01/05/2019 Il gigione inopinato

 

Quandoque bonus dormitat Homerus. Può capitare anche ai sommi artisti che talora abbiano un transitorio cedimento d’ispirazione non consono all’altezza della loro fama. Così è capitato al sommo maestro Tinti nella ventiseiesima edizione della Classica a lui dedicata: due tentativi fallimentari d’agnizione di carte sotto le profane mani, prima di Sani e poi di Nucci, più che scalfire la leggendaria infallibilità hanno finito per creare un siparietto comico da cui il gigione si è prontamente risollevato con la trascolorazione di un fazzoletto e la smaterializzazione manuale dello zucchero. Non è la prima volta che s’inceppa il magico meccanismo, forse è inedita la reiterazione, ma nessuno vi ha dato peso, nemmeno il Tinti rimasto imperturbabile come quando parla della fibrillazione atriale e delle fasce elastiche della moglie.

La Classica delle Classiche volgeva infatti a compimento con inopinato successo: attorno al tintico desco si erano raccolti tutti i personaggi più rappresentativi della storia di questa manifestazione, e fors’anche della storia dell’Empolitour. Il presidente Caparrini, orbato di bici ormai da due anni, si era posto dirimpetto al maestro cedendo il capotavola al nobile Pagni arconte delle soste, sulla cui esistenza in bici si nutrono ancora flebili speranze. Alla sinistra del Tinti era assiso Sani, più noto come Vinicio, ideatore delle soste urinarie intermittenti quando il secolo scorso pedalava ancora. Prospiciente degustava il vespista Masini, memore di tante classiche vissute da cireneo ed ora assiduo scarpinante nella schiera presidenziale. La platea del desco era completata dai cinque ciclisti graduati, unici in un più cospicuo manipolo di partenti a meritare panem et circenses dopo l’impervia anabasi del Pian di Giuliano: i patriarchi Chiarugi e Nucci e la matriarca Bertelli sono scolpiti nella storia del Tinti, ma anche l’implacabile Salani è passato svariate volte nella forgia del gastrociclismo. Per non tacere del Nonni, sbocciato tardivamente nell’Empolitour ma intenzionato a rifiorire con tenace rigoglio.

È inutile nasconderlo: senza un Caparrini ciclabile l’Empolitour sta vivendo un periodo di declino e diaspora. Però oggi riavvolgendo il nastro alla partenza c’era qualcosa di nuovo, anzi d’antico, in Via Baccio: un cumulo variopinto di sociali, asociali e ignoti s’ingrossava strada pedalando. Sui dolci clivi di San Baronto se ne contano almeno dieci a contorno dei già citati integralisti: alcuni mai citati, come Maestrelli che le scritture descrivevano come esemplare destinato allo status di tesserato fantasma e che invece ora narrano sopravvissuto alla campagna delle Ardenne, o come Giusti rinomato fin de course dell’ultimo Tour de France che giustamente scompare agli albori del Sammommè, la salita più dura e labiale del circondario pistoiese. Fu introdotta dal supremo programmatore quando smise di pedalare, al posto del suo cronometrato Goraiolo, allora inviso dalla Bertelli per ripetitività ed ora dalla stessa agognato con bubbolio e rischio di scissione.

Al cospetto di Sammommè anche i riduzionisti perdono quella dotazione di viltà che era insita nella cassazione del tintico desco.  Marconcini e Innocenti tentano di primeggiare a Piteccio formulando un’ipotesi di fuga con Chiarugi, Nucci e Salani, dimodoché i mai sopiti bubbolii della Bertelli per il perduto Goraiolo si rifrangono sui rassegnati inseguitori entro i quali si computano il guantato Bagnoli L, il teutonico Farnetani, il vallone Maestrelli, il temprato Nonni e il titubante Ulivieri. Non tituba Salani a mostrare la schiena dritta e le pelose polpe ai suoi commilitoni anche quando la strada di Sammommè perde un po’ di pendenza acquistando l’incertezza di qualche bivio. Qui i bertelliani bubbolii cangiano scaturigine senza perdere di potenza in occasione di una mancata sosta chiarificatrice da parte dei battistrada.

