Tour 2008

19-23 luglio

Il Tour dei grandi numeri

 

 

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La legge dei grandi numeri stabilisce che il valore medio misurato e il valore medio della distribuzione di probabilità della variabile tendono a coincidere se il numero di prove tende ad infinito. Detta così non sembra pertinente ma introduce per accostamento semantico il diciannovesimo Tour dell’Empolitour che nasce nel segno della legge e dei grandi numeri. Il legislatore Caparrini, supremo numeratore e denominatore, abituato per anni a computare e conteggiare sulle dita di una mano, si trova a gestire in una sola gettata diciassette partecipanti che per le manovre di sussistenza in terra francese sono davvero un grande numero. Tanto grande da promuovere a legge costituzionale l’istituto della mezza pensione sperimentato l’anno precedente. Tanto grande da richiedere una scomposizione non preordinata in quindici più due, quindici titolari e due riserve che subentreranno in corso d’opera a chi si rivelerà più inadatto alla sopravvivenza. Tanto grande da ridurre le presentazioni ad un’enumerazione deittica, in cui al massimo si può discernere l’unità dalla molteplicità, e cioè coloro che vantano molteplici partecipazioni al Tour da coloro che formano il piccolo grande numero dei sei novizi.

Caparrini, Bitossi, Cerri, Chiarugi, Giunti, Landi, Muritano, Nucci, Pagni e le due riserve Bertelli e Seripa sono i pluridecorati. Bagnoli F, Boldrini, Cocchetti, Malucchi, Rinaldi e Salani sono i catecumeni già noti al pubblico italiano del Giro e desiderosi di varcare il Monginevro per ingaggiare il loro primo bellum gallicum contro arsura e gendarmi.

Diciassette è numero primo e numero da primato. In questa edizione si cercherà di battere altri primati, altimetrici, nutrizionali e finanziari, ma sono i primati umani e non umani a destare maggiore interesse, come alcuni esemplari di ciclista antropomorfo che si osservano tra i novizi e che potrebbero elevare a potenza i cinque numeri che usciranno uno al giorno sulla ruota del Tour.

 

 

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Non è facile comprendere la regola matematica che ha portato a dividere i quindici titolari in quattro vetture. Secondo macchinosi criteri di divisibilità Caparrini ripartisce iniquamente uomini e mezzi nel noto carro Integrateam, nell’ignoto carroccio di Malucchi e in due auto civili. Il principio di Pauli non è rispettato e l’addensamento di bici e borse nel carroccio sembra dettato più da necessità che da virtù.

Dopo cinquecentoventi lunghi chilometri e una lunghissima tartiflette sul Monginevro, è preso pieno possesso dell’Hotel Le Catinat Fleuri di Guillestre, così nomato per il monte Catinat che non si vede e per i fiori che non ci sono, e dotato di due stelle comprensive di vitto, alloggio, lavatura, asciugatura e piscina. Dai mille metri di Guillestre si può ambire a sontuose cime come Agnello, Izoard, Bonette e Vars, tutte ovviamente già iscritte nel Sacro Programma che prevede come preludio pomeridiano il piccolo numero di Risoul. Una salita del genere sarebbe significativa soltanto con una filiera di gendarmi a placcare le bici, ma nella sua irrisoria e disabitata pendenza è pur sempre un onorevole debutto.

I duemila abitanti di Guillestre hanno ospitato generazioni di ciclisti multietnici ma mai un transgenico. Così l’irruzione di Boldrini diffonde nell’etere quel fervore di novità e quella bramosia di sfida che compensano la mancanza d’arsura e gendarmi. Per la legge dei grandi numeri Boldrini dovrebbe ritornare al Tour tra circa venti anni, perciò gli anziani sanno che questa potrebbe essere l’ultima occasione e i giovani sanno che staccare Boldrini è un piacere senza età. Dal canto suo il transgenico non è venuto al Tour per guardare schiene e quando s’accorge che Chiarugi ha anticipato la sua precocità d’attacco lo insegue a chiorba bassa, munita per l’occasione di casque jaune stile wehrmacht. Boldrini è capace di grandi numeri e di grandi cosce ma il ballo dei debuttanti di Risoul privilegia le cosce semplici e pelose di Salani che con un rapportone da camionista mostra le terga anche al patriarca Chiarugi. Boldrini cerca di edulcorare l’amaro esordio sbagliando strada a bella posta, e i dodici uomini che non hanno osato l’ebbrezza del sorpasso sono pervasi da mutevole conforto quando vengono a conoscenza di questa sua biologica vulnerabilità. Per staccarlo ci sono ancora molti numeri da giocare anche se dalle prime pedalate s’intuisce che per converso molti ambiscono ad ereditare il titolo caparriniano di fin de course. Lo smanicato Malucchi e l’illocalizzabile Bitossi si meritano la prima caudale menzione che a detta di tutti pare provvisoria perché Malucchi può evolvere e Bitossi può spiazzare.

