12/03/2006 Il gigione immaginato

 

Caparrini enumera ma non s’illude. Sa che il conteggio dei partecipanti, magnificamente progressivo in partenza, è destinato ad implacabile reductio in itinere. Questa tredicesima Classica Tinti sarà più che mai edificata sulla base di un inesorabile conto alla rovescia che metterà a dura prova l’arte classificatoria del presidente. Perché i maligni, sotto l’inaspettato consesso popolare, subodorano i risvolti di una consuetudine editoriale dell’Empolitour che vuole menzionato nell’Annuario Ufficiale qualsiasi ciclista che si presenti alla partenza di una classica, anche se poi se la svignasse al bivio di Via Baccio.

La Classica Tinti è una classica patronimica così nomata non per tradizione epidittica ma per ontologia, nel senso che non può essere concepita senza il padre-gigione Tinti, e nel senso più lato, senza il trinomio indissolubile: anabasi, panem et circenses, catabasi. Chi abbia almeno una volta ricevuto per intero siffatto sacramento sa bene che l’indissolubilità del trinomio, per quanto equiparabile dal punto di vista teologico ad una delle virtù cardinali, supera le normali capacità del ciclista medio, e non dico allenato, perché c’è poco di atletico in tale virtù. Chi abbia almeno una volta sperimentato una catabasi rimpinzata, ovvero una discesa di Piastre ed una risalita di San Baronto con tris di primi e bis di mammiferi arrosto avvinazzati al macero nello stomaco refrigerato, può afferrare il concetto senza troppe divagazioni aneddotiche. Tutto questo per giustificare che la Classica Tinti Integrale è diventata ormai come la Parigi-Roubaix dei professionisti, appannaggio di pochi inveterati specialisti che non temono le avversità e le lesioni fisiche.

Coloro che si accontentano di fama e menzione in un capoverso subordinato ricorrono ad uno degli innumerevoli tentativi di riduzionismo. E la storia ci ha insegnato che molti si sono limitati all’anabasi del Goraiolo e molti altri nemmeno a quella, che alcuni si sono fermati al panem et circenses e altri, poco ciclisticamente, hanno fatto solo quello: una casistica che ogni anno si arricchisce di nuovi categoremi.

C’è pertanto molta curiosità attorno ai sedici ciclisti che entreranno nel tredicesimo volume dell’albo d’oro, perché nonostante le dichiarazioni d’intenti la sorte letteraria di ogni partecipante viene scritta nel momento in cui la sua Parca decide di tagliare il filo del percorso. Chi si dichiara integralista non è detto che ci riesca: Caparrini ha già rotto tre telai, Bertelli ha mal di mela, Nucci può perdere il senno, l’arconte Pagni si ripresenta dopo un anno di congedo patriarcale, il notaio Muritano è un neoprofessionista e non sa quel che l’aspetta lassù, senza contare che sul suo conto si narrano vari episodi di esplosione. Poi c’è l’assiduo Chiarugi che però pare in odore di eresia. Restano undici riduzionisti annunciati che potrebbero, ma non ci crede nessuno, convertirsi, e l’unico esponente di quello che un tempo fu il rumoroso volgo degli accompagnatori, il centauro Masini. Su di lui non si dica che la propulsione meccanica non genera virtù cardinali perché, a parte il gravoso obbligo di soggiacere alla risibile velocità del gruppo e doverlo pure fotografare, non è dote dappoco quella di cibarsi del panem tinticum senza pedalare, sebbene Caparrini sostenga e risostenga che la domenica moltissima gente suole pranzare senza essere andata in bicicletta. Masini, noto per il melodico clangore della sua vespa, quest’anno è costretto a gareggiare sul più tecnologico Beverly nucciano, silenzioso e dotato di comfort come la coperta di Zio Venanzio per le ginocchia. D’altronde è l’unica moto disponibile che può contenere il baule a forma di zaino col vestiario di ricambio del sibarita Pagni, che così dimostra di voler fare sul serio.

Si comincia dal Cerreto dove incombono le prime foto e i primi interrogativi esistenziali, “Chi vincerà l’Intergiro di Larciano?” e “Chi sarà il primo riduzionista?” A Larciano le risposte sono inattese e sconcertanti: Bertelli e Masini. La Bertelli gabba i distratti proci con l’aiuto dell’Integrateam Martini; il Beverly nucciano, evidentemente bizzarro e dissennato come il padrone, gabba per carenza oleosa l’affidatario Masini che non taglia nemmeno il traguardo di Larciano. Ora gli interrogativi diventano: “Chi scatterà le foto?” e soprattutto “Chi trasporterà il baule di Pagni?” Poiché appare subito del tutto irrilevante il terzo interrogativo “Come tornerà a casa Masini?”, si decide di abbandonare l’appiedato centauro al proprio destino, ritirando i bagagli che gli incauti e i fiduciosi avevano depositato dentro il Beverly. L’operazione costa ritardo e diaspora. Bagnoli L, per esempio, non saprà mai dell’accaduto e compirà il suo percorso ridotto con una soddisfacente anabasi palindromica. Gli altri si raduneranno in vari gruppi d’indugio al solatio tra Biccimurri e Castelmartini fino alla ricomparsa dei ciclisti ora zavorrati: Bertelli con zainetto ascellare, Caparrini e Muritano con gobbe posticce e Martini con baule. Sì Martini, perché Pagni per la riverenza dovuta all’età e per l’inanità dovuta all’allenamento suscita un sentimento di commossa e sincera pietas nell’atletico cuore del giovane Integrateam che con sacrificio garroniano s’immola come cireneo per tutta la salita.

