salita, quello per intendersi del branzino appena lessato. Col timore d’incappare da un momento all’altro in chissà quali rampacce, ha pedalato col passo del raccoglitore di mirtilli ed ha accumulato un pericoloso potenziale energetico, tutto da spendere nell’ultimo sambaronto dove lo aspetta un bramato record da potare.

Glissiamo sulla sosta all’Acquerino e facciamo dunque un balzo di un’ora e mezzo, di ottocento metri di discensione e di dieci gradi di temperatura. Atterriamo a Casalguidi, ottanta metri di altitudine e trentacinque di temperatura. Scatta il cronometro e Caparrini insieme a lui. È attorniato da Bertelli, Chiarugi, Nucci e Trasacco, ma dalle smorfie e i contorcimenti non si percepisce come nella sua sbuffante anima l’incitamento di questo quartetto di ciclisti celeri sfumi spesso in impaccio e molestia. Quando Caparrini rallenta la Bertelli denudata gli urla qualche inutile monosillabo. Inutile perché lui nemmeno la considera ed alla vista del conturbante reggiseno sociale preferisce quella ossessiva dell’orologio che è il suo sfidante. È solo col tempo, gli altri sono forme d’aria nell’aria. Quando taglia il traguardo il suo aspetto è come sempre sfingeo. Dichiara un inatteso diciassetteminutiequarantaseisecondi, vale a dire tredici secondi potati, pieno della stessa allegrezza con la quale, anni or sono, dichiarò di aver perduto la cassa sociale al Giro.

Caparrini si migliora inesorabilmente, contro la volontà sua e del suo tonnellaggio. Deve soltanto imparare a sudare. Se il suo sudore straripasse dai pori dopo una fatica come la sua esultanza dopo una gioia, potrebbe finalmente rinunciare a quelle ridicole ed ingombranti fasce frontali senza le quali, ama ripetere, il suo ciclismo non sarebbe mai cominciato.


02/06/2002 La sveglia

 

L’Empolitour passa al vaglio d’Avaglio, modica salita umbratile e pedissequa che Caparrini ha provvidenzialmente inserito come ammortizzatore sociale fra le fatiche del Giro e l’inizio della preparazione al Tour. Nel setaccio di Via Baccio rimane intrappolato un omogeneo amalgama tra futuri protagonisti della corsa francese (Bertelli, Caparrini, Chiarugi, Giunti e Nucci) e futuri protagonisti delle scene mondane e balneari (Baricci, Boretti, Pelagotti e Tempestini) senza dimenticare il novello e puntualissimo Alfredo che nella sua giustificata innocenza non ha ancora imparato ad aggiungere l’IVA sugli orari di partenza.

Stavolta la maggiorazione oraria è stata superiore al canonico 10% in virtù della candida dabbenaggine di Tempestini il quale, contro gli ammonimenti di Caparrini ad illuminarsi di frescura mattutina in vista di un’imminente caldata e plagiato dall’inaffidabile Boretti portatore insano di sostitutivo, decideva di tornare a casa per recuperare il k-way saggiamente dimenticato e si menava quindi all’inseguimento del gruppo per una strada tutta sua, compiendo un circolo vizioso di una decina di chilometri mentre gli altri avevano già dato a Baricci l’incarico di allertare gli elicotteri della Protezione Civile. Questo simpatico preludio tratteneva i ciclisti alle 8.30 ancora ai piedi del Cerreto e sarebbe stato un ritardo colmabile se tutti avessero partecipato al treno di Pelagotti per lo sprint di Larciano. Il pingue velocista si sbarazzava comunque facilmente di Nucci e Chiarugi anche senza l’aiuto di Baricci, Caparrini e Giunti, perduti nella frenesia dei preparativi, sfruttando la tiratura scelta di Tempestini e Boretti e la neutralità di Bertelli e Alfredo. Al termine di una volata senza storia Pelagotti s’imponeva sui due rivali con dieci metri di distacco e dieci minuti di rantoli per riprendersi dallo sforzo.

Il ciclismo moderno esige specializzazione. Non si può andare forte tutto l’anno e su tutti i terreni, ed anche l’Empolitour si adegua a questa filosofia di vita. Pelagotti, locomotiva ad alta velocità, quando scocca la salita d’Avaglio sente addosso il suo 30% di grasso corporeo come se fosse la pendenza della strada. Fa talmente pena che pure Boretti, uno che di pena in salita se ne intende, s’impietosisce e diventa il Noè della situazione, similitudine da intendersi sia in senso biblico, Boretti salva Pelagotti dall’annegamento, sia in senso storico ciclistico recente, Boretti scorta Pelagotti come il fido gregario della Mapei ha fatto con lo stracotto Evans sulla salita di Folgaria. Il più specializzato di quest’anno è però Nucci che ha seguito gli insegnamenti di Ullrich, rinunciando a tutte le Classiche e le corse di un giorno, acquistando in inverno una decina di chili tutti addominali e partecipando al Giro come preparazione al Tour che diventa così l’obbiettivo unico della stagione. Intanto ha raggiunto e superato le ruote di Tempestini che fino a poco tempo fa dominava gli arrivi in salita privi di Chiarugi. Un Chiarugi che, appagato dalla scorpacciata di successi e bomboloni al Giro, si è cimentato in una goliardica telecronaca in diretta che Nucci ha tollerato con ansimante silenzio, forse incubando prossime vendette.

Conscio del cordone ombelicale che lo lega ancora a Caparrini, Giunti ha preferito inibire ardite fughe dal ventre del presidente a cui è rimasto sempre incollato, ma i suoi desideri di staccarsi da questa ingombrante placenta sembrano sul punto di realizzarsi. Ottima anche la prestazione del novello Alfredo che, con tre forature in discesa di cui due contemporanee, è già approdato ad un livello di sfiga insuperabile anche da un Caparrini in stato si grazia. Comunque se ambisce a spodestare il maestro di iatture e contrattempi dovrà rompere almeno due catene e disarticolare entrambi le pedivelle.

Si potrebbe proseguire di questo passo con altri interessanti temi della tappa, come le due teglie di crostata acquistate da Nucci per ingannare l’attesa o la fuga prematura di Chiarugi o il record frustrato di Caparrini, ma è inutile perdere altro tempo in frivolezze. È dall’inizio della cronaca che i lettori fremono per conoscere i motivi dell’assenza di Boldrini. La vicenda ha sollevato ancora scalpore ma non c’è nessuno scoop. Quel che ha dichiarato Boldrini alla stampa (“Non m’è sonata la sveglia”) corrisponde a verità, con le dovute precisazioni, sennò sembra la solita scusa presa in prestito da Pelagotti.

Chi ha potuto osservare Boldrini da dietro ha sicuramente notato la peculiarità del suo collo che presenta grossolane increspature della massiccia cotenna. Ebbene, sotto quelle apparentemente raccapriccianti pieghe si nasconde un sofisticato circuito integrato che pianifica tutte le sue principali operazioni: quando svegliarsi, quando bere, quando pisciare, quando attaccare, ecc. La vita del ciclista transgenico è programmata da una serie di segnali temporizzati che partono a livello cervicale e lo guidano minuto per minuto nelle sue azioni. L’Alto Programmatore che lo ha creato si è conformato ad una logica rigidamente deterministica che non tiene conto delle variabili ambientali: quando arriva l’input dell’attacco, Boldrini attacca anche se siamo al primo metro di salita; quando arriva l’input della pisciata, Boldrini piscia anche se siamo in pieno mercato; quando deve tirare in gruppo, Boldrini tira senza curarsi se alla sua ruota ci sono ancora ciclisti. Il programma ha però il suo punto debole nell’orologio interno che scandisce questi ritmi cronobiologici e che funziona a batteria, e questo piccolo generatore, per una madornale dimenticanza, non è stato ricaricato al momento della recente revisione. Le prime avvisaglie del conseguente calo di tensione e dello sfasamento temporale si sono avute durante la settimana, quando Boldrini ha pedalato da solo verso l’Abetone come se fosse il giorno della Gran Fondo. Ma il comportamento più sospetto lo ha notato la moglie alla vigilia di questa domenica d’Avaglio quando il consorte si è presentato a cena in tenuta Empolitour, ha bevuto solo dalla borraccia liquidi verdastri, ha orinato sul ciglio della cucina e se n’è andato senza voltarsi dandole appuntamento alle 13.45 di sabato prossimo. Poi l’indomani la batteria ha cessato definitivamente di funzionare e il black-out della sveglia biologica ha lasciato Boldrini in uno stato catatonico d’attesa di comando.

Per ovviare a questo spiacevole inconveniente, nei Laboratori Bitossi di Sovigliana stanno sperimentando un sistema di autoricarica a pedali che così permetterebbe di non disperdere in cicli futili tutta l’immane potenza generata dai suoi coscioni. Nel frattempo Boldrini dovrà essere programmato per dormire una volta al mese con le dita infilate nella presa di corrente.


19/05/2002 Anteprima Giro con scoop

 

Come avviene giornalmente nel Giro dei professionisti, anche nel Giro dell’Empolitour comincia a serpeggiare la cronaca scandalistica, già una settimana prima del via. La tappa odierna di preparazione era dedicata alla rivincita sul Serra interruptus dal nubifragio del cinque maggio e da questo punto di vista lo svolgimento è stato roseo per tutti i partecipanti, compreso il cielo. Ognuno in definitiva ha avuto le sue piccole ragioni per dire di non aver vissuto invano in questa piccola montagna, su questa piccola strada dalle grandi pendenze.

Chiarugi si è sentito ancora partecipe di un illusorio regno dei dominatori, almeno fino a quando non ha aperto gli occhi davanti alla ruota posteriore del bionico Trasacco incontrato sulla vetta ed incaricatosi al ritorno di tirare sui colli tirando i colli degli altri. Nucci pare scampato per sempre dagli inferi con disarmante candore. Pensare che durante questi suoi cinque mesi sabbatici c’è chi si è pure allenato regolarmente per andare più piano di lui. E non ci riferiamo a Pelagotti che pratica come unica regola d’allenamento quella dell’ingrasso, tant’è che ha disattivato l’allarme del cardiofrequenzimetro ed ha scoperto un sistema più naturale ed efficiente per segnalare il superamento della soglia aerobica, cioè quello dell’oncone o conato. In pratica quando va troppo forte comincia a vomitare. E non ci riferiamo nemmeno alla Bertelli che, come suole coloritamente affermare, non ha l’uccello ma in salita non ha mai patito l’invidia del pene. Da fata è passata a crocerossina. Prima ha accudito il convalescente Nucci, poi il nauseato Pelagotti, i quali per tutta riconoscenza l’hanno pure staccata.

Per Caparrini è iniziata la stagione della potatura dei record. Lui li taglia e loro ricrescono, cosicché l’anno successivo può migliorarli di nuovo senza l’obbligo, per lui moralmente inaccettabile, di migliorarsi. Tanto nessuno tiene a mente i suoi innumerevoli tempi di scalata (assoluto, stagionale, annuale pari, annuale dispari, assoluto indoor, assoluto ventoso, ecc.) e nessuno può contestargli il miglioramento che è ovviamente fittizio, perché tutte le volte, il record da battere dichiarato ad inizio salita è ritoccato in eccesso di qualche minuto, e per rendere più credibile l’adulterazione Caparrini si finge inane di fronte all’inattaccabilità di siffatto primato e poi incredulo di fronte al verdetto cronometrico che accoglie sempre con apparente sobrietà per rendere meno millantata la frode. Nonostante questa commedia della tela di Penelope dei record, Giunti si vede sempre sfuggire l’enorme schiena del suo riferimento culturale. Il chitarrista sociale parte in tromba onde avere almeno per un chilometro l’illusione di poter staccare il fine ultimo della sua missione ciclistica, cioè Caparrini che però prima o poi lo sorpassa senza pietà, anch’egli in tromba. Giunti sperava di esaudire il sogno della vita con una banale sostituzione di telaio. Infatti la sua monumentale Daccordi in lega speciale di piombo e uranio arricchito è stata accantonata, per ora senza successo, in favore di una principesca Pinarello, ispirandosi al vento di aristocrazia che sta soffiando sulle biciclette dell’Empolitour e le sta rendendo sempre più preziose e leggere.