Numero frazionario ma costante è la mezza pensione che molto conforta numerosità e variabilità ciclistiche. E costante della costante sarà la pâte, implorato anelito nutrizionale di Caparrini e declassato dal cuoco a contorno aggiogabile a buoi, porci e paperi, non meritevole di piatto autonomo ed avente tempi di cottura rispettosi del tema dei grandi numeri.

 

 

2744

 

Il Colle dell’Agnello, scalato l’anno scorso con la preposizione articolata, diventa quest’anno Col d’Agnel, più semplice ma più articolato perché abbinato a tappa, arsura, gendarmi e Boldrini. Di questi quattro articoli abbiamo piena contingenza solo dell’inulto Boldrini che insuffla bellicosità fin dalle fresche Gorgers du Guil. La tappa, senza arrivo né Boutique, è certa ma insignificante, i gendarmi sporadici e l’arsura ipotetica. Nelle gorges l’ipotesi diventa prima peregrina e poi onirica quando s’intuisce che le gocce sull’asfalto non provengono dall’impetuoso Guil.

Il prostatico Nucci, insoddisfatto del mancato adempimento sul Risoul, vuole staccare Boldrini col solo mezzo a sua disposizione, cioè l’inganno. Fa finta di attaccare e poi si nasconde nella pancia del gruppo cosicché Boldrini si sfianca per inseguirlo col fido Cerri senza mai sapere di averlo alle spalle. La tappa ascende nell’imprevista pluvialità mentre le temperature e le velocità volgono asintoticamente a piccoli numeri come nove e otto. Nelle insistenti scudisciate di vento acquoso svaniscono tutti e quattro gli obiettivi di giornata. L’arsura è fantasiosa, i gendarmi imboscati e Boldrini imploso. Quando infatti è sorpassato teatralmente dall’attore Nucci e dalla comparsa Bitossi, il suo animo pugnace cola bruscamente a valle e solo l’appagamento di Salani e Chiarugi lo salva da peggiore verdetto.

L’obiettivo della visione di tappa sul colle, per quanto sacro e inviolabile, staziona pochi minuti anche nella dogmatica mente presidenziale. Come in tutte le tappe del Giro vissute piovosamente l’obiettivo unico è la sopravvivenza in discesa che si realizza grazie a disparati espedienti.

Vestizione. Denigrati in salita e invidiati in discesa gli zavorrati, come Pagni con l’ultradenso basto, s’armano e discendono. Inzuppati ma con orgoglio.

Rifugio. Sulla vetta i ciclisti cercano invano di scardinare il furgone della TV ad uso di spogliatoio. Il distante rifugio dell’Agnello è implicitamente cassato con la cassazione della tappa.

Ospitalità. La solidarietà fra spettatori del Tour è internazionale. Quando il manipolo dei ritardatari capitanato da Malucchi cerca riparo tra i tifosi di Schleck, essi rispondono barricandosi nel camper e ritraendo frettolosamente la tettoia riparante.

Ricoré. Una volta tanto la carovana pubblicitaria smentisce gli attributi ontologici di inutilità e danno. Offrendo gratuiti bicchieri di bevanda calda spacciata per caffè consola per lo meno le budella infreddolite.

La carovana è stavolta salvifica anche per l’ortodossia dell’Empolitour perché senza l’obbligo d’arresto al suo cospetto tutti sarebbero filati in picchiata alle docce. Invece così si formano vari gruppuscoli di visione. Quello di Malucchi, che a stento ottiene dai lussemburghesi il diritto d’appoggio delle bici al camper. Quello di Caparrini, rintanato in una boulangerie a monte. Quello di Nucci, rintanato in un bar a valle. E quello di Boldrini, costituito da se medesimo che, scambiato per figurante della carovana, riesce a strappare preziosi chilometri alle reti della gendarmeria.

