04/03/2007 Il gigione rifiorito

 

C’è la logica formale e c’è il Tinti. C’è la logica ciclistica e c’è la Classica Tinti. Fra i problemi insoluti del ventunesimo secolo, accanto all’ipotesi di Riemann e alla congettura di Goldbach, da oggi comparirà anche il mistero del sei di picche, la carta pensata da Muritano che il gigione Tinti ha fatto comparire rovesciata in mezzo al mazzo e in mezzo all’incredulità ormai atavica dei commensali.

È atavica anche quest’illogica classica del ciclismo nostrano che vanta innumerevoli, ben riusciti, tentativi di riduzionismo. È la classica più antica e meno accettata, perché se il ciclismo è scienza la Classica Tinti è esoterismo, una disciplina integralmente goduta solo da pochi prescelti che senza indugio meritano la sacra menzione e l’eterno sigillo sull’Annuario. Sono i ciclisti Bertelli, Chiarugi, Muritano, Nucci e Pagni, naturalmente al cospetto del Supremo Custode dell’ortodossia Caparrini, vigilati dai fedeli ministri dei rapporti coi mass media, il vespista fotografo Masini e il centauro Torcini coadiuvato dall’esordiente cineoperatrice Torcinova. Sulla restante compagine numerosa e gaia non calerà l’oblio, perché l’illimitata mente presidenziale ha già classificato i vari sottoinsiemi di partizione, ma una sottile commiserazione li accompagnerà nel loro curriculum.

Non si può fermare la tendenza del ciclismo moderno alla specializzazione. Rimpiangiamo i bei tempi andati quando si correva tutti tutto l’anno, dalla Sanremo al Lombardia, dal Tinti al Chianti, ma oggi dobbiamo adeguarci agli esempi di affermati professionisti che corrono una sola corsa a tappe, o poche tappe di una corsa a tappe, o una sola corsa in tutto l’anno. E noi rispondiamo con le nostre patologiche specializzazioni. Il veterano Borchi è un esempio dalla sindrome di Cipollini al Tour o di McEwen al Giro, campioni che hanno lasciato il segno vincendo le volate e ritirandosi ai piedi della prima montagna. Siccome nella Classica Tinti c’è solo una volata, all’Intergiro di Larciano, Borchi ha vinto quella e subito se n’è andato ai piedi del Goraiolo, l’anabasi per antonomasia, finalizzando così un’intensa preparazione invernale fatta di scatti in faccia ai più forti. Boldrini si è specializzato nell’anabasi e l’ha uccisa. Ora bisognerà pagarlo come Binda per non farlo partecipare al Giro. Pagni, in qualità di arconte eponimo delle soste, si è specializzato nella sosta più lunga del calendario internazionale, quella del panem et circenses che dura tre ore e che gli ha permesso di recuperare le soste perdute in un anno d’assenza. Chiarugi, dopo aver subito cocenti sconfitte all’interludio di Larciano e all’anabasi del Goraiolo, ed aver resistito stoicamente alle tre suddette ore di panem et circenses, ha forse trovato la sua specializzazione nella catabasi rimpinzata di San Baronto, conquistata dopo quattordici anni di vani tentativi di digestione del panem tinticum.

Un comprensibile horror panis ha invece tenuto lontano dall’integralismo tintico il promettente Martini che ha eseguito un eccellente binomio di anabasi e catabasi sine mora et mensa, ispirandosi al medesimo Chiarugi dell’anno prima. Simile ma non classificabile con un solo aggettivo è la variante del redivivo Pucci, non riducente, non pranzante ma deviazionista con l’aggravante di non avere deliziato il pubblico con una delle sue mirabili botte fiammeggianti.

Perché, a detta della critica, la principale pecca di questa quattordicesima edizione è stata la mancanza di crisi. Fisiche, meccaniche o climatiche, negli ultimi anni erano sempre venute in aiuto all’ispirazione del cronista, costretto a ripetere quattordici volte un’immutabile litania di anabasi, panem et circenses e catabasi. Quest’anno, se proprio vogliamo andarla a cercare, è andata in crisi solo la pila della macchina fotografica di Masini. Ma nel complesso sarà ricordata come una Classica Tinti tutta rose e fiori, anzi, tutta rose e crochi, perché la Bertelli li ha visti ed esige che li abbiano visti tutti. La poesia dei ciclisti maschi non varca però il provvisorio sguardo oltre l’ansimato manubrio. Si accorgono che c’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, non dai petali e i pistilli, ma dai succinti abiti degli eterodossi che li sorpassano in salita. E Caparrini da par suo si dimostra incredibilmente succinto in salita battendo un altro dei suoi imbattibili record.

Da quest’anabasi dei primati si estraggono altre storie commoventi, come quella dello Zio prodigo che torna a pedalare dopo il sacrificio di un femore, o come quella del carneade De Rienzo, giunto con Giunti per trovare menzione sull’Annuario ma poi abbandonato al suo destino anche dall’illimitata pazienza presidenziale. Commuove anche l’arconte Pagni che è costretto ad arrotolarsi alle caviglie gli enormi calzettoni rotulei di lana merino, scoprendo polpacci pelosi ma efficaci nonostante l’inoperosità. Le altre sono storie d’ordinario riduzionismo che coinvolgono Bagnoli F, Bitossi, Giunti, Landi, Tempestini, Traversari e forse altri dimenticati dalla limitata mente del cronista. Indegni di partecipare alla mensa circense del gigione, acuiscono la loro pena con l’inverecondo ripiego dell’anda-e-rianda. Non sanno quello che fanno, né quello che perdono, o forse lo perdono perché lo sanno.

Perdono, al prezzo di prelibate ma superflue vivande, l’iniziazione ai misteri del maestro Tinti che con quelle mani tozze e magiche inebria la razionalità dei miseri e plaudenti astanti. I quali ritornano a valle satolli ma dubitosi, consapevoli che potranno sgombrare il corpo dalle superflue vivande con poco penitente digiuno, ma che difficilmente sgombreranno la mente dalle vane cogitazioni sul mistero di quel sei di picche.

Formazione al gran completo.

In piedi:

Caparrini, Bertelli, Pagni, Tempestini, Giunti, Pucci, Chiarugi, Traversari; Muritano, De Rienzo, Bagnoli F e Martini.

In ginocchio: Landi, Nucci e Masini.

Nascosti:

casco di Borchi, testa di Bitossi, chiorba di Boldrini e pelata di Zio.

Muritano tratta il suo gioiello coi guanti bianchi e Bagnoli F lo osserva sghignazzando.

Anabasi.

Il gruppo si fraziona sotto l'impulso trainante di Caparrini.

Solo Zio gli resiste.

Mentre Boldrini, sfocato per la gran velocità, insegue mezzo eterodosso.

Talk show al termine della salita. Traversari ascolta con interesse l'opinionista Zio mentre Tempestini sonnecchia tra i due e Boldrini fissa un palo.

Ristorante Tinti.

Muritano, Nucci e Bertelli osservano divertiti i bianchi calzettoni rotulei di nonno Pagni.

La solenne costernazione dei commensali di fronte al mistero del sei di picche.

Tradizionale ritratto di famiglia col gigione Tinti.

San Baronto. Tentativo di fuga chiarugiana a scopo digestivo.