Chi non si preoccupa di tempi, pesi, distanze e volumi è Baricci che affronta tutte le salite con l’aplomb del lord inglese, alias lord Twentysix, dalla sua innata propensione a shiftare istantaneamente la catena sul ventisei quanto comincia ad avvertire un’impercettibile inclinazione della strada. Davanti a lui caracollava l’ospite cibernautico Alfredo che sta silenziosamente apprendendo i primi rudimenti sull’abbecedario dell’Empolitour.

E qui termina la carrellata sui presenti, escluso ovviamente il Lento che quando si parla di Serra diventa un concetto consequenziale e sottinteso. Ma anche alcuni assenti meritano la luce riflettori. Bagnoli L., preoccupato che Baricci possa sottrargli la leadership delle crisi cartesiane, si è dato irreperibile, probabilmente alle spiagge, con una mossa di riduzionismo nichilista che dovrebbe fargli riacquistare un po’ di staticità perduta. Boretti è il ciclista più in del momento: inaffidabile, infingardo, ingestibile, inconsueto, insensato, incoerente, insondabile e naturalmente incerta è la sua partecipazione al Giro. L’assenza di Tempestini ha risvolti umanitari. Si è reso conto che negli ultimi tempi, tutti gli atleti inopinatamente staccati da lui in salita scompaiono o meditano il ritiro, come se fosse un peso intollerabile l’andar più piano di un bravo e allenato ciclista, sebbene dotato di evidenti lonze. Così Tempestini si è temporaneamente e diplomaticamente defilato per non essere costretto ad infliggere qualche altra nerbata al povero Boldrini. Ma qui sta il bello: anche Boldrini era assente e la cronaca gossip si è subito impadronita di questo inaspettato evento. L’assenza del ciclista transgenico ha suscitato stupore e brusio nel gruppo. Le voci di carovana erano incontrollate ma due le tesi prevalenti. Quella dell’avviso di garanzia (Boldrini sarebbe iscritto nel registro degli indagati della procura di Brescia per spaccio di sostanze proibite o addirittura sarebbe già agli arresti domiciliari) e quella dei doveri coniugali protratti oltre il limite di tolleranza anche per un marito mutante. La verità si è scoperta più tardi ed è molto più edificante per il nostro personaggio: Boldrini ha fatto sciopero. Ha voluto attuare un’esemplare forma di protesta in risposta ad una foto pubblicata sul settimanale Le Scienze che qui riportiamo. Il sindaco di Odalengo Piccolo, dopo aver appreso dell’esistenza di un ciclista così mostruoso, ha voluto preservare i suoi 300 abitanti da incontri che potrebbero minare la già scadente natalità del paesino. È noto infatti che la visione improvvisa di Boldrini a cosce ignude può provocare nelle donne incinte aborti spontanei o malformazioni del feto. Sono poche, invero, le probabilità che Boldrini transiti in bicicletta dalle parti del basso Piemonte, ma il sindaco ha voluto ugualmente attenersi al principio di precauzione che vale anche per gli altri OGM o per le onde elettromagnetiche o per tutti gli agenti fisici, chimici e biologici la cui patogenicità è per ora solo presunta. E Boldrini si è giustamente indignato, anche perché altri sindaci, sull’onda dell’emotività, stanno attuando ordinanze analoghe. Quelli di Teramo, Torricella Sicura e L’Aquila pare che abbiano preso provvedimenti straordinari una volta venuti alla lettura del Calendario Sociale. Così la presenza di Boldrini al Giro diventa problematica, ma tutta l’Empolitour è solidale col suo sgraziato e tartassato membro, e il presidente Caparrini è pronto a ritirare la squadra se le forze dell’ordine si opporranno al passaggio di Boldrini. “È una palese violazione dell’articolo 16 della Costituzione e poi Boldrini non è neanche dopato, è solo geneticamente modificato”, ha dichiarato il presidente ai microfoni di Raisport, mentre Boldrini rimane rintanato a Pulica in silenzio stampa.

Il responsabile dei Laboratori Bitossi di Sovigliana, dove è stato plasmato questo splendido esemplare di ciclista in provetta, fa sapere che la sequenza genomica di Boldrini è stata regolarmente registrata all’ufficio brevetti e che la sua manipolazione è stata eseguita in conformità a tutte le norme ISO 9002 per la qualità dei prodotti transgenici. Non si corre pertanto nessun rischio ad incontrarlo in maniera ravvicinata o ad accoppiarsi con lui. L’innovativa e segretissima modifica del suo DNA ha riguardato vari geni fra cui quello della catena pesante della miosina, la proteina muscolare che è stata resa ancor più pesante e voluminosa. Questa variante proteica, denominata boldrina, tende a gonfiarsi a dismisura in presenza di molecole d’acqua, provocando mostruose ipertrofie soprattutto a livello delle cosce. Per mantenere però la corretta idratazione, i suoi apparati gastroenterico e urinario sono stati resi capaci di tollerare l’ingestione giornaliera di almeno un barile di liquidi, molti dei quali finiscono come ben sappiamo sui cigli della strada o sui tronchi d’albero. Boldrini è anomalo ma pulito e noi siamo tutti con lui.

 

P.S.

Piove sul bagnato. Mentre quest’articolo stava andando alle stampe è giunta in redazione una notizia ANSA secondo la quale Pelagotti sarebbe stato trovato non negativo per una festa di compleanno. Se le controanalisi confermeranno questa intenzione scatterà la squalifica dal Giro come è già avvenuto per Pagni, trovato positivo per un corso di vela.


12/05/2002 Carne al fuoco

 

Troppa carne al fuoco in questa rinata edizione della Classica del Parco di Cavriglia e non ci riferiamo soltanto alla dovizia di materiale narrativo che essa ci ha offerto (la resurrezione di Nucci, i tormenti del giovane Boldrini, il nuovo caso di proselitismo cibernautico, il corteo di ambulanze e di lama, la piaga del riduzionismo e dell’olio canforato…) ma anche letteralmente alla dovizia di carne ed ossa, quelle miseramente triturate dai denti artificiali ma possenti di Pagni emulato con più o meno onore dai commensali Baricci, Caparrini, Tempestini, Boldrini e Chiarugi, elencati in senso antiorario di disposizione al desco ed in ordine decrescente di volume alimentare ingurgitato. È superfluo rimarcare che l’Empolitour è l’unica squadra ciclistica in attività capace di scalare dopo ottanta chilometri una salita che è un Mortirolo in pectore e poi fermarsi un’ora all’addiaccio a sgranocchiare carni arrosto di animali protetti, rese massimamente indigeribili da copioso contorno di patate fritte, e con tale e tanto chilo tornare ai patri lidi su e giù per valli e clivi, accumulando alla fine 2500 metri di dislivello, un metro per ogni caloria assunta nell’anticiclistico ristoro.

D’altronde Pagni non si sarebbe mai esposto ad un percorso tanto inopportuno per il suo attuale miserrimo stato d’allenamento, rinunciando fra l’altro ad allettanti proposte di sport alternativi come la vela, il polo, il cricket o il nuoto sincronizzato, se non avesse avuto fortemente nel cervello impressa fin dal primo metro la rappresentazione lusinghevole del girarrosto. Nei due chilometri di Mortirolo le sue flaccide gambe giravano esclusivamente per sincronismo onirico con quel sublime instrumentum cocturae che gli stava girando nell’immaginazione per trascinarlo prodigiosamente al parco. Il girarrosto era una specie di argano mentale che lo stava issando su per quelle rampe malvagie e gli faceva superare tutti gli ostacoli che il fato volle interporre davanti alla meta: un temporale personalizzato, un branco di lama potenzialmente scaracchianti allo stato brado e un branco di gitanti schierati in attesa della bramata porzione di carne. E se Pagni riusciva facilmente ad avere la meglio sui pasciuti lama, era costretto a cedere di fronte ad un elemento invalicabile della fila dei gitanti immeritatamente affamati, nonostante ne avesse già corrotti un paio per avanzare di posizione. Ma dopo tre quarti d’ora eccolo arrivare con una gerla di provviste rapidamente scaricate sul tavolo ligneo. C’era ovviamente una pirofila ricolma di membra arrostite degli animali del parco. Oltre alle rosticciane di lama si potevano apprezzare petti di cigno e salsicce di rinoceronte. Su prenotazione sarebbe stato possibile degustare la bistecca di panda o addirittura, ma è una voce da verificare, anche la coscia di dodo, l’uccello del Madagascar estinto dal XVIII secolo. Per amore di verità storica è doveroso precisare che, mentre tutti si riempivano i piatti di ossa e reliquie, Chiarugi, obbiettore di coscienza, rendeva degno di partecipare alla sua mensa anche il micio dell’azienda.

La carne al fuoco è ancora tanta e molti lettori saranno impazienti di riascoltare le vicende di Lazzaro-Nucci, risorto fra i ciclisti dopo sei mesi di sarcofago. In effetti, per come si presenta al raduno, sembra proprio una mummia egizia, imbacuccato fino agli occhi per coprire la cera cadaverica. Però pedala e l’aria di Giro gli rinfocola pure sconsiderate pulsioni che lo portano a sviscerarsi per un centinaio di ondulati chilometri nel gruppo dei riduttori.  Eh già i riduttori, piaga ormai inarrestabile. Il percorso offriva molte fantasiose possibilità di abbreviazione. Ne sono state scelte due, quella minimalista della Bertelli e quella cerchiobottista di Bagnoli L. (padre fondatore del riduzionismo), Boretti (fervente adepto del movimento) e Pelagotti (ultimamente riduzionista nichilista, nel senso che non partiva nemmeno). È il risaputo compromesso storico fra desiderio d’allontanamento e consapevolezza d’inanità. In questo plotone, oltre al figliol prodigo Nucci che merita l’uccisione del vitello grasso (attento Pelagotti!), c’era anche Alfredo, un appassionato studioso via Internet di usi e costumi dell’Empolitour che ha deciso di passare alle prove pratiche mescolandosi nel gruppo in itinere. Nel breve periodo d’inizio tirocinio ha quanto meno verificato l’esistenza dei due poli morfologici dell’Empolitour, la leggiadra Bertelli e il mostruoso Boldrini.

Pure quest’ultimo è in fase di rinascita. Attualmente sta attraversando la fase orale, chiacchiera e pedala a vuoto. Prende schiaffi su colli e colletti, salite e salitelle. Invece di suscitare la compassione che si deve ai convalescenti, subisce attacchi e distacchi impietosi da tutti, non solo da Chiarugi e Tempestini, gli scalatori del momento, ma anche dal letargico Pelagotti a Marcialla e dal larvale Nucci a Tavarnelle, sia pur con qualche artificio. E se Caparrini non fosse il solito incorruttibile risparmiatore lo staccherebbe anche lui. Tutte queste provocazioni hanno un fine benefico nei confronti di Boldrini che così arriverà al Giro adeguatamente imbestialito. Le sue carni erano già cariche di potenza repressa ed egli ha ben pensato di ungerle come i pancraziasti alle antiche Olimpiadi. La miscela di pece ed olio canforato di cui si era cosparso teneva lontano dal gruppo gli insetti molesti, tranne quelli che vi rimanevano invischiati affogando tragicamente nelle sue cosce, e teneva lontano l’intollerante Pagni che nel naso oggi desiderava solo pollini aulenti e fumi d’arrosto.