In definitiva, fatta salva l’arsura, una surrettizia regolarità del programma valida il palinsesto del presidente, considerando almeno il pingue bottino pubblicitario che il gruppuscolo di Nucci riesce a portare in albergo. Sotto un cielo così piovoso e attorno a un desco così popoloso sembra d’essere tornati al Giro. Ma le pirofile di pâte riportano immediatamente alla scotta realtà del Tour.

 

 

2360

 

L’Izoard non è un numero primo ma un primo numero per durezza e rinomanza. Impone visitazione anche senza l’effigie della tappa e rasserena i puristi in quanto unico percorso circolare in un Tour di grandi anda-e-rianda. Svolge pure un ruolo decisionale, crudele ma necessario. Se la lotta per la tête de la course con annessa semina di Boldrini s’annuncia scoppiettante, stavolta il fregio di fin de course non è puramente nobiliare ma consente di stabilire il secondo cambio. Infatti si dice che le riserve Bertelli e Seripa stiano scalpitando alla frontiera e che il presidente abbia deciso come equo criterio d’avvicendamento di escludere gli ultimi arrivati sull’Agnello e sull’Izoard. Il primo a firmare l’uscita è stato Landi che sull’Agnello s’è fermato in salita ad indossare il k-way. Ora l’Izoard sarà arbitro imparziale del secondo partente che secondo i pronostici dovrebbe essere Bagnoli F per manifesta inanità già postulata nelle precedenti salite.

In cauda venenum dunque, ma pure in testa non si va tanto per il dolce perché Boldrini finora lo hanno staccato solo in quattro e molti altri ambirebbero. Cocchetti, per esempio, vorrebbe fuggire dall’anonimo esordio e in effetti va già in fuga sulla via delle solite gorges, ma il trasnsgenico stavolta non vuole inganni e assolda di nuovo il fido Cerri, il quale da parte sua non disdegnerebbe una violazione di cameratismo per staccare anche di poco il suo dirigente. In attesa di capire se Bitossi si sia svegliato da capo o da piedi, gli altri tre che hanno già staccato Boldrini fanno intendere che ristaccarlo non sarebbe affatto disdicevole e cercano di pedinarlo, addirittura con una parvenza di Pagni. Quando nei pressi di Arvieux l’Izoard prende corpo ed anima, i gregari sono già esauriti e la tête rimane un ordinario menage a quatre, risolto facilmente da Salani su Chiarugi mentre la strana coppia Boldrini-Nucci tenta invano di disaccoppiarsi. Prima della Casse Deserte molti sorridono ad un fotografo cacciatore di ciclisti ma pochi vi arrivano con lucido senso di discernimento verso il cippo di Coppi e Bobet, ove solo Giunti e Muritano si fanno solennemente immortalare. Lo scampato timore di retrocessione autorizza a lunghe soste. Infatti Bagnoli F, quando ancora era in lizza con Malucchi e Rinaldi per evitare l’eliminazione, rompe il filo del cambio. Malucchi sportivamente lo aiuta a raffazzonare lo strumento ma Bagnoli, già inane da par suo, con un inamovibile 39x13 può solo retrovertire. Così il suo esordio sarà ricordato per un Agnello con foratura e attesa all’addiaccio e un Izoard interruptus con eliminazione diretta.

In attesa dei rincalzi i tredici qualificati espugnano dopo l’Izoard anche la rocca di Briancon, sventolando come labari multicolori coni di gelato Carpigiani, scoprendo solo ad ostentazione avvenuta che la crème e la fraise provenivano da macchina infedele. E non solo per questo equivoco alcuni labari finiranno miseramente in cestino.