La riunione arriva spontanea a Pian di Giuliano insieme a parecchi colleghi e colleghe eterodossi che evidentemente non ignorano il piacere isolante di questa boschiva viuzza pur ignorando il piacere dell’indugio al Ristorante Tinti, altrimenti detto Sciuscià. Largamente in anticipo sulla tabella di pasto e sui camminatori presidenziali giungono i ciclisti schiccolati anche nella risalita di Casamarconi. Assoldato all’uopo per servizio fotografico è il centauro Alotto mentre Chiarugi che anticipa il gruppo per fuga-parenti riceve gli applausi di amate spettatrici. Il gigione Tinti accoglie tutti col medesimo afflato, anche quelli che non si ritengono degni di partecipare alla sua mensa, concedendo loro foto ecumeniche ed energiche strette di mano magiche.

Agli Empolitour, in qualità di primi e unici clienti dopo la riapertura del locale, spettano totali e indivisi i servigi del cuoco e delle solerti dapifere ma le portate distribuite in piatti singoli anziché in vassoi cumulativi incutono nei commensali il terribile spettro dell’horror reliquorum. Caparrini ha sempre preteso l’accurata depurazione di piatti e vassoi contribuendo attivamente all’opera di smaltimento degli avanzi ma stavolta nulla può di fronte all’inappetenza della Bertelli, ammansita dopo le precedenti rimostranze ma incapace di giustiziare una decina di penne che così rimangono a imperituro vestigio nel piatto d’origine. Evidentemente anche l’Empolitour ogni tanto fa cilecca ed è anche per questo che il successivo garbuglio del Tinti con le carte riceverà bonaria e plenaria assoluzione.

Al culmine della sazietà e dei convenevoli la montagna pistoiese comincia ad ammantarsi di quella fine ma insistente pioggerella tanto discara ai ciclisti in discesa. La catabasi rimpinzata e raggelata è sempre stata un motivo di vanto per i partecipanti a questa Classica, soprattutto quando si svolgeva d’inverno ma le recenti riforme istituzionali l’hanno resa quasi discrezionale. D’altronde se il presidente e l’arconte camminanti possono tornare a casa in macchina anche i patriarchi e la matriarca pedalanti si sentono in diritto di sopperire alla medesima bisogna. In fin dei conti rimangono Nonni e Salani che immuni alle ripetute offerte di corruttiva ospitalità automobilistica decidono d’indossare gialle mantelline e d’immolarsi per la storia dell’Empolitour e per la gloria personale. E se è pur vero che ipsa quidem virtus pretium sibi, i due veri integralisti ottengono meritata asciuttezza dalle Piastre a Empoli: un lieto fine che chiosa il lieto inizio. L’onore della Classica è salvo anche grazie alle piccole impurità che la impreziosiscono.

 

 

 

 

 

 

Fototinti 2019

 

 

Incrocio Via Baccio - Via Duprè

Pensierosi e guardinghi prima di partire sulla strada bagnata.
Piteccio

Schiene di Nucci, Salani e Marconcini evasi in vista del Sammommè col fotografante Chiarugi.
Pian di Giuliano

L'implacabile Salani scrive qualche appunto dopo avere staccato Marconcini.
Nucci si consola con le eterodosse.
L'incontro con le eterodosse ammansisce anche la Bertelli.
Casamarconi

Chiarugi primo in fuga-parenti.
Salani e Marconcini stavolta appaiati.
Bertelli e Nucci con umori discordanti.
Farnetani con lo stahlhelm teutonico e Bagnoli L coi guanti invernali.
Innocenti e Nonni compiaciuti di avere staccato il vallone Maestrelli.
Ulivieri ultimo la prende in burla.
E poi tutti in gaia posa col maestro Tinti.
Castello di Cireglio

Nel frattempo anche gli scarpinatori si prestano a pose vagamente ebeti. Spicca comunque la tenuta sociale di Pagni e Caparrini.
Piastre

Qualche alleggerimento di vestiario annuncia l'imminente mezzogiorno.
Ristorante Sciuscià

Horror reliquorom. Panem tinticum sotto forma di penne al sugo tristemente avanzate nel piatto della Bertelli.
Circenses

Sani e Nucci guardano con sospetto le occulte manovre del Tinti, forse presaghi della cilecca.
Sollievo di Caparrini quando il gigione si riabilita coi fazzoletti.
Nella posa finale ecumenica con gigione, cuoco, dapifere e commensali, si riconoscono gli eroici Nonni e Salani pronti per la catabasi.
Ripetizione per il giochino delle differenze.