In tema di carni cotte non possiamo non parlare di Baricci. Da quando Bagnoli L. ha abbracciato con fervore la corrente riduzionista, spetta all’ormai svezzato neofita l’imprimatur delle crisi cartesiane, o nel suo caso socratiche, giacché Cartesio non portava la barba. La dignità con cui Baricci arriva al punto di cottura lo fa sembrare un esperto del settore. Non cambia mai espressione neanche quando cambia rapporto in salita e si accorge di non averne uno più agile. È il primo ciclista europeo ad aver inserito il ventisei sulla dolce salita di Falciani, eccezion fatta per qualche turista tedesca con tenda e sacco a pelo (e in ogni modo anche lui si porta dietro un pesantissimo campionario di brugole che ha salvato Boldrini dalla disarticolazione della pedivella prima di Cavriglia). Con Pagni si mette a giocare a chi va più piano senza fermarsi, e vince lui perché l’arconte, dopo la sosta ante motum ad Empoli e la incommensurabile sosta-girarrosto, decreta la terza sosta-Pagni a S.Casciano, denominata sosta-aranciata per coinvolgervi anche Caparrini, noto oranginologo.

Riconosciamo che ironizzare sulle debolezze altrui è un atto vile come sparare sulla Croce Rossa o mandare affanculo un’ambulanza a sirene spiegate. Ma per dimostrare che nell’Empolitour la satira non conosce barriere, ne manderemo affanculo un intero corteo. Per l’esattezza le dodici che a Castelnuovo dei Sabbioni ci hanno prima sorpassato e poi ci sono tornate incontro per salutarci proprio all’inizio della salita del parco. Comunque, il premio per il più spiritoso se lo contenderanno Boldrini, che chiede un passaggio col pollice alle suddette ambulanze, e Tempestini che a Dudda per sollecitare l’andatura del gruppo in fase di pennichella post-prandiale lo sprona con un esortativo “Avandi Dudda!”.


05/05/2002 Il Cinque Maggio

 

Napoleone-Caparrini ritorna dal breve esilio di Capri e guida l’esercito verso Waterloo-Sant’Andrea di Compito.  Cominciamo bene, direte voi, ma continueremo anche peggio. Un bel parallelismo con Manzoni non ve lo leva nessuno e d’altronde il prossimo Cinque Maggio utile per un’uscita ciclistica domenicale sarà nel 2008. Purtroppo non c’è nessun morto, ciclisticamente parlando per carità, da celebrare. L’ideale narrativo sarebbe stato un bel tracollo di Caparrini sul duro Serra lucchese dopo una settimana di bagordi. Suonava proprio bene quell’Ei fu. Siccome immobile, dato il mortal sospiro…Invece è morto soltanto l’onore sociale. L’ode funebre è dedicata al Serra, come primo esempio nella storia dell’Empolitour d’interruzione di pubblico servizio in salita, unanime e di sponte propria (escludiamo cioè i casi di resipiscenza individuale da sfinimento e quelli dovuti all’opposizione invalicabile dei gendarmi del Tour). Esso fu. Siccome immobile, data l’ultima pedalata, stette la truppa immemore orba di tanta salita, così percosso e attonito il Lento al nunzio sta, muto pensando al primo chilometro del Serra fatale.

Alcuni interrogativi si affollano nella mente. Sono più rispettabili i ciclisti non partiti (Pagni, Pelagotti), i partiti altrove (Bagnoli A., Bagnoli L.), i partiti e tornati indietro dopo quindici chilometri di pianura (Boretti, Giunti) o i partiti e tornati indietro sotto l’acqua dopo nemmeno un chilometro di salita (Bertelli, Boldrini, Caparrini, Chiarugi, Tempestini)? Quanta pioggia bagna il confine fra viltà ed eroismo? Di quale materiale sono tessuti i pantaloncini sociali? Chi è responsabile della riparazione di Boldrini?

Innanzitutto Boldrini. E sparve, e i dì dell’ozio chiuse in sì breve sponda (Pulica) segno d’immensa invidia e di pietà profonda, d’inestinguibil odio e d’indomato amor. Poi gli hanno accomodato l’artiglio transgenico, lo hanno ulteriormente siliconato per esaltare il turgore delle sue carni e lo hanno nuovamente tarato all’abbandono dei compagni in pianura, senza preavviso e senza mai voltarsi, secondo un meccanismo di feedback interiore temporizzato. Già che c’erano, avrebbero potuto revisionare anche la scheda audio che lo fa parlare tuttora in maniera stridula e opprimente. Ne sa qualcosa Chiarugi, massacrato dai suoi acuti per scarsa collaborazione in pianura. Sotto il temporale Boldrini si è messo a cantare. Ahi! Forse a tanto strazio cadde lo spirto anelo, e disperò; ma valida venne una man dal cielo, e in più spirabil aere pietosa il trasportò. Respinti dal Serra, i ciclisti interrupti hanno scelto il più spirabil aere del Giannarello e di Faltognano come vano tentativo di redenzione.

Non fu vera gloria. Il Massimo Fattore Caparrini ha dichiarato ch’era follia sperar in un Serra procelloso e trepido e che è stato meglio serbare le sofferenze climatiche per Giro e Tour. Noi chiniamo la fronte alla sua autorità, alla paterna saggezza di Tempestini, alla materna prudenza della Bertelli, alla programmazione ragionata di Boldrini e torniamo indietro con loro. Dal Serra al Montalbano, dal Canal Rogio all’Arno, pei floridi sentier della speranza, ai campi eterni, al monumentale leccio di Faltognano sulla scia della Bertelli, con Boldrini lontano a cercare la gloria maggior dopo il periglio, la fuga e la vittoria, la reggia e il tristo esiglio. Bagnoli L., giallo ocraceo come il sole che non aveva mai abbandonato Empoli, aspettava tutti al varco di S.Ansano, come aspettando il fato.

Due segnali di speranza al morir di questo giorno inerte: una sosta-Pagni fulminea come i rai chinati di Napoleone e i meravigliosi colori che l’acqua può lasciare. Blu, celeste, celestino, grigio, grigino, bianco madreperlaceo, trasparente. I pantaloncini Empolitour delle ultime generazioni sono idrosolubili e questa è la sequenza di sfumature di colore che assumono dopo ogni lavaggio. Indosso alla Bertelli, folgorante in solio, dopo un acquazzone rinnovano il gusto contemplativo di starle a ruota, almeno finché non si asciugano e ritornano opachi. Bella Immortal! Benefica fede ai trionfi avvezza! Scrivi ancor questo allégrati. L’Empolitour non si è chinato al disonor del Golgota. È soltanto una salita mancata. La superba altezza del Serra non tarderà ad essere domata dalle stesse o più numerose ruote. L’Empolitour è cresciuta, è diventata più saggia e predisposta a posarsi sulle deserte còltrici. D’ora in poi non aspettiamoci più gli aulici versi manzoniani ma quelli rinunciatari di Fred Buscaglione: “Avevo appuntamento per le nove, ma piove, e chi si muove. Avevo appuntamento per le nove, ma piove, ed ho le scarpe nuove”.


01/05/2002 Conto alla rovescia

 

Nave senza nocchiero in gran tempesta, non donna di province ma bordello. Questa è l’Empolitour senza il presidente Caparrini. Una scolaresca indisciplinata senza professore, un gregge impaurito senza pastore, un fiume in piena senz’argini. Il presidente sa aggregare ed ammansire, consolare e conciliare, trovare la via comune per plasmare un coacervo altrimenti intrattabile di ciclisti, tramite percorsi collaudati, salite collaudate, fontane collaudate, soste collaudate, due palle, è vero, collaudate, perché si finisce per passare sempre dalle stesse strade ed entrare sempre negli stessi bar, ma almeno lo si fa tutti insieme ed al postutto chi parte anche arriva, fatte salve le defezioni itineranti annunciate prima del via.

In uno dei rarissimi giorni d’assenza del presidente, invece di seguire i suoi ammonimenti e recitare uno dei tanti canovacci stagionali fritti e rifritti (Avaglio, Casore, Serra…) l’Empolitour si è affidata alla mente del cattivo consigliere Chiarugi che ha partorito un tragitto nevrotico con nove colli tutti nel raggio di venti chilometri da Empoli, anche su implicito suggerimento della Bertelli che la vera “novecolli” di Cesenatico dovrà affrontare tra poco. Si trattava di una rivoluzione copernicana in casa Empolitour, una metodica innovativa e rischiosa attuabile soltanto in una situazione di vuoto di potere come questa. Il rischio era chiaro e calcolato. Ad ogni bivio si sarebbe perso qualche pezzo ma in compenso si sarebbe potuto indurre nei riduttori meno dogmatici la tentazione dell’incremento, perché in fin dei conti ogni colle scalato in più avrebbe significato un minimo aggravio di chilometri e, di tentazione in tentazione per una sorta di reductio ad infinitum, anche un riduttore ostinato come Bagnoli L. avrebbe potuto completare l’arzigogolato giro.

In realtà le cose sono andate diversamente perché i ciclisti, più che percepire il lato innovativo del progetto e dare così un esempio d’efficienza allo scettico Caparrini, hanno approfittato della sua assenza per lasciar erompere dalle loro anime represse da troppa regola sociale, i più retrivi istinti d’individualismo. Intanto i membri più assidui e metodici, come Baricci, Giunti e Tempestini, per saggio timore d’anarchia sono rimasti a casa. I presenti in sede erano Chiarugi, Bagnoli A., Traversari, Pelagotti, Boretti, Pagni, Bertelli e nientemeno che Boldrini. Poteva essere il suo giorno, il celebrato rientro dell’amato compagno transgenico dopo la revisione biomeccanica e l’aggiornamento del software gestionale, e invece siamo qui a piagnucolare e rassegnarsi che la politica del presidente ha sempre ragione.

Si diceva dello sfogo degli istinti repressi. La Bertelli, prima d’essere inglobata nel magma godereccio dell’Empolitour, era una donna d’agone che partiva ed arrivava senza mai voltarsi. Ebbene, oggi è tornata agli antichi splendori. Pronti. Via. Ed è già in fuga. Imbocca con pervicacia il ponte non canonico e tutti dietro all’inseguimento. Bagnoli L., che stava invano aspettando sul ponte canonico, è già tagliato fuori.

Chilometro Zero. Meno uno.

Stupisce la presenza di Bagnoli A. e Traversari. Finalmente li rivedremo in azione in salita. Ai piedi della rampa di S.Ansano s’odono le loro frenate e i loro saluti.

Chilometro otto. Meno tre.

Pazienza, siamo ancora in sei e piuttosto convinti, anche se i denti intermittenti di Pagni minacciano ristori ordinari e straordinari. Primo colle: Pinone. Bertelli inquieta, Pagni sospetto. In discesa si ferma a fotografare un campo fiorito. La Bertelli invoca lo scisma dell’Artimino (secondo colle) poi si rappacifica per il versante programmato di Poggio alla Malva. Ma per poco. Dopo una sequela di ventipercento, Pagni non ha più freni inibitori e si scaraventa in un bar uscendone fiero e gaio con lardo di Colonnata e calice di pregiato rosso di Capezzano. Sono le 9.48 e la Bertelli indignata era già da tempo evasa a valle.

Chilometro trentuno. Meno quattro.

Pazienza, siamo ancora in cinque e piuttosto convinti, anche se sul terzo colle di S.Vito, Pagni ha l’alito e Boretti il sudore pesante. Malmantile: toh, la Bertelli pentita è tornata indietro e, coup de theatre, Bagnoli L. ci viene incontro dopo un inseguimento forsennato. Che bello! Chilometro quaranta. Si torna a meno due.

Tutti e sette in fila sul quarto colle, tipicamente chiarugiano, di S.Donato a Livizzano. È il momento di maggiore comunione ed idillio anche se Pagni e Boretti stanno maturando pensieri licenziosi annegati nel sudore e nel succo gastrico. Boldrini passa davanti casa ma tira innanzi nonostante le preghiere della moglie. Lui sì che è convinto. Incombe ancora il Pinone da Castra. Il ritardo sulla tabella di marcia più pessimistica è di circa un’ora. Pagni e Boretti si guardano negli occhi e negli stomaci. Seconda sosta-Pagni a Limite sull’Arno. Pelagotti arruolato. Gli altri quattro renitenti.