La piscina riscaldata che li attende sazi e sudati al Catinat Fleuri è una lusinga che spiana molte ondulazioni poste ad arte da Caparrini fra Briancon e Guillestre. Quando il cilestrino specchio d’acqua si presenta agli occhi dei ciclisti in ciabatte e costume, esso si trova occupato nei suoi scarsi dieci metri quadri da dieci marmocchi festanti, l’urina dei quali costituisce il verosimile sistema di riscaldamento idraulico. E quando pochi temerari riescono a conquistare l’agognata abluzione verificano che il suddetto sistema funziona anche in senso antiparassitario e insetticida, a giudicare dai numerosi cadaveri di mosconi e scarafaggi abbandonati nel fondale. Ma al postutto ciclismo, nuoto ed entomologia migliorano gli appetiti al cenacolo che accoglie Seripa e Bertelli per la loro prima pâte scotta a puntino.

 

 

2802

 

Boldrini vorrebbe lasciare almeno un segno in questo Tour avaro di supremazia. Il suo desiderio di conquistare un colle passa attraverso il Vars e la Bonette, ma il Vars è declassato per decreto presidenziale a valico automobilistico. La Bonette scalata in senso ciclistico è il primo caso nella storia dell’Empolitour di tappa antidromica, eseguita cioè contro il verso delle frecce gialle che puntano su Jausiers. Rischiano di svanire in un sol giorno tre istituti canonici del Tour: l’arsura perché si sale sul numero più alto d’Europa, i gendarmi perché sono tutti appostati sul versante ascendente e la Boutique perché sta a Jausiers in posizione invero tentatrice.

Si pedala perciò con un conto alla rovescia partendo dai trecento metri dall’arrivo e arrivando ai venticinque chilometri, e buon per noi che l’organizzazione abbia contemplato anche queste salite contro natura allestendo i cartelli segnaletici coi chilometri bifrontali. Nulla si perde del clima di contorno perché i tifosi del Tour non distinguono salita, discesa o pianura, e si accampano sul percorso con medesima densità e ilarità. Guardando il cielo e la strada non sembra di salire dalla parte sbagliata, e chilometro dopo chilometro Caparrini rinfocola la mai sopita speranza d’ortodossia saggiando il sole che arde, i gendarmi che spuntano e pensando alla Boutique a portata di discesa. Mentre la sua testa pensa e pencola, la testa della corsa s’infiamma con la reiterata fuga di Cocchetti promessa ad un magro destino. Destino nuovamente ingeneroso anche con Boldrini che perde subito le ruote dell’aurea quaterna composta dai pelosi Salani e Chiarugi, dal risorto Nucci e dal ricomparso Bitossi. Il pubblico è plaudente e cerca di capire perché Boldrini vada così piano e quali siano le linee guida seguite da Bitossi nella scelta della velocità di giornata.

Il Tour di Chiarugi che potrebbe appagarsi con questi boldriniani distacchi manca però di quel quid che finora gli ha negato l’altro più vigoroso esordiente. Lo spietato Salani non si stacca nemmeno a colpi di rapportone, anzi non si staccano nemmeno Nucci e Bitossi, così l’allegro quartetto giunge compatto e variamente ansimante ai duemilasettecento metri dell’anello mistico. I francesi hanno creato la Bonette dal Restefond per puro spirito di grandeur ed ora la difendono con uno spiegamento mai visto di gendarmi. Se si tenessero per mano formerebbero una concatenazione militare intorno al terroso cocuzzolo che di prima intenzione non è quindi accessibile ai pedalanti, ortodromici o antidromici che siano. In questi casi la legalità è un sentimento rimandato a miglior gendarme, e dopo aver accompagnato à pied gli sguardi più irreprensibili, i ciclisti scorgono nel tenero ammiccamento di una gendarmessa l’implicita autorizzazione a rimontare in sella ed espugnare l’impervio e desertico traguardo. Che per gli annali arride finalmente a Chiarugi, il più esperto e pedestre dei quattro avanguardisti.

Un senso di vuoto eterno ora li assale perché lassù lo spazio svanisce nella corona dell’orizzonte e il tempo si dilata nell’attesa di Pagni, Cerri, Caparrini e Muritano, e di coloro che invece non arriveranno mai. I gendarmi hanno mietuto sette pavidi sul Restefond e il vento gelido miete il giovine Salani che dopo poche pose si cala nella loro complice empietà. Il settebello composto per onor di citazione da Caparrini, Bitossi, Cerri, Chiarugi, Muritano, Nucci e Pagni si cala pertanto nell’istituzione più regale e curiale del Tour: l’attesa della tappa, una dimensione temporale vieppiù degna di grandi numeri. Nelle sei ore calcolate dall’arrivo di Chiarugi e quello di Chicchi, non manca tuttavia l’intrattenimento, riassumibile in sei eventi e personaggi principali.