Il ritardo accelera anche il conto alla rovescia, perché dopo il meno-uno di Masini si passa in rapida successione al meno-due di Bagnoli A e al meno-tre di Pucci, riduzionisti sine acclivitate. Bitossi che ama le soluzioni innovative opta per un’inedita anabasi interrupta e svanisce a Marliana, mentre la pletora dei riduzionisti ordinari cerca di lasciare dignità nel proprio congedo con la scalata antica e accettata del Goraiolo che sancisce in un sol colpo il definitivo meno-undici: fuori Boldrini, Zio, Tempestini, Bagnoli L, Traversari, Giunti e Martini che porta a destinazione il basto senza ernie discali e con la benedizione dell’arconte.

Rimarrà negli almanacchi una cronaca di anabasi scarna, soporifera e senza immagini. Boldrini per la prima volta incide il proprio nome transgenico sulla vetta del Goraiolo profittando della blanda concorrenza dei riduzionisti e della pax precauzionale degli integralisti. Infatti, coloro che sono destinati al duro cimento del panem tinticum preferiscono non affaticare troppo le gambe che devono stare tre ore sotto il tavolo. Pertanto chi può rallentare, come Caparrini, rallenta e arriva lontano dal record, chi va piano di suo, come Muritano, non deve fare altro che essere se stesso ed arrivare prima che qualcuno pensi alla botta. Nel mezzo si trova la mela afflitta della Bertelli, il sorriso sornione di Pagni, il passo ponderato di Chiarugi e quello dissestato di Nucci che a qualche passo di botta accenna da par suo.

Sgombrato il Goraiolo dai riduzionisti, subito dopo si sgombra dalle menti dei superstiti anche un dubbio cogente: “Come farà Pagni a pedalare fino al Ristorante Tinti con trenta chili di bagaglio?” L’arconte in realtà non ha mai avuto dubbi e trova immediata risposta negli ossuti lombi di Chiarugi che a dire il vero non si offre volontario ma non può nemmeno rifiutarsi per la solita questione di riverenza senile e inanità atletica, anche se Caparrini fa notare che l’inane Pagni in salita lo ha pedinato senza affanno.

Quando sembra d’essere finalmente alla resa dei conti alla rovescia Chiarugi, dopo un crinale scalato con l’incudine in groppa ed esposto al ludibrio dei passanti, decide che tale sacrificio equivalga teologicamente a quello del non meno ponderoso tris di primi e d’agnelli, e così passa, primo negli annali, direttamente dall’anabasi alla catabasi, ovviamente dopo restitutio ad arcontem dell’incudine. Meno dodici? No, sempre meno undici, perché la prima magia del gigione Tinti è quella di far ricomparire con un’ampolla d’olio santo il centauro Masini, quantunque in habitus automobilistico. E Pagni se la ride pensando al rimpatrio dell’incudine.

La Classica Tinti che sembra già finita, è appena cominciata. È qui la sua anima arcaica, nel conquistato desco, coi panni disseminati, le poppute dapifere, le parusie di carte e palline, la voracità di Nucci, l’alcolemia di Pagni e la strazianti pose sul cortile assolato, preludio ad una catabasi infarinata di nevischio. Non aggiungiamo altro. L’immaginazione galoppi, anzi pedali. Per rispetto degli eletti che non hanno dissolto il sacro trinomio lasciamo a loro l’onore dei ricordi e lasciamo alla plebe dei riduzionisti d’ogni genere e grado la tentazione di provarci per intero negli anni a venire, finché Tinti non ci separi.

 

Via Baccio da Montelupo

Visti e intravisti tutti i sedici ciclisti che si fregeranno della sacra menzione.

Via Baccio da Montelupo

Anche il centauro Masini non vuole rinunciare al ludibrio.

Cerreto

Prima e unica immagine ciclistica che precede l'appiedamento del centauro fotografo.

Ristorante Tinti

Gli eletti al cospetto del Gigione. E Masini fiero ostenta l'olio santo.

Ristorante Tinti

Libiamo nei lieti calici con la crostata di compleanno della Bertelli.

Ristorante Tinti

Il Gigione irretisce gli ebbri astanti.

Ristorante Tinti (ma ci dimentichiamo sempre che ora si chiama "Il Trovatore")

Tinti scruta il vuoto mentre i suoi catecumeni gareggiano per la posa più ebete (Pagni col casco vince per acclamazione).