Chilometro sessantuno. Meno cinque.

Chiarugi, Boldrini, Bertelli e Bagnoli L. È comunque un’aurea quaterna che sta scalando un colle indocile dopo altri quattro non meno garbati. Non può essere un insuccesso come Caparrini, sotto sotto, sta sperando. Bertelli ancora inquieta sul GPM. Va avanti e indietro come il famoso Vinicio con la restless leg syndrome sullo Stelvio. Bagnoli arriva zigzagante sull’ultima rampa al 3%. Mi sa che i suoi colli finiscono qui. In discesa la Bertelli è irrefrenabile. Sfreccia, si ferma, aspetta, riparte, non aspetta. Fischi ed urla vani. È andata a diritto.

Chilometro settantadue. Meno sei. Anzi, no. Torna indietro ed è pure incazzata.

Il sesto colle sarebbe un banale Vinci da S.Donato, anche lo sfinito Bagnoli tituba, forse insiste. Ma altro coup de theatre, arrivano Pagni, Boretti e Pelagotti giù dal Pinone. Alè! Si ritorna a meno tre, a tre colli dalla fine. Caparrini schiatterà d’invidia. Neanche per idea. I tre reprobi sostatori filano verso casa motteggiando gli altri e Bagnoli opta per la terna più gaudente.

Chilometro settantadue. Meno sei. Questa volta per sempre.

Peccato. Ma restano pur sempre tre fior d’atleti a completare la prova. Anche al presidente è successo spesso di finire in tre o meno. Consoliamoci. In fondo riusciamo a trascinare fino in fondo la Bertelli che per tutta la mattinata pareva elettricamente instabile. Fino in fondo si fa per dire perché allo scoccare di mezzogiorno Cenerentola si ricorda che la sua bici sta per essere ritrasformata in una zucca.

Chilometro ottanta. Meno sette.

Ora tocchiamo davvero il fondo. Chiarugi e Boldrini concordano per un settimo ed ultimo colle che per vendetta sull’altrui neghittosità ed asocialità sarà l’inedita scoperta della variante di S.Baronto da Tigliano con punte del 21%. Almeno Boldrini l’hanno riparato bene.

Chilometro cento. Meno nove.

Caparrini ritorna, le colline sono in fiore.


28/04/2002 I confini del silenzio

 

Taci. Sulle soglie del bosco non odo parole che dici umane. Non è La pioggia nel pineto, è la mediofondo di Vallombrosa che, dopo la scorsa edizione fradicia e disaggregante, è tornata oggi asciutta ed aggregante. In tempo e modo perché il folto gruppo al passaggio sull’Arno potesse finalmente intonare Mattinata fiorentina di Narciso Parigi. È proprio primavera. Alle Cascine le bambine sono sveglie ed anche tutte le autovetture dei loro babbi che ci danno il festoso benvenuto insieme a una decina di torpedoni turistici che a malincuore reprimono il desiderio di triturare qualche bicicletta sotto i pneumatici. La fiumana dell’Empolitour sui viali di circonvallazione è davvero imponente, tracima oltre la corsia, non si ferma agli incroci, travolge e ingloba chicchessia, tranne una signora con tailleur e vetusta bici da passeggio che sfugge alla presa del plotone scattando sul Ponte alla Vittoria.

Di medio questa mediofondo dai grandi chilometri ha soltanto la media oraria, nonostante ripetuti tentativi di fuga di coloro che si fanno belli di velocità perché già predestinati alla viltà del ridotto. Sui loro capi pende un sentimento oscillante fra genuino ludibrio e pietas cristiana. Un bel giro Empoli-Firenze-Empoli con sosta al Piazzale Michelangelo evoca la nostalgia del tempo che fu, quando eravamo povera gente, e questi quattro esecutori meritano solenne menzione: i due Bagnoli, maestri supremi di riduzionismo, Boretti, maestro d’inaffidabilità e il dato per estinto Traversari, assolto per insufficienza di prove.

Concentriamoci sui probi viri mediofondisti che, guidati dal loquace Cicerone-Virgilio-Caparrini, tentano di attraversare i gironi infernali che li separano dalla salita di Vallombrosa, una scala verso l’Eden, verso un silenzio sopra al quale c’è solo la morte, c’è solo il Chiarugi che, dopo la deludente maratona, ha poca voglia di parlare. Parla poco anche la Bertelli con una voce modulata su Gino Bartali e Aldo Giuffré ed alternata a mitragliate di tosse. Gli altri parlano con un linguaggio simbolico: Bitossi parla con l’olio canforato che lascia la scia dalle gambe nere come il carbon, Pagni con una banana marcia fuoriuscente dal taschino ed un paio di ridicoli calzini poplitei, Tempestini con un raggio rotto che gli tentenna inavvertito per molti chilometri, Giunti con gli occhiali fronto-temporali di Tazio Nuvolari, Baricci con freschi pensieri che l’anima schiude novella davanti alle incognite salite.

Si susseguono però le Malebolge lungo la statale 67: Compiobbi, Quintote, Girone, Sieci, Le Falle. Sì, ne abbiamo le falle fiene di questa strada. Ci pensano i raggi di sole a riscaldare i corpi e il raggio di Tempestini a riscaldare le menti. Svitamento destrorso o sinistrorso? Riunione accalorata d’insipienti tecnici, poi l’infruttuosità fa decidere per l’asportazione a mani nude. C’è troppa fretta di quiete e di salita, soprattutto nelle acerbe fibre di Baricci e Giunti che s’incamminano solitari verso Tosi, paese di mobilifici, pecorari e barbieri. I compagni li lasciano trotterellare fin sulle soglie del bosco. Taci. Non odo parole che dici umane, ma odo parole più nuove che parlano gocciole di sudore, respiri caldi e catene oleose. Il gruppo si allunga verso il cielo come i rami di questi alberoni che portano il silenzio alla foce dell’anima. Come queste fronde, i ciclisti si separano restando uniti al tronco della loro anima comune che adesso si ristora all’ombra della purezza dopo essersi macchiata delebilmente nell’immondizia della sonora civiltà. Niente di meglio di un’abbazia per nutrire quest’anima, niente di meglio di un chiosco da porchetta per nutrire Pagni e compagni con pane e companatico. La porchetta che campeggia sulla Capannina di Vallombrosa è però uno specchietto per allodole e lo schietto gestore può purtroppo impartire solo qualche variante suina più digeribile ma senza alcuno sprezzo dell’onerosità. L’altitudine rarefa l’aria ma non sempre i prezzi e così la spesa pro capite risulta superiore al costo globale medio di una sosta-Pagni dal Lento del Monte Serra.

Anche la discesa è ricca di spunti, oltre che di panorami sul Valdarno. La Bertelli sfreccia a Pietrapiana dove un colto negozio di vasellame le dedica una massima di San Tommaso scritta sulla vetrina: pulchra dicuntur quae visa placent, come dire che la sua bellezza sta nel piacere di vederla in bici. Prima di smorzarsi a Figline la strada senza pedalate passa da Vaggio, paese ispirato al famoso calciatore del Vrescia, ex Vologna (:-)). Da qui in poi i luoghi ci regalano altre dediche. Poggio alla Croce, come quella che deve portare Baricci per arrivare in cima col solito cireneo Caparrini; San Polo, come il prossimo sport che praticherà Pagni dopo la vela, giacché in bici ormai ha sul collo l’imbarazzante fiato di Caparrini; Ferrone, come l’eterea bicicletta di Giunti; Falciani, come la falce manzoniana che pareggia tutte l’erbe del prato e tutti i ciclisti, ora intorpiditi in un comune desiderio di lentezza; San Casciano Val di Pesa, pesa come la bici fra gli stanchi pedali, come la fame di Pagni che impone un’altra sosta per poter arrivare indenne ai propri lari di Bassa. Bassa come la voce della Bertelli, come la pressione delle sue gomme, come l’attenzione di Tempestini dimentico degli occhiali nel bar, come la probabilità di pioggia, come la lega di molta ironia in questo racconto e come l’energia residua nelle gambe di tutti i ciclisti, tutti comunque alti sul traguardo dei loro cuori silenziosi.


07/04/2002 Il taglio del bosco

 

Nelle verdi terre della Svizzera pesciatina la primavera pedala lentamente, tanto che sulle cime romite oltre i confini di Vellano la stanno ancora aspettando. Sale più piano dell’imperterrito Baricci che sembra indugiare per aspettarla, ma dietro di lui c’è solo il respiro indistinto delle morte stagioni, c’è solo un cielo cinerino e stagnante come i pensieri dopo un risveglio forzato, come i pensieri di Pelagotti perduto insieme al centellinante Bagnoli A. nel grigiore di un’alba troppo precoce e paludosa prima di una salita che non ci sarà mai. Il ritardatario Pelagotti è talmente grigio in volto che si mimetizza nell’aria e Caparrini si accorge di lui solo dopo venti chilometri.

Baricci ha tronco e radici maremmane, impenetrabili come le macchie mute d’ogni luce dove si muovevano le pazienti vicende dei boscaioli descritti da Cassola. Da costoro ha ereditato il rispetto per la fatica e per l’attesa e quel compassato atteggiamento di sottomissione al potere della natura di cui conosce i lati invincibili quando sente la sua bici elevarsi bruscamente al cielo. Davanti a sé avrebbe una coppia di spettacolari ballerini da inseguire ma non accelera perché il bosco gli sussurra frasi di resine aulenti che lo inebriano e gli catturano la volontà di osare. Caparrini e Pucci smentiscono l’opinione popolare che il ciclismo sia il risultato di uno schema motorio per sole gambe. La loro pedalata è un’onda tersicorea che si propaga per tutto il corpo in tutte le direzioni. Dopo un po’ che stanno insieme imparano anche ad ondeggiare in fase: beccheggia l’uno, beccheggia l’altro; rolla l’uno, rolla l’altro; imbarda l’uno, imbarda l’altro. Caparrini accompagna queste unisone danze con le trombe dei polmoni mentre Pucci illumina le scene col rosso vermiglio della faccia.

La salita era cominciata a Pescia con l’incitamento al gruppo di un potatore di rami di platano ed aveva preso il massimo vigore tra le fronde disseminate sull’asfalto da una squadriglia di operai con le motoseghe. Si era un po’ riposata tra i muri di Vellano per poi ricominciare a correre alta e silvestra fra tanti toppi umidi e tristi, lasciati a testimonianza di un destino reciso dall’uomo che sa tagliare di netto le vite come la parca Atropo. Forse le passioni hanno bisogno ogni tanto d’essere potate come i rami e i tronchi di questi alberi, affinché possano ricrescere più nuove e rigogliose di prima. Questo vale per chi si è fermato ad aspettare un corpo più forte e cioè per i due amati sobillatori di pugne, Boldrini e Nucci, che hanno lasciato nelle braccia della monotonia gli arrivi in salita dell’Empolitour.

Il narciso Chiarugi è ignorato anche dalla telecamera. Ha serie difficoltà ad andare piano in salita con la sua esile principessa nera. Si volta e vede Tempestini meditabondo che sogna in mezzo a quel ben di Dio di legname tutti gli stuzzicadenti che vi si possono fabbricare. Conta i suoi lignei amuleti dentari e finisce per addormentarsi nel suo passo regolare senza immaginare che il bar della sosta-Pagni a Marliana ne sarà sprovvisto.