Nutrizione. Sostiene fideisticamente Caparrini che sulla vetta della Bonette esista una rinomata bouvette. E la fede gli deriva da un vivido ricordo del 1993. Chi non ha letto la Storia dell’Empolitour sappia che ricordi vividi come questo hanno portato a definire la sindrome del panino di Susa o della coppa Nucci che si manifestano con l’inattesa inesistenza dell’oggetto fidelizzato. Ma la fede del presidente e la sua fame sono smisurate e lo fortificano nel setaccio dell’anello mistico alla ricerca di un venditore di commestibili. Ma a parte un commerciante di calzini lo speranzoso circolo si rivela infruttuoso.

Minzione. Cespugli e muriccioli sono agognati più della bouvette ma sulla Bonette non cresce nessuna entità ad altezza di bacino maschile. Pertanto, a meno di spavalderia o ritenzione urinaria, bisogna organizzare solitarie escursioni ai 2860 metri del cacume con la scusa di ammirare la rosa dei monti che guarda caso sorge su una base muraria di consona privatezza.

Carovana. Fede e speranza nutritiva vertono allora sui cadeaux della carovana pubblicitaria: caramelle Haribo, salatini del Dr. Oekter e gli ambitissimi salamini Cochonou e formaggini della Vaque qui rit costituirebbero un sano e nutriente menu. Ma già dalle prime vetture s’intuisce che qualcosa non quadra. Salutano, ridono ma non lanciano: un divieto vendicativo della gendarmerie. Brividi di terrore e digiuno attanagliano gli spettatori non autosufficienti. Il famelico Nucci non ha nemmeno la forza di ululare. Esaurite fede e speranza Caparrini ripiega sulla carità che potrebbe provenire dai successivi soggetti.

L’astigiano. Sbracato, macilento e ispido ma loquace. Nessuno l’ha chiamato ma arriva, forse per spontanea aggregazione italofona. Inizia dal 1987 e prosegue per associazione di idee nell’ambito dell’onniscienza applicata al ciclismo. Non ammette contraddittorio o interlocuzione. Il pubblico ode annichilito senza possibilità di fuga perché i gendarmi hanno già imposto la linea di coprifuoco. In tanta facondia i sette uditori gradirebbero qualche misericorde oblazione, perché egli è pure portatore di fecondo zaino dal quale, senza interrompere il filo del discorso, ogni tanto cava fuori un oblungo sfilatino che addenta davanti ad occhi illusi.

Il fiammingo. Digiuni sì, ma ben collocati. Da quell’argine si può assistere allo scollinamento della corsa con dovizia di dettagli. La posizione rialzata impedisce ad eventuali furbi dell’ultima ora di parare la visuale. Finché non arriva un tizio che, insensibile ad improperi in tutte le lingue indoeuropee, interpone un bandierone giallo con leone rampante tra gli Empolitour e la strada. Quando neppure i sassi sembrano convincenti interviene Pagni col suo irripetibile idioma da esportazione che costringe il vessillifero a chiamare in suo soccorso l’amico, il quale oltre al vessillo mostra d’interporre un’enorme stazza e dichiara in fluente italiano d’essere fiammingo, tifoso dell’ultimo Vansevenant e inamovibile.

Il paramedico. Gli interessati alla corsa traslocano perciò alle transenne ove socializzano con un biancovestito della Liquigas, addetto al passaggio di borracce, mantelline e carta ai corridori. Nessuno osa sperare che per italica solidarietà egli offra da bere agli assetati, pur prodighi d’interesse per le sorti di Nibali e Chicchi, perché la corsa è corsa e lui fa uno sporco mestiere nonostante la candida tenuta e il tono chic. Però dopo il passaggio dei corridori, dall’ignorato Augustyn ai velocisti superstiti, il paramedico se ne va in tutta fretta lasciando all’Empolitour il compito dai aspettare Chicchi.