Pagni invece trova sempre qualche espediente per tenere desta la platea. Oggi ha riesumato i pantaloncini neri di prima generazione che sono elastici e aderenti come le brache del nonno e risalgono la coscia di circa mezzo centimetro a pedalata, assumendo dopo cento chilometri una suadente conformazione inguinale, poco più di un’adamitica foglia di fico. La Bertelli non si sottrae a tanta virile grazia e in vista del GPM di Macchino lo raggiunge dopo aver confabulato a lungo con quello spiritello nascosto nel suo addome adamantino che ogni tanto le mostra un carattere acidulo e intrattabile. Fra questo muscoloso ventre e i ventri danzanti di Caparrini e Pucci, si agita Giunti per il quale il distacco dal ventre materno è ancora doloroso. Vorrebbe affrancarsi, pedalare in avanguardia, procacciarsi il cibo senza dipendere sempre dall’allattamento al seno di Caparrini, ma da solo non resiste a lungo e alla fine è costretto ad invocare la materna protezione del presidente che lo affianca e gli porge di nuovo il capezzolo. Tanto è però forte l’anelito ad un volo libero in balia dei venti, che Giunti in discesa si mette addosso un k-way gonfiabile ad uso mongolfiera, e non riesce a sollevarsi da terra soltanto perché il telaio della sua bici ha una densità di poco inferiore a quella dell’uranio impoverito.

E per passare di palo in frasca, dai metalli pesanti ai gas nobili, parliamo ancora, per l’ultima volta, della bici di Chiarugi, più specchiata della regina di Biancaneve. Durante la sosta-Pagni rimane apparentemente incustodita davanti alla vetrina del bar attraverso la quale tutti i ciclisti coi bomboloni in bocca seguono gli sviluppi di una religiosa epifania. Una processione di marlianesi le si avvicina. Venite adoremus. La guardano, la sfiorano, la palpeggiano. C’è un uomo con la sigaretta, uno con un bimbo sulle spalle, uno col cane sciolto e un pastore con un agnello a tracolla. Tutti spalancano le bocche e lasciano doni. Peccato che nessuno abbia pensato di donare un po’ di mirra. Dopo trentasette Natali era l’occasione per capire finalmente che roba è.


01/04/2002 Miseria e nobiltà

 

È inutile rifugiarsi nell’idilliaco giardino fiorito della letteratura: la terza edizione della Medio Fondo di Monteriggioni si è risolta in un sincero insuccesso di pubblico e di critica. Lo ha ammesso a malincuore anche il presidente Caparrini che con una programmazione ardimentosa aveva sfidato la liturgia di Pasquetta, ben sapendo di doversi scontrare con le insopprimibili esigenze di mogli, suocere, zie e figliolanze, desiderose di pranzi ecumenici o scampagnate. L’esito della manifestazione si è così concretizzato in un’audience scarsa in partenza e dimezzata all’arrivo con moltissimi spunti di sana banalità che stenterebbero a trovare spazio nel repertorio di Gigi Marzullo.

Accantoniamo, perché già usate in passato, le citazioni dantesche (“però che come sulla cerchia tonda Montereggion di torri si corona…”) o le figure retoriche, a parte questa preterizione (un modo come un altro per dire che la citazione dantesca non è stata accantonata affatto, tanto per allungare il brodino della narrazione) e tuffiamoci dunque in questo mattino di evolvente brillantezza che avrebbe meritato ben altra sorte di quella della minestra riscaldata, sorbita per intero solo da pochi irriducibili.

A pensarci bene un afflato d’ispirazione lirica ce l’abbiamo: le bici nuove di Caparrini e Chiarugi. Valeva la pena partecipare solo per adorare le loro Pinarello: neoclassica quella di Caparrini, principesca quella di Chiarugi, al cospetto delle quali gli altri vissuti corsieri esibiscono tutte le stigmate della loro militanza, come la pece extravergine d’oliva sulla catena della Daccordi di Pagni, le cilingomme appiccicate sotto i tubi della Daccordi di Tempestini, le tracce di magma primordiale sulla Cannondale della Bertelli e le chiazze di corrosiva seborrea sull’ebano della Pinarello di Boretti che gli osservatori più disattenti ritengono identica a quella di Chiarugi. Chiarugi e Caparrini, ogni vetrina che passa è come uno specchio d’acqua sul monte Elicona ove i due narcisi si rimirano con avidità; il presidente è più pudico e si lancia soltanto qualche fugace sguardo di ammirazione temendo di essere visto, Chiarugi è più plateale, rallenta, indugia e si assapora con gli occhi, anche perché ha scelto una mise di calzino e scarpa che fa pendant col telaio e la borraccia. Per fortuna arrivano i selvaggi borghi e le colline della Val di Pesa e del Chianti, privi di qualsiasi superficie speculare, così Chiarugi è costretto a rimirare per ripiego la Bertelli, che forse non sarà bella come l’immagine riflessa di se stesso ma che, a quanto pare, possiede uno stile in bicicletta piuttosto ammaliante.

Appena il tempo di togliersi qualche presidio termoregolatore posticcio (gambali, mantelline e giornali addominali) a fronte di una temperatura triplicata nel giro di due ore, che Boretti e Tempestini lasciano la via maestra e si avventurano in un percorso ridotto destinato verosimilmente alla corsia di sorpasso della vicina superstrada Firenze-Siena. L’arrivo dell’auto col cineoperatore Nucci sembra distogliere la Bertelli da questo stesso insano proposito, maturandone però un altro ben più peccaminoso.

L’attraversamento ad ore precoci di strade beatamente bucoliche sottrae per un po’ i pensieri dalla realtà cronologica in atto, ossia dalla constatazione di trovarsi vicino all’epicentro turistico di una Pasquetta assolata. Il fresco vento della veloce discesa da Castellina alla Cassia risveglia bruscamente dai sogni agresti i quattro ciclisti che vedono sgorgare dalle viscere della statale un’orda indistinta di gitanti automobilistici fuori porta che a Monteriggioni si tramuta in una mandria vagolante di allegre coppiette con sguscianti bimbi allo stato brado. La piazzetta medievale naturalmente brulica di pedoni e pedoncini ma le cinque sedie degli anni precedenti sono libere e consentono a Pagni di rilassarsi e cominciare a giocare in casa con due ipertrofiche fette di pane ed altrettanto ipertrofico companatico, indorate da pregiato calice di Chianti. Caparrini pareggia l’arconte nel ruolo che fu dell’ormai inappetente emulatore Nucci, il quale si limita ad emulare l’unzione del viso senza però denudare come Pagni le membra, peraltro coperte dall’antiquata tuta-coltrone sociale.

Il povero Pagni, con le gengive imbullettate dal dentista, è costretto a masticare con le mani pur di tenere fede al ruolo che tuttavia lo vede ancora protagonista. Il povero Nucci invece, con mezzo minuto di filmato e mezz’ora di assistenza alla sosta, si guadagna la presenza nelle due foto sociali e il ritorno a casa con la nobildonna Bertelli che al termine di elucubranti trattative familiari opta per il percorso interruptus sull’auto della regia. Ad onor di cronaca, neanche i tre superstiti concludono l’itinerario nella modalità integrale poiché Caparrini e Chiarugi sono colti da un trasporto di pietà nei confronti di Pagni, debole non solo nella dentatura, e gli risparmiano le salite finali di San Gimignano e Badia a Cerreto. Si crede che all’una del dì di festa tutte le mandrie siano ferme ai dolci pascoli, invece sulla statale 429 ci danno ancora il benvenuto molte famiglie di transumanti sgassatori con le bauliere ricolme di provviste da picnic, compreso qualcuno che per amor di spaziosità viaggia a bordo di un fumante autotreno che, per un crudele destino di semafori, sorpassa quattro volte i tre derelitti ciclisti. Può sembrare un finale inglorioso ma al postutto, fra i metalli preziosi delle due nuove Pinarello e dei nuovi denti di Pagni s’intravede anche un cenno di compiaciuto sorriso.


17-24/03/2002 Cime tempestinose

 

Ovvero le danze floreali delle api operaie, omaggio primaverile a queste due radiose domeniche a cavallo dell’equinozio che hanno esaltato il popolo industre dell’Empolitour privo dei cosiddetti capitani. Bici bagnate di servo sudor, abituate ad anonime posizioni mediane, si sono finalmente consacrate protagoniste al cospetto di due salite veraci ma non feroci, giuste per celebrare le doti di silente costanza dell’ape operaia più veloce del momento, Tempestini. Lo conoscevamo per alcune sue peculiari costumanze come la cilingomma, lo stuzzicadenti, la visiera da saldatore, il ventisei in pianura e la guida contromano, tutte qualità che non gli impedivano di beccare ogni tanto imperiose crisi liquescenti; ne ricordiamo due sul Serra di proporzioni geologiche. Ma proprio sul Serra l’alacre Tempestini ha raccolto i primi frutti di una lentissima maturazione tecnico-tattica, assaporando un’esperienza che a molti ciclisti è raramente concessa in qualche angolo dei sogni: essere solo al comando in salita con un folto gruppo che lo insegue ed una telecamera mobile che lo immortala. Sì, perché da quando l’allenamento domenicale del capitano Nucci è imperniato sulle scalate automobilistiche e filmistiche, attività che a quanto pare saranno predominanti nel futuro dell’Empolitour al Giro e al Tour, la cineteca sociale sta diventando interessante ed anche la fantasia del narratore assente ha margini di galoppo più ristretti.

Le grandi manovre del Serra erano cominciate a Bientina con una collettiva sosta minzionale ortostatica, dalla quale la Bertelli, per sue irrinunciabili caratteristiche anatomiche, preferiva esentarsi, onde avventurarsi da sola sulle prime pieghe del Monte Pisano a caccia d’altri maschi più dinamici e meno vescicali. Penar non poco devono Tempestini e Pelagotti per rincorrere e catturare l’ape regina, ma se il fido operaio riesce anche a staccarla, pur con qualche tarantolismo finale, l’enorme calabrone sulla via finale comune delle antenne subisce da lei un inesorabile risorpasso che lo lascia piuttosto piantato e ronzante. Alle sue spalle svolacchia Pagni tutto sbudellato ed un determinatissimo Caparrini che, ballando il suo dondolante twist, quasi quasi segna il tempo della vita. Con più stabile morigeratezza arrivano appaiati Bagnoli L. e Giunti e quando sul piazzale assolato si presenta anche l’imperturbabile Baricci, tutti facendo un po’ di conti si accorgono che manca Boretti e inferiscono che abbia fatto la botta. Infatti è botta piena, di quelle che tolgono la capacità d’intendere e di volere. Boretti non sembra affaticato, è semplicemente annichilito e questo stato catatonico gli dura un’intera sosta-Pagni, peraltro una delle soste-Pagni più lunghe del secolo.

Clamoroso al Serra: Walter l’amicolento, che molti davano già per emigrato a valle, è invece tuttora esercente ed ovviamente lento. Anzi, per migliorare il servizio di temporeggiamento, è riuscito a plasmare mirabilmente un assistente che in certe operazioni di melina addirittura lo sovrasta, come nella ricerca di aranciate, dove è d’impareggiabile inconcludenza, o nella preparazione dei caffè che inizia dalla tostatura e la macinazione dei chicchi. L’attesa dei consumabili, che per chiunque sarebbe snervante, è per il plotone biancoceleste un motivo di sfrenata e sonora gaiezza che rende tollerabile, forse perché le risate riescono provvidenzialmente a coprire le note, anche il repertorio completo di Alexia, diffuso nell’aere a volume semimassimale.

Passa una settimana e si va a suonare la salita di Massa e Cozzile. Si riducono i musicanti ma la melodia cambia di poco. Novità importante è il barlume di Bagnoli A. che si rivede per qualche chilometro, quanto gli serve per un primo velocissimo ripasso della materia suo malgrado trascurata ed in particolare per l’apprezzamento delle esplosive virtù posteriori della Bertelli e della virtuosa esplosività in volata di Pelagotti che dopo la Milano-Sanremo si può fieramente definire cipollinità.

Raddoppiano i Nucci addetti alla cinematografia itinerante e il film della salita comincia con un altro abbrivio della Bertelli, stavolta senza il beneficio della non minzione, ed è necessaria tutta la progressione dell’indomito Tempestini per riacciuffarla a Massa. Qui ci viene in mente il Tour del 1988 quando Ghirotto vinse la tappa pirenaica di Guzet Neige approfittando di un errore di percorso di Millar e Bouvatier che lo precedevano ma che si fecero portare fuori strada da una distratta staffetta della gendarmeria. In questo frangente i distratti sono i due Nucci che imboccano erroneamente la via di Buggiano e si trascinano dietro i battistrada Bertelli e Tempestini, irretiti dal fascino attrattivo della telecamera. Per sollevare da ogni responsabilità l’onesta macchina della regia bisogna però sottolineare che, conoscendo le loro innate capacità geografiche, i due erano destinati comunque a sbagliare strada. Neanche in seguito a questo vantaggioso episodio l’inseguitore Pelagotti riesce a fare il Ghirotto della situazione, semmai soltanto il ghiro, scalando l’ultima parte della salita con passo tardo e sonnacchioso e con una turbolenza respiratoria simile a russamento, fino a mantenere il distacco dall’imprendibile Tempestini nei limiti del minutino, sorpassando però la Bertelli che come volevasi dimostrare perde di nuovo l’orientamento e si ritrova in un campo arato di fronte ad un trattore. Dietro di lei la situazione è ancor più soporifera con Caparrini che, privo di riferimenti cronometrici storici da migliorare, ora consola la lentezza di Boretti e col distinto Baricci che dall’alto del suo aplomb si guarda bene dal raggiungerli.

Le api operaie rifornite di polline a Vellano si abbandonano ai voleri del vento che atterra e suscita, che affanna e che consola sul deserto padule. Poi a Fucecchio quando tutto sembra finito, un presagio si materializza sotto forma di Chiarugi. Il fantasma del capitano viene a dire che la sua anima ciclistica non è morta. È bello e corrusco sopra ad un nero purosangue snello e principesco, funesto sigillo di duratura imbattibilità. E nello sciame si brusisce che la festa danzante delle api operaie appena cominciata è già finita.

 


03/03/2002 Stregati dall’Empolitour

 

È tutta questione di empatia. Accade quando una persona riesce ad immedesimarsi nei sentimenti di qualcun altro attraverso una sintonia relazionale che è pane per i denti della psiche e degli psicanalisti. È accaduto anche all’Empolitour. Una squadra che sembrava esoterica, con un linguaggio iniziatico, una ritualità maniacale, una spontanea propensione ai comportamenti ossessivo-compulsivi ed alle abitudini controriformistiche e controciclistiche, ora è fiera di aver attratto empaticamente nello stesso giorno due diverse entità ciclistiche: un baldo cicloamatore con licenza di foga ed un’amabile campionessa cesellata di vigoroso candore. Due seduzioni casualmente confluite sulla stessa strada, che hanno intriso d’inaspettata vivacità la domenica di vigilia della classica Tinti, altrimenti votata ad un precauzionale sopore atletico, alimentare e narrativo.

Tutto è cominciato con l’arrivo del primo ospite, il castellano Ramerini, guidato in sede da un’istintiva curiosità per le leggende ipertestuali sull’Empolitour, che ormai diffondono in tutto il web binomi criptici come sosta Pagni, sosta Vinicio, classica Tinti e oscuri paradigmi semiotici come fascia caparriniana, salita chiarugiana, mostruosità boldriniana, leggiadria bertelliana ecc.

Un ampio orizzonte di varia umanità biancoazzurra s’apre alle sue conoscenze in pochi minuti: lo smisurato Caparrini, lo scavato Chiarugi, l’intonso Baricci, il biascicante Tempestini, l’imprevedibile Boretti, il lupoide Pelagotti, il fuoristradista Busoni, la fatata Bertelli, il cartesiano Bagnoli L, il ridente Pagni e il minuto Nucci, nelle convalescenti vesti di operatore televisivo coadiuvato da Nucci senior. Grave lacuna conoscitiva scaturisce indubbiamente dall’assenza del transgenico Boldrini sottoposto ad un delicato intervento di tornitura nelle stesse officine che costruirono il Terminator.

Destinazione Malocchio, salita per l’appunto chiarugiana, foriera d’immeritati presagi ominosi, fallacemente funesti come qualche scuro nembo e qualche umidore stradale destinati a dissolversi nel sole.

Bertelli, leggiadra quanto magniloquente, si accaparra subito l’ospite e ne saggia la resistenza alla fatica uditiva con una litania a lingua libera di personaggi, interpreti e riassunti delle puntate precedenti, temi sui quali egli pare però già piuttosto preparato, anche senza bisogno di tanto, seppur suadente, assillo viaggiante. Ma la salita richiede altro tipo di preparazione e infatti i discoli meno studiosi si avventano con spropositata ferocia sulle sue ombrose spire, dimenticando i loro cronici vizi di forma atletica. Grazie alle riprese di Nucci dalla bauliera della Cinquecento, vediamo in testa due sgraziate locomotive a vapore, Pelagotti e Pagni, che nel furore delle loro menti ottenebrate dall’affanno quasi deragliano mentre le incolpevoli bici si avvinghiano nel bosco. Assistono così inanimi ai sorpassi dell’inesorabile Chiarugi e dei più prudenti Ramerini e Tempestini. Non lontano dai fasti della telecamera salgono una coppia (Bertelli, Busoni), un trio (Bagnoli, Boretti, Caparrini) e un singolo (Baricci) che al pondo naturale gradisce aggiungere anche quello dell’armatura sociale invernale. Ramerini verifica così a Malocchio che Chiarugi su una salita chiarugiana gioca in casa, ed a Massa che Pagni nella sosta Pagni gode di una supremazia territoriale emerita ma che molti altri non hanno ormai più niente da imparare dall’arconte eponimo nell’arte del consumismo.

Sembrerebbe finita così, col solito ritorno piatto condito da qualche orgia di baccanti sulla salitella cerretina. Invece all’improvviso nella tundra di Monsummano il gruppo riceve dalla terra un candido omaggio floreale. Spunta, non si sa come, non si sa quando, una ciclista biondina che il solo Caparrini riconosce, pur storpiandole il nome, come Zinaida Stahurskaia, campionessa del mondo e vincitrice dell’ultimo Giro d’Italia. È un folgore che abbaglia il sonnacchioso plotone. Accanto alla fragranza purpurea della rosa canina Bertelli, sboccia una rosa della Russia Bianca, coi bianchi petali e il fusto scultoreo. Sulle prime sembra una presenza fortuita ed effimera. Si sa come vanno questi incontri; il campione si trova intruppato in mezzo ad emulatori bradicinetici ed attende con circospezione il primo bivio per svicolare. La Stahurskaia invece rimane sempre lì. Dopo uno, due, tre, quattro bivi imboccati insieme, si comincia a sospettare che non si tratti di una coincidenza di percorso ma che la zarina, stregata dall’Empolitour, si lasci trasportare empaticamente dall’onda disordinata di questo gruppo, diciamo pure dall’orda disordinata, dove ognuno, forse per farsi bello agli occhi suoi, accelera senza regola e ritegno, sorpassando da sinistra, da destra e dal centro, dove Pagni cerca di abbordarla chiamandola Irina ed invitandola al prossimo banchetto del Tinti e dove il cerretino diventa teatro di un duello all’ultimo rantolo fra Chiarugi e Pelagotti. Incuriosita da tanto sbuffante agone, la Stahurskaia si accoda al duo di testa con una nonchalance che incanta tutti. La scena cui assiste da vicino è quella di un forsennato (Chiarugi) che tira con recondite ambizioni di solitudine e di un altro (Pelagotti) agganciato alla sua ruota che respira come un martello pneumatico ma che poi lo sorpassa e lo stacca di dieci metri negli ultimi venti. Se la pellicola di Nucci non fosse già irresponsabilmente esaurita immortalerebbe un ordine d’arrivo quanto mai insolito ed irripetibile: primo Pelagotti, secondo Chiarugi, terza Stahurskaia con un’espressione un po’ così, fra l’allibito e il divertito.

Mentre Pelagotti fugge esultante, il battuto si consola innamorandosi dell’angelica bielorussa nel breve spazio di un GPM. Dialogo fra i due: “Scusa se non parlo ancora slavo. Mentre lei che non capiva disse bravo.” Ma la luce dell’est si spenge di lì a poco nell’ultimo fatal bivio di Sovigliana che dissolve il profumo d’un amore troppo presto sfiorito.

“Il mio sogno è nutrito d’abbandono, di rimpianto. Non amo che le rose che non colsi. Non amo che le cose che potevano essere e non sono state.”

Oppure si mette da parte il malinconico Gozzano e s’adotta la tattica dell’architetto Melandri di Amici miei. Si va dal marito della Stahurskaia e gliela si chiede in usufrutto, a costo di pigliarsi dietro i figlioli, la governante tedesca e il cane Birillo che, se non condotto a pisciare fuori alle cinque del mattino, inonda la casa.


24/02/20002 Elogio dei mezzi

 

Contro ogni luogo comune le mezze stagioni esistono ancora. Così come esistono ancora le mezze montagne, le mezze salite e i mezzi ciclisti. L’amore per le mediane virtù conduce l’Empolitour a Casore del Monte in un clima di beata transizione fra gli strascichi di bianco inverno e i primi fiori rosa fiori di pesco. A metà fra il sole e le nubi, fra l’abbigliamento pesante e quello leggero, fra la collina e la montagna, arriva questo paese mezzo vuoto e mezzo pieno, raggiunto da tre mezze salite amene e umbratili ma incompiute, delle quali l’Empolitour sceglie la più mediocre. Ma la squadra non è ammezzata, anzi sfiora la completezza. Se Bagnoli A. e Nucci non fossero tenuti lontano da persistenti gravami fisici, mancherebbero soltanto i tesserati brevimiranti o virtuali.

Davanti al portiere Caparrini la formazione schierata è un prudente 4-5-1, con Bagnoli L., Baricci, Boretti e Giunti in difesa, Bertelli, Boldrini, Pagni, Pelagotti e Tempestini a centrocampo e Chiarugi unica punta. Busoni gioca pochi scampoli di partita in mountain bike fino a Porciano e Pucci si mette in luce nel primo tempo ma non rientra in campo dopo l’intervallo. L’inizio è però in inferiorità numerica perché Giunti si aggrega dopo il fischio d’inizio e Pagni fa lo stesso con una mezz’oretta di ritardo, privo di mezza arcata dentaria superiore, come Andrea Nicolai quando quarant’anni fa cantava Fammi crescere i denti davanti te ne prego Bambino Gesù.

Le prime azioni di riscaldamento si svolgono sul sambaronto dove Boretti marca a uomo e a donna, strattonando fallosamente la Bertelli per impedirle la fuga. Pelagotti invece, già intriso di sudore a mezzobusto, scivola via dalle asfissianti marcature e guadagna punti preziosi sul GPM. La mezzala transgenica Boldrini alza il braccio per segnalare una presunta posizione di fuorigioco dello svicolante ciclista mannaro, ma l’arbitro Caparrini non vede perché è staccato in un’altra metà di gruppo ove il guardalinee Tempestini valica stabilmente la linea di mezzeria della strada per controllare il corretto senso di marcia delle poche auto discendenti.

Fra Casalguidi e lo zoo si disquisisce sulla paternità toponomastica del cosiddetto toboga che evita l’attraversamento di Pistoia. Mentre Bagnoli perde un mezzoguanto e Giunti esegue una pisciata intera a centrocampo, Bertelli contesta l’etimologia chiarugiana, comprovata nel lessico dell’Empolitour, ma la mozione decade perché nell’imboccare i 20 sfingei bivi di questa via che conduce ai piedi della salita di Casore, ne sbaglia mezzi.