La riunificazione a Jausiers fra i sette probi e i sette innominabili permette di scoprire che costoro in cambio del vilipendio della visione di tappa in discesa si sono guadagnati un pasto caldo, lo shopping alla Boutique e varie cornucopie di cadeaux pubblicitari. Boldrini ha trovato il sistema d’arrivare primo su un colle anticipando in bici l’automobilistico Vars, mentre Cocchetti nel tentativo d’imitarlo viene raggiunto e caricato dal carroccio scopa di Malucchi e Rinaldi.

La sera all’unanime desco dal Catinat Fleuri molti dibattono sulla normalità ciclistica e Caparrini conviene che tale concetto non appartiene all’Empolitour, mentre si viene a sapere che Chicchi è arrivato fuori tempo massimo, come la cottura dell’ennesima pâte.

 

 

2109

 

Nei confronti del Col de Vars è rimasto un debito morale che i ciclisti si affrettano a saldare nel giorno del commiato. Dopo lo sgombero forzato delle camere il Catinat Fleuri offre la piscina cogli insetti per rinfrescarsi e rifocillarsi anche se la scalata non sembra meritoria di sudori. Arsura, gendarmi e Boldrini sono infatti assenti o rinunciatari ed anzi circola il proposito di donare al transgenico questo Vars per non indurlo in depressione e farlo ritornare al Tour anche prima dei venti anni previsti dalla legge dei grandi numeri. Il proposito è nobile ma poco durevole perché l’onnivoro Salani quando si ritrova in testa assoda che il piacere di staccare Boldrini è più forte d’ogni sentimento di cristiana pietas. Soltanto Chiarugi prova a consolarlo con un secondo posto offerto mano nella mano che potrebbe valere la sua pace agonistica.

Le riserve intanto cercano di meritarsi la convocazione per il 2009, Seripa attaccando e aiutando Boldrini nell’affannosa rincorsa, e Bertelli attaccando bottone con un malcapitato indigeno. Il fin de course e de Tour, degno epigono caparriniano, è Rinaldi scortato da Bitossi che in extremis svela una logica interiore, frutto di banale ma incompresa serie numerica: va piano i giorni dispari e forte quelli pari. Da un punto di vista numerico c’è già materia sufficiente per l’epilogo: chilometri (insomma), altimetrie, chilogrammi e spese sono fedeli al tema della grandezza e meritano le soddisfatte somme del presidente. Da un punto di vista letterario c’è invece bisogno di un’appendice per onorare altri due topoi che in un Tour non dovrebbero mai mancare: la botta e i veti incrociati.

L’eccesso di allenamento e di atletismo ha negato al pubblico lo spettacolo di una bella crisi esplosiva. I più seri candidati alla botta, Malucchi, Rinaldi e Cocchetti si beano della scampata deflagrazione risalendo le spire dell’Agnello sul carroccio stipato di merce. Perché Caparrini si è voluto rivalere sull’Agnello del bagnato subìto, ripetendolo assolato con vetture che però non sono tutte allenate come i ciclisti. Il carroccio, forse per inadeguatezza strutturale o forse per adeguamento alle condizioni atletiche degli occupanti, sul più bello fuma e si ferma costringendo i tre ciclisti all’onta del piede a terra. Arriverà sul valico lentamente e penosamente ma calorosamente acclamato dai membri degli altri equipaggi che stavano sentendo a repentaglio il pranzo e la televisione della tappa sull’Alpe d’Huez.

Su questi due ultimi doveri s’incentra il garbuglio dei veti incrociati. Perché c’è chi vuole tappa e pranzo, chi solo tappa, chi solo pranzo, chi né tappa né pranzo. Senza contare le varianti delle quattro opzioni principali che portano almeno a quindici i rami dell’albero decisionale, considerando i desideri accessori di minzione, cena e ritorno precoce. Quando il presidente sembra ormai soccombere all’indecidibilità viene condotto in salvo e in tema da un paese dell’Alta Val Bormida dal nome profetico: Millesimo. Un grande numero ordinale chiude questo Tour dei grandi numeri cardinali nell’unanimità alimentare (senza pasta) e ciclistica (senza bici), con la benedizione finale del presidente che vale come auspicio ad andare e moltiplicarsi.

 

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