A questo punto Pagni scatta sulla fascia laterale respirando a denti stretti che, nel suo sventurato frangente, è come dire a bocca spalancata. Boldrini non lo insegue ritenendolo in posizione irregolare, mentre Baricci si ferma nel campo per destinazione a pettinarsi la barba. Chiarugi è l’unico che prende sul serio la fuga dell’arconte con la lisca e lo scorta per un po’ in mezzo ai suoi sibili. Da dietro intanto arrivano le sorprese. Dapprima spunta Nucci al volante di un insolito mezzo, nelle vesti di allenatore non giocatore. Con la bandiera del fisico ancora a mezz’asta, scala per ora solo le marce in attesa di tornare a scalare le salite. Cerca d’incitare i giocatori perché dietro di lui si sta movendo una muta di veltri capitanata dal bionico Trasacco che non ha pietà del mite branco dell’Empolitour e lo inghiotte un pezzo dopo l’altro. Solo Chiarugi, mezzo podista e mezzo ciclista, sfugge alla cattura. Boldrini, che credeva di avere anche lui i mezzi per essere un mezzo podista, s’ingolfa a piene cosce raggiungendo a stento Pagni che porta così a termine un’azione molto efficace, nel suo caso incisiva. Tempestini-Oriali, mediano da una vita, cerca il colpo ad effetto tallonando Pagni e ricevendo in cambio una pugnalata d’acido nel bel mezzo del fegato.

Fine del primo tempo durato due ore e mezzo. L’intervallo non è di 15 minuti ma naturalmente di mezz’ora. Nel patio del bar periferico ed unico di Casore, Boretti si riveste di nuova maglia a mezze maniche, Pagni s’unge con mezza confezione di crema e dispensa foto a mezza figura. Vengono consumati i pochi mezzi di sussistenza offerti da questo bar sperduto nel mezzo della mezza montagna.

Nella ripresa il risultato non cambia nonostante la squadra muti radicalmente assetto tattico, disponendosi con un tridente di frettolosi formato da Boldrini, Boretti e Giunti, e retrocedendo notevolmente tutti gli altri, impegnati in medie bassissime. In mezzo a loro c’è anche Bagnoli, edotto ancora una volta dal mezzano Caparrini sulla sconvenienza dei dimezzamenti di percorso. Sul cerretino non disdegnerebbe la sostituzione ma Nucci, sempre vigile sulla panchina mobile, non ha riserve a disposizione ed è costretto ad arretrare il baricentro della squadra, portando sulla stessa linea difensiva del mezzo morto Bagnoli anche Baricci, Caparrini, Pelagotti e Tempestini. Per cercare il gol in zona Cesarini, avanzano Pagni e Chiarugi supportati da tergo dalla sbraitante Bertelli che si affida ai consigli della panchina. Pagni mette a segno una rete fortunosa sfruttando una distrazione di Chiarugi. È l’ultima emozione della partita. Il triplice fischio di chiusura suona in luoghi e tempi diversi per tutti. Mezzogiorno e mezzo è già passato da quasi mezz’ora.


03/02/2002 L’autografo

 

I fasti conviviali della cena sociale, recentemente consumata nell’opulenza di presenze e intrattenimenti circensi, si prolungano anche nella domenica pedalativa che libera dallo splendore dell’aria qualcosa di nuovo e d’antico. L’Empolitour offre un ennesimo tributo liturgico a Gimignano, santo protettore delle soste-Pagni, e per arrivare al suo cospetto col minimo gravame di asperità e la minima facoltà di defezione itinerante, senza però nulla togliere alla canonica novantina di pedissequi chilometri che l’inverno ci propina, Caparrini elabora un piano topografico volto a riesumare alcuni segmenti stradali che sembravano ormai sepolti nelle lontane epoche di pubertà ciclistica, come la valle del torrente Virginio (detta anche piana dei bubboni, poiché numerosi esemplari, partendo alle 10, la imboccano presso Ginestra e, sfidando pendenze fra 0,3% e 0,5% transitano per Anselmo e Baccaiano e poi proseguono controcorrente sopra impennate dello 0,8% fino ad un trivio in cui, fra il 17% di San Pancrazio a sinistra, il 17% di Fornacette a destra e il 18% di Polvereto a dritto, decidono per l’inversione ad U godendo così di un ritorno a favore di gravità; e sia ben chiaro che questa non è ironia, semmai presagio) o come la salita di San Gimignano da Certaldo, un’illustre dimostrazione di coincidentia oppositorum in cinematica, dove la velocità in salita eguaglia e talora supera quella in discesa.

Questo tipo di percorso piace perché è socializzante. Se si esclude la piana di Anselmo, dove si rende necessaria un’ammutolita fila indiana per evitare colpi di clacson e di paraurti, tutto il resto del tracciato è un invito al colloquio in coppia, in terna o in quaterna, anche perché è improbabile che le parole siano disturbate dal fiatone, se proprio uno non se lo va a cercare, come fa Pelagotti per raggiungere Chiarugi in fuga sul Montespertoli.

Il ritorno all’antico è però accompagnato da alcune piacevoli novità.

L’orario di partenza. Quando giunge Chiarugi, abituale anticipatore, trova già Baricci, Bertelli e Pucci frementi sulla caparriniana soglia mentre Tempestini, Boretti, Bagnoli L. e Pelagotti compaiono nel giro di tre minuti. Alle 8.34 Via Baccio da Montrelupo è già evacuata e per molti chilometri, anche per questo lentissimi, c’è il sospetto che tanta sollecitudine abbia mietuto qualche ritardatario.

La bici di Boretti. Osservando la lussuosa Pinarello e il suo cavaliere viene spontaneo pensare a La bella e la bestia. Non crediamo che Boretti possa un giorno tramutarsi in un principe azzurro del ciclismo, ma almeno cominci a vestirsi un po’ meglio se non vuol sfigurare sopra a tale leggiadra compagnia.

L’integrità di Bagnoli L. Ha portato a termine il tragitto integrale senza cedere a suadenti lusinghe di abbreviazione, neanche quando a Certaldo Pucci ha trascinato la Bertelli in un anticipato rientro. Il merito di questo successo è da spartirsi fra la forza di volontà, pescata dal responsabile tecnico nel profondo di un ancestrale ricordo di forza atletica, e l’abilità diplomatica di Caparrini che lo ha sedotto, prima con un giro su misura per basse taglie di allenamento e poi con incessanti richiami agli obblighi morali di un socio fondatore dell’Empolitour.

La celebrazione dei costanti. La costanza di Baricci non è più una novità e su questa assiduità sta edificando il corpo e la mente per le salite degne di tal nome. La costanza del disincantato Tempestini gli regala un arrivo solitario ai piedi delle torri, sfruttando abilmente il grippaggio meccanico di Chiarugi e quello muscolare di Pelagotti che lo insegue vanamente col suo solito passo acidificato.

Il tempio del ristoro. Il bar della Cisterna di San Gimignano, posto nella metà soleggiata dell’omonima piazza, è malauguratamente chiuso per ferie. Solo adesso tutti comprendono l’assenza di Pagni. In compenso nell’altra metà ombreggiata è attivo il bar Jolly che si chiama proprio così, non perché sia una carta di riserva che sostituisce quella più tradizionale. La differenza fra le due metà della piazza è di circa venti gradi ma nessuno si scompone. Neppure Chiarugi che, come Siddharta, pensa, aspetta e digiuna mentre sui commensali sudaticci cala il chiacchiericcio insieme ad un vassoio di paste assortite, delle quali Caparrini carpisce quella più esuberante e calorica.

L’autografo del presidente. Il piccolo Filippo stava osservando di nascosto questi omoni vestiti come astronauti e quei fragili dolci che si annientavano sotto i colpi della loro mordace avidità. Provava invidia nel vedere tanta fame e tante bici più alte di lui. La mamma decise allora di rallegrarlo col più bel dono di compleanno che mai si sarebbe potuto aspettare, un ricordo di quell’incontro da conservare nel diario dei suoi segreti, l’autografo di Caparrini, portavoce di quegli strani atleti tanto brutti e voraci ma con bici tanto alte e belle. Caparrini titubò di modestia ma poi scrisse una dedica appassionata per la felicità di quel bimbo che un giorno, quando sarà più alto di quelle bici, ne inforcherà una e giungerà trionfante in piazza della Cisterna, per addentare una pasta e tingersi le labbra di cioccolato come fece tanti anni prima quel suo occasionale beniamino, quell’omone di cui ancora conserverà un prezioso regalo ingiallito dal tempo.


20/01/2002 La nascita del rotacismo

 

C’è chi il ciclismo lo fa per noia, chi se lo sceglie per professione. L’Empolitour né l’uno né l’altro, lei lo faceva per passione. E la passione che spesso conduce su vette aspre e indomite, oggi conduceva aldilà degli allenamenti e delle gare intestine. Una missione religiosa pulsava negli animi dei nostri paladini: trasportare nel bar centrale ed unico di Ruota una pregiata immagine votiva che sarebbe stata esposta nell’abside del locale per consentirne la venerazione. L’arconte Pagni aveva curato con acribia la realizzazione del progetto fino alla sua esecuzione ponderale, perché in definitiva tutta la spiritualità dell’opera si sarebbe dovuta confrontare con una gigantografia della squadra pesantemente incorniciata e protetta de vetro antiproiettile, un complesso iconografico ammantato di teofania ma pur sempre dotato di massa tangibile e poco consona al groppone di qualsiasi ciclista.

C’era bisogno dunque di un ciclotrasportatore, e nessuno dubitava che la scelta sarebbe caduta su Pagni stesso, il quale era ben fiero di tornare in sella da protagonista dopo aver perduto nel ristagno dell’inazione un po’ del suo furore atletico e del suo primordiale consumismo istintivo durante le soste a lui consacrate. Ma c’era bisogno anche di una scorta di volonterosi cirenei, perché non si poteva negare un conforto sacramentale al derelitto col basto, sebbene autonomo nella sua immolazione, e comunque c’era molta febbrile curiosità attorno all’evento perché nessuno aveva mai veduto questa icona sacra di cui si favoleggiavano portentose virtù taumaturgiche.

Perciò Caparrini si adoperò per organizzare una speciale crociata che vide coesistere entità religiose anche antinomiche, come la madonna Bertelli (che però indossava un paio di calzoni eretici) e il belzebù Boldrini, con le corna ultimamente poco puntute. Gli altri apostoli erano Boretti, Chiarugi, Tempestini e Pelagotti, e quest’ultimo, convertito dalla sveglia all’ultimo minuto, fece ritardare l’avvio della processione. A Bassa, presso un tabernacolo ambulante ad uso alimentare, intanto aspettavano ansiosi di unirsi al corteo, Pagni e il chierichetto Giunti col turibolo dell’incenso.

Qui si scoprì la prima verità. L’immagine votiva non era così gigantesca come  l’avevano descritta. Pagni la occultava in un tascapane smilzo e piuttosto effeminato, e il suo volto regolarmente gaudioso non era quello di un martire crocefisso, o comunque mostrava di portare l’onere del mistico contenuto con molta abnegazione.

Difatti, quando il Golgota di Ruota gli si presentò alle ruote, egli fu il primo a risorgere sui pedali in mezzo ad un concerto di fiacca e debolezza che il gruppo gli stava dedicando. Giunti e Tempestini vegliavano su di lui e sul prezioso zaino che ondeggiava pericolosamente in fase con l’arcuata schiena dell’arconte. Boretti capì che era sul punto di essere staccato da uno sbilenco ciclista zavorrato e mise in atto un piano astutamente diabolico. Con una mossa fulminea e non osservata, sgonfiò in silenzio la ruota anteriore e con faccia maliziosamente contrita invocò il soccorso plenario dovuto a chi fora. Tutti, meno i tre battistrada, si fermarono al capezzale dell’infermo che, non pago di questo salvifico tiro birbone, riuscì a manomettere anche la valvola della camera d’aria di scorta che così sulla via del ritorno costringerà il gruppo a ripetute soste per dare fiato alla ruota ed al suo infingardo possessore.

Pagni giunse a Ruota baldo e corrusco, mostrando in anteprima ai suoi due palafrenieri lo splendore del sacro dipinto giunto integro a destinazione, e già questo fu interpretato come segno inconfutabile delle virtù miracolose dell’oggetto. Aleggiava un non so che di misterioso fervore su quell’icona. Giunti e Tempestini appena la videro fuggirono precipitosamente come diavoli apersi dall’acqua santa. Effettivamente era un’immagine densa di sfumature soprannaturali. Ritraeva la barista centrale ed unica di Ruota, con gli occhi annegati nel rimmel, che biondeggiava attorniata da dodici ridenti apostoli in uno sfondo crepuscolare. Folgorata da un’effigie così intrigante e vespertina, ella decise che la foto sarebbe stato un ottimo rimedio, seppur palliativo, per una brutta crepa sulla parete meno illuminata, dietro a polverose bottiglie di Amaro 18 Isolabella e Ferrochina Bisleri.

Da allora però si è sparsa la notizia ed i fedeli uscenti dalla messa in quadruplice filare, in cui i ciclisti s’incagliavano la domenica per le strette vie del borgo, hanno progressivamente abbandonato la chiesa cattolica e apostolica per riversarsi nel bar ad adorare il cenacolo dell’Empolitour. Depongono fiori, oboli e ceri, e i più devoti baciano anche l’immagine della zucca di Boldrini come gesto propiziatorio. Qualcuno giura di aver visto sgorgare lacrime rossastre dagli occhi di uno dei ciclisti ritratti, proprio come una delle tante italiche madonne. Il vescovo di Ruota invita alla calma e il papa ha in serbo una dura enciclica iconoclastica ma il culto si è ormai radicato ben oltre il Monte Serra. Si parla di una nuova confessione religiosa che è stata denominata rotacismo, in onore al luogo ed alla scaturigine ciclistica di questo fenomeno che sta raccogliendo i proseliti più impensati. Come le nigeriane che lavoravano nel parco delle Cerbaie e che ora si sono redente e convertite, e con l’uniforme dell’Empolitour guidano i trenini che portano i pellegrini in visita a questa nuova Lourdes della Toscana.


13/01/2002 Brividi di nebbia

 

Le promesse di un bel cielo sereno dormivano sopra guanciali grigi e umidi, venuti giù nella notte senza farsi annunciare. Il sole era una luna piena biancastra e i ciclisti sagome inanimate che si nutrivano dei gelidi e malsani vapori, maledicendo il momento del risveglio negli strati più invisibili della coscienza. Inseguivano un’illusione chiamata calore nel tremito dei loro inadeguati tegumenti, permeati da quelle evanescenti gocce d’inverno che, con una lentissima ma inarrestabile diffusione, sentivano mescolarsi al sangue e al midollo. Caparrini aveva racimolato un silenzioso plotoncino di tenaci seguaci, colti un po’ di sorpresa da questa atmosfera insondabile che ognuno tentava di subire e combattere secondo le proprie attitudini: Chiarugi partiva col corpo brinato e rassegnato, Boretti estraeva dalla borraccia una maglia per ricavarne una sciarpa mentre Tempestini si scaldava le gote col calore delle mascelle avide di cilingomma. Sul pizzetto di Giunti si formavano stalattiti e la barba rada di Baricci era un manto erboso luccicante di rugiada. Dalle profondità del passamontagna la voce di Pelagotti aveva un timbro biascicato, una paralisi labiale gli stava disabilitando l’intellegibilità della conversazione. Ma c’era poco da dire. La strada parlava con parole piane e sdrucciole. L’equilibrio sul filo delle ruote pareva ad un certo punto la meta più propizia da conquistare, in questa giornata uggiosa priva di tante vitalità. Già, l’equilibrio. Un triste flashback di pochi giorni or sono mostrava la piccola e fragile clavicola del granfondista Nucci che lo costringerà a qualche assenza dalle nostre cronache ma non dai nostri pensieri. Per consentirgli un rientro indolore, la squadra ha già cominciato ad attuare i saldi d’inizio stagione, riducendo di un buon 10% la velocità media e la lunghezza delle salite. Così anche il coscione transgenico di Boldrini, rimasto ad incubare al caldo, avrà tutto il tempo per essere riparato.

Non c’è molta voglia di dar spettacolo fra questi ciclisti inebetiti dall’aria fosca che li spinge nell’inazione verso la Valdelsa a cercare un vano conforto luminoso, per riappropriarsi della vita, degli orizzonti smarriti, delle mani e dei piedi, anch’essi smarriti dal centro del corpo. L’aria invece offre qualche spettacolare saggio fisico sul tema dei cambiamenti di stato di aggregazione: brina che sublima in nebbia, nebbia che condensa in acqua che poi piove dagli alberi, nebbia che, per un buffo fenomeno di brinamento, passa direttamente allo stato solido sui capelli fieramente ignudi di Caparrini. Egli, giammai cedendo alla debolezza di un cappello, ogni tanto è costretto a ramazzare con la mano questo strato di galaverna che si forma sui ciuffi selvaggi. È la prima volta che viene descritto un simile fenomeno, perché Caparrini è l’unico animale omeotermo che in un brumoso sottozero può pedalare a testa scoperta.

Fiat lux. A Poggibonsi, dopo aver attraversato tante valli di fumose lacrime, arrivano gli implorati raggi di sole e l’altrettanto implorata collina di Cipressino che finalmente dovrebbe illuminare un po’ anche le gambe. Pelagotti, gorilla nella nebbia, aveva offerto qualche bagliore di scatto fulmineo su tutti i dossi incontrati lungo le piane mortifere. Ora però, di fronte a qualcosa di più alto, ancorché indegno d’essere salita, si smorzava alla ruota del regolare Tempestini, lasciando fuggire l’altezzoso Chiarugi affamato di sudore. Il ricordo di una sfida all’ultimo acido con gli sventurati Boldrini e Nucci, deponeva nel respiro poco affannoso del caposquadra una traccia di malinconia. Così, prima del compimento della sosta-Pagni, Chiarugi preferisce isolarsi in una via secondaria e desolata piuttosto che rivivere scene che avrebbero potuto rievocare le parole di Francesca da Rimini: “Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria.” Sembra quasi che si sia dimenticato del brutale colpo di reni con cui Boldrini lo sorpassò un anno fa sul traguardo di Barberino. Allora una voce di gaudio ferino risuonò nella Valdelsa intera. Oggi una voce più fatata è risuonata ad un tratto nella sua coscienza mentre si allontanava da quei luoghi e dal gruppo. Era la Bertelli che, preoccupata per quel cielo infido, aveva deciso di venire incontro ai compagni per illuminarne il cammino. La mesta bruma si era ormai dissolta, ma di una stella che si distingue per brillantezza anche nel sole più fulgido, i magi apprezzarono molto la guida verso casa.


01/01/2002 Purgatorio, Canto Primo.

 

In quel principio d’anno appena nato

ci ritrovammo nel mattino ghiaccio

ché il sonno insieme al senno era mancato.

Ah quanti bei ciclisti che non taccio,

sfidando l’aere terso e sottozero

andavan adunandosi in via Baccio,

ove un presagio dolce e lusinghiero

moveva quell’inceder rotatorio

del qual molt’era Caparrini fiero!

“In quest’usato mattutin mortorio”

disse “noi scaleremo senza inganni

il monte, nientemen, del Purgatorio,

come facciam da vari Capodanni,

per augurarci che le lune nove

non sian foriere d’ombre né d’affanni.

Saremmo pronti per partire in nove

se Pagni con colpevole ritardo

non si trovasse bellamente altrove.”

Così puntava l’angoscioso sguardo

il presidente sul tempo che passa

nel gelo ad aspettar quell’infingardo.

Mezz’ora lo chiamò pria che la massa

informe e trafelata dell’arconte

piombasse ratta dalla via di Bassa.

Le bici finalmente furon pronte

a risalir dell’Arno la corrente

come dannati lungo l’Acheronte.

Scortavan errabondi il presidente

anche Chiarugi dentro il suo chador,

Boldrin fatto transgenico e coibente,

Giunti bardato come Belfagor,

Baricci l’ultimo dei nostri allievi,

svezzato ormai da antico corridor,

piuttosto che le vie tranquille e brevi

egli sfidar, dopo sterrati ed acque,

volle oggidì l’insidia delle nevi.

E mancar non poté colei che nacque

dalle creste dei monti arditi e belli

ove il suo corpo prodigioso giacque:

in coda pedalava la Bertelli

portando in petto un sentimento fiacco

d’ardori malagevoli e ribelli.

Da un anno atteso venne pur Trasacco

col magio Boschi ad onorar la festa

sopra un telaio pendulo e bislacco,

sfilando dritto ad animar la testa

con un vigor che fece meraviglia,

tant’era bici storta e disonesta.

Bertelli, grazia di montagne figlia,

s’accorse dal profondo dei suoi bronchi

d’un greve ardor che l’animo scompiglia.

“I miei proponimenti siano monchi”

disse con la tristezza nel sorriso

“e il giro qui convien che tosto tronchi.”

Disse con tono dolce ma deciso:

“D’altronde son Beatrice non Virgilio,

sol vi potrei portar nel Paradiso.”

Così restò il ciclistico concilio

privo della sua stella più brillante,

ma non d’intenti povero o più vilio

e quando entrò nella città di Dante

s’armò per risalir dove le folle

l’alma purgavan, peccatrici e tante;

s’apparecchiò per sostener il colle

che i cittadini chiamano Senario

e che i peccati dei ciclisti tolle.

“Indossa, o Caparrini, il tuo sudario!”

Gridò Trasacco mentre la salita

formava alle sue spalle un bel divario.

In coda Caparrini come in gita

guidava i pargoli Baricci e Giunti.

“Vetta le Croci, ma non è finita,”

diceva loro “abbiate i cor compunti,

ché, superato questo manto bianco,

nell’alto d’ogni ciel saremo assunti.”

L’orco Boldrin, che non pareva stanco,

s’unì alle ruote di Trasacco e Boschi

che salivan sul colle fianco a fianco.

Ei li scrutava con quegli occhi loschi

coi qual il cacciator mira la preda

lesta e fuggente prima che s’imboschi.

“Il ghiaccio c’è, benché non lo si veda”

diceva Pagni “ e con le ruote fini

si casca ch’è un piacer più che uno creda.”

Così diceva mentre Caparrini,

Baricci, Giunti e il trepido Chiarugi

lo seguivano in fila a soldatini.

Fu forse concatenazion d’indugi

ma quando rampa venne fredda e ritta

scesero in cinque insiem dagli archibugi.

“Qui si pedala a guisa d’una slitta,”

disse Baricci “forse all’abbazia

si va se un elicottero s’affitta.”

Perciò tornaron per la stessa via

i cinque peccator senza rimorso

ma senza il monte che le colpe espia.

“E gli altri tre su quel ghiacciato corso”

pensava Caparrin “si saran persi?

Sarà sì da chiamar l’elisoccorso?”

Chiedeva allor ad uomini diversi

notizie sulla sorte dei tre prodi

che intanto assai tardavan a vedersi,

e senza troppo tesser le lor lodi

abbandonati furon al destino

dai cinque ansiosi di più dolci approdi.

Fette di panetton di Pratolino

allietavan l’attesa del plotone

coi calici d’augurio frizzantino

e quando ormai nessuno più ripone

speranza a riveder i fuggitivi,

bramando il lor spettante panettone,

ecco spuntar quei tre vegeti e vivi,

saliti con sgusciar di bicicletta

pochi giri più in su nei ghiacci acclivi,

in tempo giusto per la dolce fetta

poi che nemmen coi piedi e l’ardimento

furono degni di violar la vetta.

Così il Senario che restò irredento,

per tutto il gelo ch’era in sua mercé,

diede all’Empolitour l’appuntamento

naturalmente nel duemilatre.